
2014 Numero 3 Invito alla Lettura
A CURA DI FRANCESCO DI NUOVO E ROBERTO MANCIOCCHI La rubrica Invito alla lettura propone indicazioni in merito ai contributi più attuali e significativi della psicoterapia con uno sguardo attento agli attuali sviluppi del pensiero teorico; sarà ovviamente presente una forma di dialogo con la letteratura, la filosofia, le neuroscienze e le arti. La rubrica sarà, a seconda dei numeri, completata da una sezione di recensioni, nella quale alcuni psicoterapeuti commenteranno le più interessanti novità del panorama italiano e internazionale.
Recensione a: Enrico Ferrari “L’ambiguità del patire Quando la Psicopatologia svela le radici culturali del presente”
Enrico Ferrari L’ambiguità del patire. Quando la Psicopatologia svela le radici culturali del presente
Moretti e Vitali, 2013, pp264 €18,00
L’ambiguità e il patire, le due parole chiave del titolo, racchiudono la profondità dei temi trattati dall’autore e ne annunciano l’avvincente trattazione. Trasversale, ma decisivo, il rapporto dei due temi con la contemporaneità. Quello che già nelle premesse E. Ferrari porta in primo piano nella sua riflessione, è che i vissuti di sofferenza che i pazienti portano nella stanza d’analisi, necessitano di una lettura più attenta che in passato, di quell’area opaca, ambigua, che si colloca tra la storia personale e lo spirito del tempo, l’humus culturale in cui ciascuno affonda le proprie radici. Rivisitare l’ambiguità, trovare una sua declinazione e una sua possibile definizione, diviene oggi più urgente che in passato per affrontare l’angoscia che sembra afferrare il soggetto contemporaneo, avviluppato in quella zona grigia, liquida, del non ancora e del non più, che sembra caratterizzare l’epoca postmoderna. “Possiamo dire che oggi è nuovo e diverso il rapporto tra esperienza del limite ed esperienza del possibile, o [….]tra natura e cultura e che tale rapporto manifesta in modo emblematico le proprie ombre proprio nelle forme psicopatologiche più diffuse”. Ne consegue che sia lecito per gli addetti ai lavori, chiedersi se non si stia verificando in modo sempre più evidente un aumento di tutte quelle patologie borderline resistenti alla cura. Recuperare lo stretto legame tra “il tempo della clinica e quello della storia” già centrale nella teoria di Jung, e interrogarsi su chi sia il soggetto che cerca aiuto e abita questa realtà sociale, impone soprattutto alla psicoanalisi un cambiamento dei suoi paradigmi. Quello a cui il nuovo soggetto ambiguo sfugge, la sua responsabilità e una verità condivisa, obbliga l’analista ad uno spostamento dell’ottica, da una visione oggettiva ad una visione relazionale. Allora in primo piano risalta l’interrogarsi sull’asse verità/menzogna, autenticità/falsificazione e ai contenuti tematici delle esperienze psicopatologiche, più che alla loro patogenesi ed eziopatogenesi.
Avvalendosi di una equilibrata, quanto integrata sinergia tra la visione teorica della psicologia analitica di Jung e di quella fenomenologica di Husserl, Binswanger e Minkowski, l’autore focalizza l’attenzione sull’importanza del senso e del vissuto della patologia, più che del sintomo da guarire e ne rilegge con grande originalità, perizia ed efficacia, le forme attualmente più diffuse nella clinica. Particolarmente degno di nota è che la descrizione dei quadri psicopatologici, si incentra sul prevalere dell’ambiguità intesa in termini psicodinamici, come potente ed arcaico meccanismo di difesa, che evita il conflitto e lo fa scivolare via per evitare l’ansia, il dolore psichico, il senso di colpa e la vergogna, determinando l’evitamento della responsabilità della differenziazione. Si deposita però anche nel legame con l’altro, nel gruppo, nelle istituzioni e nelle maglie dei contenitori sociali, traducendosi in agiti e stili di comportamento che sospendono la scelta e la funzione critica. In termini junghiani, come l’autore suggerisce, questo corrisponderebbe al ritorno archetipico di un materno primordiale che ha sostituito il primato del paterno, ben incarnato nel consumismo e nella tecnica, i quali nel mostrare potenza, promettono godimenti senza limiti, inutilità del sacrificio, nessuna mediazione né rinvio. Un ulteriore spunto è dato dall’approfondimento dei vissuti delle coordinate del tempo e dello spazio, nei diversi quadri clinici. Qui il riferimento al pensiero di Husserl e di Heidegger rende la lettura particolarmente interessante laddove si faccia riferimento al tempo (interiore, soggettivo) ed allo spazio (distanza, vicinanza nelle relazioni) quali fondamento sia delle sicurezze individuali e collettive, che quali direttrici di senso dell’esistenza. Lo schiacciamento delle tre dimensioni nell’unica realtà dell’immediato conduce ad una dimensione soggettiva “di un tempo vissuto come eterno presente, dove non si invecchia né si cresce ma solo si fruisce”. Lo spazio della relazione riconduce invece ad un investimento narcisistico, che rende esposti e mai protetti dalla solidità del legame.
È a partire da queste considerazioni che avvalendosi di un linguaggio non solo denso di contenuti, ma anche di riferimenti ad autori e a immagini di grande forza evocativa, che E. Ferrari approfondisce e descrive le esperienze psicopatologiche del panico, dell’anoressia della bulimia, della noia, della rabbia e della colpa. Alla luce di queste chiavi di lettura e della ricchezza di spunti clinici che ne accompagnano la disamina, si giunge a una profonda comprensione sia delle ragioni d’essere delle diverse patologie, che dei più ampi orizzonti culturali e degli abissi esistenziali che li accompagnano. Se fino ad ora il libro ha affrontato con la psicopatologia, il versante per cosi dire patogeno dell’ambiguità, tuttavia non è il solo ad esistere, perché vi è un terreno come il sogno, il simbolo, la creatività, dove l’ambiguità si rende necessaria non come falsificazione, quanto come capacità di rimanere insaturi, sospesi, giacenti nell’area intermedia del dubbio e dell’immaginazione. È su questo terreno che si può costruire l’alleanza terapeutica, intesa dall’autore come capacità dell’analista di fare compagnia al paziente sapendo tollerare l’ambiguità senza fretta, mostrando al paziente la perdita di paesaggio e “mostrandogli l’altra faccia dell’ansia: la pressione del desiderio, l’insorgere dell’altezza, la bellezza del nuovo, la chiamata al futuro”. Riprenderei per concludere, le parole della prefazione di E. Borgna “un libro davvero bellissimo, questo di Enrico Ferrari che si legge con la passione dell’interiorità che nasce solo dinnanzi a testi di grande valore formativo, ma anche di alta tensione morale”.