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Note introduttive per la rubrica

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

contemporanea

2016 Numero Extra Contemporanea

A CURA DI ANNA MONCELLI Una delle eredità più significativa che il pensiero di Jung ha lasciato alla psicologia, é stata quella di sottolineare il rapporto dialettico tra lo spirito del tempo e i vissuti individuali. La concezione di malattia e cura, si riferiscono così, ad una psiche che vive nel mondo, nella società e partecipa alla storia. La rubrica Contemporanea in continuità con questa visione, offre uno spazio di riflessione su temi di attualità. E’ uno spazio dedicato alla riflessione e alla ricerca di chiavi di lettura, che mettano in relazione quegli accadimenti del nostro tempo che si impongono all’ attenzione secondo visioni parziali, con una visione simbolica che ne restituisca possibilità di senso psichico.

Note introduttive per la rubrica

La mia idea di occuparmi di alcuni temi ‘scottanti’ dell’attualità in una rubrica, è nata, oserei dire per caso, confrontami con i pazienti, leggendo l’ennesimo commento di cronaca, ascoltando distrattamente uno dei tanti talk show, dove giornalisti, criminologi, psicologi o psichiatri più o meno illustri, commentano avvenimenti particolarmente delicati della contemporaneità. Per fare qualche esempio: la maternità surrogata, la fecondazione assistita, l’esposizione sui social network di pezzi importanti della intimità umana come la morte e la malattia, l’esecuzione di crimini efferati, la mercificazione dell’infanzia, la genitorialità narcisistica, l’integralismo religioso e così via. Come ad un analista spesso accade nel controtransfert con un paziente, destata da uno stato sonnolento, di quelli che invadono in situazioni in cui un eccesso di stimoli, rumori, voci, intorpidiscono la mente, che si chiude, si ottunde, mi si è parato davanti un grande e a momenti inquietante interrogativo: dov’è la ‘psiche’? Il titolo di questa rubrica annuncia il senso che questo spazio mi piacerebbe avesse all’interno della rivista: mettere in relazione alcuni accadimenti della contemporaneità con una riflessione che ne renda possibile la pensabilità. A tal proposito, il riferimento alla visione junghiana mi sembra quanto mai opportuno. Prima di trattare un argomento specifico, ho sentito l’esigenza di tracciare in modo approfondito il canovaccio, e alcune  chiavi di lettura che vanno chiarite in partenza, perché  attraversano trasversalmente la riflessione sui temi che di volta in volta la rubrica andrà a trattare, ma soprattutto l’atteggiamento e lo sguardo con cui affrontarli. Per cominciare questa premessa  mi lascerò ispirare da alcuni spunti su alcuni temi che caratterizzano la contemporaneità. Il primo è una frase di F. Goya che nella mia memoria è legata alla traccia di un tema di maturità: «Il sonno della ragione genera mostri». A proposito di mostro, così nel Devoto Oli viene definito: «Creatura mitica risultante da una contaminazione innaturale di elementi diversi e tale da suscitare l’orrore o lo stupore». Dell’etimo fa parte il verbo latino monere, avvisare, ammonire,da cui ‘evento straordinario, fenomeno, segno divino’.

Il secondo spunto è quello attualmente molto noto, quanto efficace, della liquidità. L’immagine della liquidità in una lettura squisitamente simbolica, comunica per prima cosa l’aspetto dell’oltrepassamento, della possibilità di infiltrazione che caratterizza la sostanza liquida e della sua capacità di dilagare, di allargarsi per includere, ma anche di annacquare e confondere. L’opus alchemico ha l’avvio dal ‘dissolvi et coagula’. La sensazione che accompagna il vissuto soggettivo della post-modernità è spesso quella di fenomeni, talvolta mostruosi, che hanno liquefatto le differenze, le barriere, e qualunque forma di definizione che fosse storicamente valida: moralmente, scientificamente e socialmente. Indubbiamente ne ha guadagnato la complessità delle visioni e anche la flessibilità, ma a tratti si ha anche l’impressione di qualcosa che si è dis-integrato, confuso e pasticciato a tal punto da apparire come un mostro, un aggregato anatomico deforme. Non si tratta solo di punti di vista, ma del concetto di ‘Realtà’ e di ‘Verità’, di cui è stata decostruita la certezza, promuovendo una pluralità di prospettive contro i punti di vista singoli, che spesso resta non elaborata e crea un dis-orientamento psichico. Ma come è traducibile tutto questo in relazione al regno della scienza e della conoscenza? La massa di informazioni a cui, in quanto individui, siamo esposti mette in continua competizione una verità scientifica con un’altra, con l’intento di affermarne l’‘Assoluta Verità’, suffragata possibilmente da misurazioni meccaniche o statistiche. La cultura dell’‘esperto’ viene dunque presentata come ‘Autorità’ legittimata per ogni tema relativo alla conoscenza. Mi sorprende che a fronte di fenomeni epocali che stanno scardinando i riferimenti che hanno guidato la nostra esistenza, hanno creato l’humus alla base della nostra identità personale e culturale, l’atteggiamento degli psicologi e degli psicoanalisti si limiti talvolta, a commentare in modo più o meno intellettualistico, tecnico e neutro, senza che sia sufficientemente chiara una chiave di lettura, non di quello che sia giusto o sbagliato, ma di dove sia lo ‘psichico’. Come psicologi, e soprattutto come analisti junghiani, non siamo interessati al valore relativo degli argomenti, da che parte stia la verità o la deviazione o il male; dai  meriti o dalle colpe. Il nostro interesse, diversamente da quello educativo che si chiede cosa possiamo fare con la nostra volontà, risiede nel fenomeno stesso e nella messa a fuoco della sua finalità e del suo senso. Si interroga, in altri termini, su quali siano i possibili confini tra ‘realtà’ e ‘Verità’, senza metterli in contrapposizione o ancor più in competizione. Sembra strano dirlo ma dopo circa un secolo di psicologia, siamo stati ricondotti inesorabilmente alle soglie di una nuova spaccatura tra  mente e materia. Ispirata da una bellissima lettura di J. Hillman, mi sembra qui calzante introdurre una terza immagine: lo scisma. Come suggerisce l’autore in Trame perdute, per l’uomo della strada lo scisma ha a che fare con questioni dottrinali e, di fatto, la metafora e il contesto teologici sono un fatto di fondamentale importanza psicologica. Le esagerate professioni di fede che sfociano nello scisma possono concernere

«il problema di un Dio unico oppure trino, la Riforma o il Papismo, Cristo uomo o Dio, un comunismo nazionale o internazionale,[…] o le varie teorie della libido […], qualunque siano i contenuti, gli elementi sui quali avviene la scissione, questi di per sé, da un punto di vista psicologico, non rappresentano la causa della spaccatura». (Hillman 2010, p. 17)

È proprio a questo elemento di rottura emotiva, di scissione schizoide, di mancanza di integrità, che mi piacerebbe agganciarmi perché credo possa essere il vero focus per la lettura di molte situazioni, che, come psicologi, siamo chiamati a guardare o che a volte ci limitiamo a sogguardare come ‘esperti’ dell’essere umano.

«Lo scisma riflette la capacità intrinseca di ogni dottrina unificata, e rinforzata da una visione monoteistica di frammentarsi, rivelando la molteplicità potenzialmente presente nell’uno. In una fantasia psichiatrica, lo scisma significa psicosi latente,(schizofrenia) in quanto riflette le potenzialità della psiche di scindersi […] perdendo la sua coerenza e i suoi modi di comunicazione tra le parti, e ponendo fine al dominio di un io fortemente strutturato. All’interno di una fantasia mitologica, lo scisma è in relazione con l’assenza di Ermes/Mercurio […], la compenetrazione delle prospettive archetipiche cessa, oppure si è concretizzata in unità auto-isolanti, ognuna delle quali promulga la sua propria dottrina. La mutua coesione degli Dei si infrange, e quando essi non possono più parlare l’uno all’altro, come possiamo parlarci noi?». (ivi, p. 22)

Lo scisma è uno di quei fenomeni che richiedono un punto di vista completamente nuovo e necessitano di essere riscattati «secondo una prospettiva tipicamente psicologica, diversa da quella morale» (ivi, p. 16). Trovo perfettamente calzante l’invito che Hillman rivolge a non confondere il cambiamento a cui lo scisma conduce con il cambiamento come crescita e come separazione. La metafora biologica della crescita, il concetto di soltanto naturale, e alla fine anche gradevole, é divenuto la « sciocca meta-psicologia di un uomo pingue in una cultura in declino» (ivi, p. 19).

Altrettanto inadeguata è la chiave di lettura della separazione, se intesa come un tentativo radicale di affermazione dell’identità individuale, effettuato tramite i turbamenti della divisione e della scissione tra noi e le nostre radici reali o simboliche.

«No, per quanto attiene la problematica dello scisma, dobbiamo tenerci distanti da entrambi gli sfondi interpretativi: né quello della crescita né quello della separazione sono soddisfacenti, il primo perchè rende lo scisma troppo piacevole, il secondo perché è troppo legato alla metafora eroica – crudelmente schizoide – dell’individualità. Questi due modi di concepire lo scisma attenuerebbero il suo dolore soggettivo» (ivi, p. 21).

Questo forte richiamo alla sofferenza soggettiva, a cui Hillman fa riferimento, mi apre la mente e mi aiuta a comprendere quel vissuto di confusione che talvolta nella pratica clinica, ma anche nella quotidianità, ci risucchia, quando, di fronte ad eventi sconcertanti, aberranti, mostruosi, si costella lo scisma tra ciò che l’evento scatena a livello di sofferenza emotiva e quello che la psiche traumatizzata separa da sé, o dal Sé, spostandolo sul piano dei pareri esperti, del bene e del male o talvolta anche delle interpretazioni psico-logiche. Ogni qualvolta le situazioni diventano troppo regolate da principi, da discussioni o dalla insensatezza, in quanto psicologi analisti prima ancora di condannare o disporci a correggere, forse dovremmo ricercare quale direzione abbia il turbamento e quale intenzione la divisione. «Se l’Anima è un fattore archetipico, allora il turbamento che essa provoca non è semplicemente emotivo, ma anche teleologico» (ivi, p. 25). In altre parole, nella descrizione junghiana della psiche, il conflitto portato dall’Anima ha come sfondo la molteplicità. Poiché l’Anima è mediatrice tra la personalità singola e la collettività, essa diviene la rappresentazione della molteplicità che si scinde, seminando divisioni e perciò è bene ricordare quanto sia complessa la totalità. Una lettura trasformativa dell’attualità, forse, può darsi solo nel tenere contemporanea-mente delle visioni incompatibili, senza necessariamente ricadere nell’animosità dello scisma. Attraverso quell’atteggiamento psicologico che Jung definisce ‘coscienza’, si rende possibile creare una condizione di confine tra l’uno e il molteplice, tra l’individuo e il collettivo, tra la materia e lo spirito. La prima presa di consapevolezza deve proprio riguardare il nostro ruolo di ‘esperti’ che, irretiti come tutti gli esperti dalla trappola della Verità, finiamo con l’esprimere dei pareri non su ciò che è ‘psichico’ ma su cosa ‘fa bene’. L’attenzione su questo equivoco ci potrebbe aiutare ad avere anche più coraggio nell’andare contro-corrente, nel formulare nuovi paradigmi quando l’assenza di elaborazione ci spinge a leggere i fenomeni incontrati in psicologia e nelle scienze fisiche o con teorie meccanicistiche o con formulazioni comunemente accettate, senza anima.

Mi piacerebbe concludere con una riflessione che sintetizza qual è la visione, lo sfondo che questa rubrica vorrebbe avere:

«Ma dobbiamo veramente fare questa tragica scelta? Dobbiamo veramente scegliere tra la scienza che ci porta all’alienazione e qualche concezione metafisica della natura, antiscientifica? […] Si sta avvicinando la fine del XX secolo e sembra che la scienza sia arrivata a formulare un messaggio più universale, che parla dell’interazione tra l’uomo e la natura come pure tra uomo e uomo» (Prigogine e Stengers 1984, p. 9).

Non dunque uno spazio dove, come ‘esperti’, analizziamo la realtà, ma come un luogo in cui come ‘rapsodi’ cerchiamo di ricostruire con la Fantasia, di cui parla Jung, le trame tra la sofferenza individuale e lo spirito del tempo per comprenderne le finalità psichiche.


Bibliografia

  • Devoto G., Oli G.C., Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, 2013.
  • Hillman J., Trame perdute, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010.
  • Prigogine I. Stengers I., La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1984.

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