
2012 Numero 1 Invito alla Lettura
A CURA DI FRANCESCO DI NUOVO E ROBERTO MANCIOCCHI La rubrica Invito alla lettura propone indicazioni in merito ai contributi più attuali e significativi della psicoterapia con uno sguardo attento agli attuali sviluppi del pensiero teorico; sarà ovviamente presente una forma di dialogo con la letteratura, la filosofia, le neuroscienze e le arti. La rubrica sarà, a seconda dei numeri, completata da una sezione di recensioni, nella quale alcuni psicoterapeuti commenteranno le più interessanti novità del panorama italiano e internazionale.
Tempo, vuoto e morte ne “La Freccia ferma” di E. Fachinelli
L’autore procede nella trattazione del tema dell’ossessività con continui ‘salti quantici’, aprendo orizzonti interpretativi e di senso davvero suggestivi e di profondo senso critico rispetto alle tradizionali teorie psicoanalitiche.
Il parallelismo continuo con la mentalità arcaica, attraverso una lettura antropologica, risulta in questo senso, allusivo di una necessità di rompere le barriere logico-concettuali ‘ordinarie’ di fronte a un fenomeno ‘sacro’ quale l’ossessione. Sembra giusto, pertanto, attingere a un’altra epoca quando era il sacro e non la religione il riferimento psicologico e comportamentale.
Certamente nessuno dei fondamentali riferimenti teorici psicoanalitici viene sostanzialmente ‘rinnegato’; mi riferisco alle illuminanti teorie di differenziazione e di transizionalità mahleriane e winnicottiane, che riguardano il primo anno di vita del bambino e la sua battaglia ‘eroica’ per affermarsi quale individuo differenziato dal mondo simbiotico del materno, il cui esito sembra particolarmente in bilico e ambivalente nell’ossessivo poiché troppo debole per esercitare quell’affermazione di sé che richiede un atto di violenza e di frattura, rispetto al quale si temono le peggiori conseguenze. Ma tali concezioni vengono dall’autore ampliate e vivificate mediante una sensibilità fenomenologica .
Il tema centrale del lavoro, inizialmente ben stemperato e diluito attraverso riferimenti alla filosofia di Parmenide e di Zenone con il fine di proporre piani prospettici liberi dalla rigidità teorica di uno psicoanalista ‘ortodosso’, viene presentato attraverso un confronto fecondo fra prospettiva psicoanalitica e da prospettiva fenomenologia che ‘rianimerebbe’ o ‘vaglierebbe criticamente’ la prima.
Mi riferisco al punto di vista prospettico fenomenologico mediante il quale l’autore intende, anche se parzialmente, indagare il comportamento dell’ossessivo e la sua necessità di deformare il tempo; esistono due sostanziali modalità di concepire, forse sarebbe meglio dire di vivere, il tempo: un tempo mitico circolare e ciclico, non rispondente alla logica di causa-effetto perché qualitativo senza passato né futuro, che nella sua declinazione più evoluta alluderebbe a quello che la fenomenologia considera l’emergenza di una struttura trascendentale, cioè un originario e peculiare disporsi, fin da subito, verso la temporalità, sganciato da ogni velleità di controllo e manipolazione di esso; e un tempo lineare, seriale in cui un evento è la conseguente, meccanica derivazione di un altro che lo precede, in cui domina la logica di causa-effetto.
Nell’ossessivo si osserverebbe una dilatazione del tempo attraverso la sua serializzazione, moltiplicandone gli ‘ora’ all’infinito e annullando di fatto il tempo attraverso una continua ripetizione dell’azione. E’ in atto l’Ungeschenmachen, ‘il rendere non accaduto’, una tecnica temporale ben descritta da Freud, riscontrabile nel cerimoniale ossessivo, nelle cerimonie, nelle azione magiche e negli usi popolari. Parlare di tecnica temporale, cioè rientrante nei modi di trattare ed elaborare il tempo, serve all’autore per connotarla ben oltre il meccanismo di difesa a cui la psicoanalisi l’ha relegata. Per i fenomenologi come von Gebsattel, infatti, il comportamento ossessivo significa battagliare incessantemente contro qualcosa che da subito è radicalmente diverso dall’esperienza comune, l’antieidos (quelle forze volte alla dissoluzione della forma), conseguenza di un ‘prorompere di originari modi di esperire’. A tale prospettiva Fachinelli risponde mediante il solido richiamo al conflitto reale, storicamente determinato, vissuto dal soggetto. Ma la fenomenologia sa cogliere il passaggio di fase qualitativa evidente nell’avvenuto mutamento temporale che la psicoanalisi tende a sottovalutare, cogliendo questo mondo altro, questa nuova situazione fascinosa e sacra sebbene tenda ad isolarla dal suo contesto storico.
L’autore, inoltre, sembra avanzare, seppure sbrigativamente, l’idea che la strumentale ‘deformazione’ del tempo in atto nell’ossessivo trovi una delle sue possibili ragioni nella necessità di realizzare un’azione paradossale: obbedire alle ingiunzioni interne ma nello stesso tempo disobbedirvi; infatti, in un breve passaggio, l’autore sottolinea come attraverso questa dilatazione del tempo l’ossessivo si trovi proprio a ‘mancare’ ciò che più sta a cuore, cioè il ‘comandamento mosaico’ in sé e per sé. Sembra come se l’inesorabilità all’osservanza si facesse meno imperiosa proprio dove è in gioco il concreto peccare ( fare tardi a messa, dall’analista, dall’avvocato, masturbarsi etc). Forse perché il rituale avrebbe la funzione di diluire anziché osservare ‘i comandamenti’, un modo per depotenziarli. E’ obbedendo alle azioni imposte che si manca un dovere, venendo così a trovarsi nella posizione di chi disobbedisce obbedendo. E così facendosi rinnova la colpa e il bisogno di vedere il male da estirpare ovunque. E’ la macchina temporale che sostiene questo fine, poiché l’esecuzione perfetta dell’azione si traduce concretamente in immutabilità e immobilità nel presente, una paralisi da cui si può uscire solo grazie al male ‘ovunque’ che richiede azioni da svolgere in un tempo consecutivo, seriale, che consente una storia, anche se negativa: la vita diventa il battito impersonale della ‘macchina morale’.
Dunque la spinta a un ‘autonomia’ si compie solo attraverso il rigoroso e puntuale rispetto del rituale che riguarda però solo le ramificazioni dell’osservanza, cioè i suoi aspetti secondari. Sarebbe dunque presente, sotto forma di disobbedienza, un’aggressività che se convogliata egosintonicamente promuoverebbe la differenziazione ma che invece, venendo percepita come assertività distruttiva sollevante angoscia di morte, viene invece a strutturarsi come incapacità di scegliere che paralizza l’ossessivo.
Il salto dalla responsabilità individuale che richiama il mondo delle scelte personali e il rischio dello sbagliare nella vita, viene neutralizzato attraverso la spersonalizzazione del proprio mondo valoriale, decisionale e di responsabilità, tirando in gioco l’osservanza formale a precetti confessionali astratti e distanti. Di questa osservanza impersonale l’autore ne coglie la funzione magico-protettiva in un soggetto che si pone, evolutivamente, il problema dell’affermazione personale e il distacco dai modelli interiorizzati. Poiché affermarsi diviene un momento di difficile soluzione per chi abbia subito un arresto evolutivo drammatico la soluzione sta nel ricorso a un’istanza superiore esterna astratta, disponendosi nuovamente in una condizione di dipendenza infantile, negando la storicità e concretezza del suo conflitto personale e venendo meno alla richiesta di scelta che scioglierebbe quel conflitto.
Così quel conflitto si trasforma e viene spostato, ripresentandosi intatto ma reso astratto per essere riattribuito al contesto della legge religiosa.
Ma lo straordinario collante di tutti i temi trattati nel libro è il tema della morte, del vuoto, dell’assenza, dello scomparire nel nulla senza speranza. Di fronte alla morte l’ uomo arcaico, fuso e confuso e identificato con il proprio gruppo di appartenenza e l’uomo moderno, civilizzato e presuntamente differenziato, presentano modalità di reazione simili, ricorrendo a quelle che uno stato di bisogno non riconoscerebbe mai essere illusioni o credenze, connotate così solo da uno sguardo esterno e distante incapace di comprendere appieno quella situazione psicologica in cui ci si sente fortemente spinti da uno stato di necessità alla ricerca di un supporto, dovendo fronteggiare un’angoscia disgregante.
A questo fondamentale vissuto l’uomo risponderebbe con il bisogno di ricorrere al religioso, alla continuità della ‘presenza’, al ‘come se’ che, in questa ottica, appare essere tutt’altro che una scelta irrazionale, quanto piuttosto l’unica capace di sostenere sia l’individuo che il gruppo in situazioni di stato mentale in cui il rischio di collassare sull’assenza di psichicità è fortissimo: il confronto con il nulla, appunto.
Così Fachinelli collega l’ossessivo all’uomo arcaico: l’agire rituale diviene una ripetizione effettiva dell’evento mitico, seguendo la regola dell’osservanza, opposta alle logiche esplorative e conoscitive determinate causalisticamente, ricostituendo l’ordine e la regolarità di un mondo turbato da un’infrazione.
Ma mentre nell’uomo arcaico la morte, esemplificata in un uomo morto concreto, è isolabile mediante i riti sacri che sanciscono la ‘vitalità’ e permanenza del morto e, mediante identificazione, la possibilità di vita della comunità stessa, non è così nell’ossessivo che, pur ripercorrendo le orme degli arcaici mediante il ricorso a rituali simili, vive la morte come compresente all’individuo e quindi non isolabile, proprio in ragione di quel deficit evolutivo di differenziazione, rimanendo con-fuso con esso ed esposto a quello stato ambivalente in cui si alternano un vissuto di depersonalizzazione (perdita di sé) e il suo opposto cioè un vissuto di depressione, conseguenza della ricerca di una autonomia totale dall’altro significativo, dimensione di fronte alle quali l’unica soluzione possibile è la condotta ossessiva. Nell’ossessivo l’apotropaicità della ritualistica diviene disperata, venendo meno proprio il collegamento e il rimando fondamentale non tanto alla religione quanto al mito e al sacro.
Scarica il PDF
- Tempo, vuoto e morte ne “La Freccia ferma” di E. Fachinelli • 82 kB • 25 download