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Nascere per procura: riflessioni su un nuovo paradigma

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

contemporanea

2018 Nuova Serie Numero 0 Contemporanea

A CURA DI ANNA MONCELLI Una delle eredità più significativa che il pensiero di Jung ha lasciato alla psicologia, é stata quella di sottolineare il rapporto dialettico tra lo spirito del tempo e i vissuti individuali. La concezione di malattia e cura, si riferiscono così, ad una psiche che vive nel mondo, nella società e partecipa alla storia. La rubrica Contemporanea in continuità con questa visione, offre uno spazio di riflessione su temi di attualità. E’ uno spazio dedicato alla riflessione e alla ricerca di chiavi di lettura, che mettano in relazione quegli accadimenti del nostro tempo che si impongono all’ attenzione secondo visioni parziali, con una visione simbolica che ne restituisca possibilità di senso psichico.

Nascere per procura: riflessioni su un nuovo paradigma

Segnalate più spesso dai media che analizzate ed esplorate nei più profondi risvolti dagli psicologi, le pratiche di surrogazione della maternità rappresentano uno dei temi più complessi e ‘perturbanti’ della contemporaneità. Prima di addentrarci nella riflessione su questo argomento, si rende necessario come premessa definire brevemente in cosa consistono.

I termini maternità surrogata, utero in affitto o gestazione per altri, rientrano tra i metodi di fecondazione assistita, per i quali una donna, su richiesta di single o coppie impossibilitate a generare o concepire un figlio, si presta a portare a termine un’intera gravidanza e a consegnare il nuovo nato ai genitori committenti. Esistono due forme di maternità surrogata: tradizionale e gestazionale. Nella prima forma, più spesso definita ‘utero in affitto’ l’ovulo della donna che si offre di fare da madre surrogata, viene fecondato in vitro dal seme dell’uomo o di uno degli uomini della coppia e poi impiantato in utero. In questo caso la donna non è solo colei che porterà avanti la gravidanza, ma sarà anche la madre biologica del bambino. Nel secondo caso, la donna è madre surrogata gestazionale: essa porta avanti la gravidanza in seguito all’impianto di embrioni fecondati (fecondazione assistita) e geneticamente appartenenti ai due genitori. In entrambi i casi la ‘madre terza’ si impegna ad ‘ospitare’ la gravidanza fino al parto e a rinunciare al nascituro, solitamente dietro pagamento di una somma. In altri casi si tratta di un vero e proprio gesto di donazione.

Nella nostra qualità di ‘addetti ai lavori’ – in questo contesto in particolare – il focus della riflessione non riguarderà definire l’opportunità di esercitare una pratica individuale, più o meno accettabile, ma interrogarsi e possibilmente ristabilire una dialettica, tra le dinamiche di tutti i soggetti coinvolti (la coppia, la madre terza, il figlio), le implicazioni sociologiche, giuridiche, etiche, antropologiche e, soprattutto, psichiche, relative al sentire individuale e collettivo contemporaneo, e ai suoi nuovi orientamenti. Lo sguardo con cui avvicinarsi richiede una visione completa, totale della psiche che abbandoni, come suggerisce Jung, l’atteggiamento dell’Io e delle sue categorie, per potersi confrontare con tutta la portata di senso e la numinosità che appartiene a questo fenomeno. Questa trasversalità del pensiero, si rende tanto più necessaria quanto più, immersi in un processo di trasformazione dove tende a predominare la visione unilaterale della scienza e della tecnica, non siamo ancora capaci di raggiungere con un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta emergendo nella nostra epoca. Senza questa rivoluzione di sguardo si resta incastrati in un labirinto di fatti, cause, spiegazioni, prese di posizione, che fanno smarrire l’orientamento e la direzione di senso rispetto ai nuovi paradigmi che attraversano la postmodernità.

Nel libro Maternità surrogata: un figlio a tutti i costi della neuropsichiatra Paola Binetti, l’autrice evidenzia tra i tanti, un tema che mi ha molto colpita. La suddivisione del ruolo materno, coinvolto in queste pratiche non ha precedenti nella storia del diritto. Questa situazione ha messo in crisi la maggior parte degli ordinamenti legati da secoli al principio mater semper certa, per cui si considera madre colei che partorisce. Da mater semper certa est a pater semper certus est. Se trasliamo questo concetto ad un livello simbolico e ne ampliamo il senso in termini psichici, non possiamo forse fare a meno di pensare che quello che è in atto è il cambiamento o il capovolgimento di un paradigma, non solo riferito alla maternità come esperienza individuale, ma ad una visione più ampia sulle possibilità generative insite nella nostra epoca:

L’evoluzione tecnico-economica della civiltà industriale, e la penetrazione ideologica dei mezzi di comunicazione di massa ha modificato il sistema tradizionale dei simboli. Ha determinato una intercambiabilità degli individui come elementi di un macroorganismo universale, ha ridotto l’umanità, ad un solo tipo di uomo adatto alla sua funzione unica di cellula generatrice […]. Alla riduzione della valenza biologica del segno, fa riscontro un incremento della sua valenza sociologica, che rinvia al mondo istituzionalizzato il bisogno naturale di appartenenza. È l’omaggio che un sistema dell’essere, porge a un sistema del fare, che si espande man mano che si passa da un stadio di natura, a uno di cultura (Galimberti 1989, p. 199).

L’espressione pater semper certus est potrebbe così essere interpretata come metafora della rottura di uno schema che non appartiene solo alla dimensione genitoriale o ad una questione di genere, ma assume dei confini molto più ampi e più complessi: archetipici. L’idea di natura e di natura umana sembrano da tempo aver cessato di avere un contenuto preciso, e quindi di avere come unico referente e come limite il corpo come entità biologica. Così: «gli abitatori di questo corpo rischiano di visualizzarlo come i saperi ce lo descrivono, perdendo tutti quei volumi di senso che il nostro corpo custodisce inascoltati perché non suffragati dai saperi» (ivi, p. 182).

Abbattere la certezza della maternità o dell’universo di segni che la fissità della natura rendeva possibili e che l’avvento della tecnica via via sembra cancellare, rappresenta un mutamento radicale di cui è importante essere consapevoli, poiché là dove non c’è referente non c’è limite, non c’è norma, orizzonte, identità da salvare, differenze da mantenere per orientarsi. Sostituendo la continuità di un processo, che parte dal legame prenatale e continua nella relazione psico affettiva madre-figlio, con una pratica di laboratorio su commissione, o peggio ancora commerciale, non si rischia di trasformare i desideri in diritti e l’identità dei singoli in qualcosa di fluido e inafferrabile? Annullare la distanza e soprattutto la dialettica, tra l’atto di desiderare un figlio e la sua realizzazione, se manca la consapevolezza, può creare una inevitabile scissione tra affettività e sessualità, tra sessualità e procreazione, tra procreazione e gestazione, tra gestazione e accoglienza del bambino. Può dunque schiacciarli su una dimensione temporale e spaziale concretistica, oltre che a-simbolica. Se, nella fantasia il concepimento di un figlio si colloca tra una dimensione di continuità dell’individuo e della coppia, rappresenta la nascita di una nuova identità, unica, da scoprire nella sua specificità, svincolato da questa dimensione ci dobbiamo chiedere chi sia il figlio. È un diritto di qualcuno o qualcuno con dei diritti?

Jung si sofferma a tal punto sul rapporto fra l’equilibrio interiore degli individui e la situazione collettiva che si costella fuori di lui, da considerare la psicopatologia del paziente come specchio delle nevrosi del proprio tempo. Viceversa più il soggetto è frammentato, disorganizzato, confuso dentro di sé, più è forte il rischio che nel collettivo si crei un sistema ipercompensato, incapace di conciliare gli opposti e assolutistico. Contro questo rischio l’unico rimedio possibile sembra consistere nel rafforzamento della vita interiore come derivato di una psiche che non smette mai di interrogarsi, di riaprire gli orizzonti di senso, soprattutto quando la conflittualità tra le necessità individuali e quelle morali indulgono nella rigidità di posizioni unilaterali. In riferimento al tema in oggetto, può essere importante allora reinterrogarsi e ripartire dalla maternità come ‘mistero della vita’ e ricondurlo al sentire più profondo che ai misteri si connette: il Sacro.

Maternità e mistero della vita

Nella mitologia, divinità come Dioniso, Wotan, Osiride vengono adorate orgiasticamente come dei della fertilità: il femminile percepisce, nel contatto estatico e spirituale con essi, la profondità della sua natura. La coesistenza di estasi spirituale e fisico-orgiastica si manifesta simbolicamente nel fatto che la donna non comprende con la testa ma con tutto il corpo, e i fenomeni spirituali sono congiunti con quelli fisici. I rituali sacri di iniziazione mettono in scena l’eterno insorgere della zoè, il principio vitale della Natura nel bios, generazione dei singoli esseri viventi. La sacralità ruota intorno al mistero, al soprannaturale, di cui le varie divinità incarnano le varie facce, le opposizioni e le congiunzioni, in una eterna ed incoercibile tensione che l’umano non può risolvere con la hybrys, senza il rischio di esserne distrutto. Il paradosso dell’uomo contemporaneo, abbandonata la trascendenza, è quello di avocare a sé la prerogativa divina della contemplazione e ciò esige essere senza macchia, peso, corpo: questa la parabola del narcisismo.

Nella dimensione di vacuum, che lo spirito del tempo ha prodotto e incoraggiato, la dimensione narcisistica ha rarefatto […] le tracce del passato, quelle connesse alle tracce sensoriali del corpo che hanno sedimentato le esperienze divenendo memoria strutturante (Di Renzo 2017, p. 340).

In termini junghiani potremmo ipotizzare che se il logos sublima l’istinto sessuale e incanala l’eros, lo ammaestra, il corpo non trova più la fonte da cui prendere energia e lo spirito non ha vigore per esprimersi. Così si potrebbe leggere la metafora del Pater semper certus est. Fuori dall’epoca del Sacro la ricerca della perfezione non si traduce più in tensione etica ma estetica, non si rivolge al mondo in forma di dialogo ma di monologo. Sembra qui sintetizzata l’odierna incertezza culturale del femminile e del maschile: non più definibili in termini di natura e alla ricerca ambivalente di identità che, capovolgendo riempimento e svuotamento, convessità e concavità, senza che le due polarità possano essere trascese, esprimono la difficoltà di conciliare l’energia ideale con la visceralità, l’individualità con l’accoglienza, la sensualità con la spiritualità. Miti, stili di vita che si radicano nella natura, ma che la cultura del tempo rende inconciliabili secondo Natura.

La consapevolezza umana nasce da una distinzione, dalla differenziazione e dal riconoscimento di ciò che ognuno non è: lì dove finisce il mio corpo e la mia realtà inizia la realtà di un altro oggetto, di un’altra persona e così il mio senso di esistenza si definisce e si rafforza. Questo è un possibile punto di partenza dell’etica. Il politically correct, come espressione unilaterale, convenzionale del logos, persa la sua funzione psichica di psicopompo diviene intellettualismo, e se non è declinato con l’eros imbavaglia e disorienta la coscienza collettiva e la riconduce al un relativismo individuale che rende tutto possibile. Persino il desiderio di un figlio, che nella fantasia prima ancora che nella realtà diviene l’incarnazione del mistero della vita, viene oggettificato, come l’utero di un’altra donna mercificato, senza legame e senza la tensione che il sacrificio (Sacrum facio) richiede. Come afferma Jung nel Liber Novus: «Se il pensiero porta a ciò che è inconcepibile, allora è tempo di tornare alla vita semplice. Quello che non risolve il pensiero lo risolve invece la vita» (Jung 2010, p. 293).

Le nuove forme del Sacro

Nel libro Purezza e pericolo. Un’analisi dei concetti di contaminazione e tabù dell’antropologa Mary Douglas, l’autrice sottolinea come ogni società si preoccupi di identificare nello sporco il nemico dell’ordine e i rituali di purificazione di tutte le culture come un movimento positivo per ristabilire l’ordine. Il corpo, sottolinea l’autrice, fornisce uno schema base per ogni simbolismo.

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«Non c’è nessuna contaminazione che non abbia un riferimento fisiologico primario» (Douglas 1975, p. 163). Gli orifizi del corpo sono particolarmente vulnerabili e tutte le secrezioni del corpo (latte, sangue, urine, feci, sperma), come ogni entrata e uscita da un corpo dentro o fuori un altro (nel rapporto sessuale, durante il parto), rappresentano il confine tra sacro e profano e non possono essere separati da tutti gli altri confini. Il desiderio di purezza, in altri termini, è il desiderio di sottrarsi all’ultima ed inevitabile corruzione della morte: la disintegrazione fisica. La scissione del bene dal male non può essere separata da quella dell’anima dal corpo, dalle idee di purificazione e dal desiderio di immortalità.

È interessante collegare a questo concetto di purificazione, essenzialmente declinato nelle religioni, la visione cibernetica di Norbert Wiener, base delle teorie dell’informazione dei sistemi, poi sfociato nella teoria della mente della scienza cognitiva e delle neuroscienze. Per la costruzione dell’intelligenza artificiale la mente, indipendentemente dal materiale di cui è costituita (cellule o silicone), è una macchina di informazioni e di processi. Questo paradigma culmina nella fantasia futuristica della ‘singolarità’ dello scienziato Ray Kurzweil, secondo la quale la biologia umana sarà trascesa, la gestazione e la nascita diventeranno obsolete. La gravidanza diventerà una pratica barbarica e la clonazione terapeutica eviterà il concetto di feto. Non è difficile ritrovare in questa fantasia computazionale la continuazione nella neoplatonica liberazione di un’anima eterna dalle catene del corpo. Attraverso la singolarità, il materiale inquinato, il corpo femminile e il feto che cresce al suo interno sono eliminati e la vita eterna arriva nella forma di un paradiso tecnologico creato dall’uomo. Una nuova religione?

L’etica dell’Anthropos

Il superamento della concezione biologistica del grembo materno come puro contenitore, è stato determinante per la conquista della libertà e della dignità femminile. Il rischio che si ripropone con la pratica della maternità surrogata, è che la donna torni a diventare un contenitore biologico, per di più commercializzato, senza affettività né per se stessa né per il figlio, la cui origine resterà forse occultata da un segreto innominabile, un’Ombra di cui è importante che i diversi soggetti coinvolti prendano coscienza. «Solo la funzione sentimento può consentire un confronto con l’Ombra, che non degeneri in distruttività e possa consentire un’onestà psichica che non arretra davanti al perturbante» (Di Renzo 2017, 343). Quando lo spirito è ridotto ad una questione di semplice intelletto, la coscienza si esprime solo per mezzo della volontà e delle sue categorie. Il lato oscuro, il limite delle categorie maschile e femminile, sta nel fatto che sono più esclusive che inclusive. È necessario ritrovare l’archetipo che supera questa dicotomia, quello della solidarietà umana, dell’empatia verso il prossimo, della collettività: l’Anthropos che ci ricorda attraverso numerosi miti che in origine prima di frammentarci e di separarci eravamo tutti uniti, parte della stessa realtà.

«Dall’archetipo dell’Anthropos, secondo la mitologia, nascono le stelle, il mondo, i pianeti e anche gli esseri umani» (Mercurio 2017, p. 352) Questa totalità continua a rappresentare nel profondo della psiche, «il sentimento istintivo di appartenenza al nostro mondo e alla famiglia umana» (ibidem) e, superando le categorie della razionalità umana, ci riconnette alla continuità tra natura e spirito restituendo dignità piena all’esistenza di ciascun individuo.

Utero in affitto o gestazione per altri, come afferma Paola Binetti, sono due termini per indicare la stessa cosa, ma assumono due significati diversi. Il primo crea una lunga catena di diritti e di doveri, il secondo parla di una catena d’amore: alla durezza del mercato si contrappone la dolcezza del dono (ibidem). In conclusione, forse è solo l’amore per l’Altro che può unire scienza ed etica?


Bibliografia

  • Binetti P. 2016, La maternità surrogata: un figlio a tutti i costi, Edizioni Magi, Roma 2016.
  • Di Renzo M. 2017, L’archetipo delle origini. Riflessioni cliniche sull’occultamento dell’Ombra, in C. Widmann (a cura di), Archetipi. Gli universali che ci determinano, Edizioni Magi, Roma 2017. Douglas M. 1966, Purezza e pericolo. Un’analisi dei concetti di contaminazione e tabù, Il Mulino,Bologna 1975.
  • Galimberti U., Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano 1989.
  • Jung C.G. 1913-1930, Il Libro Rosso – Liber Novus, Bollati Boringhieri, Torino 2010. Kurzweil R. 2006, La Singolarità è vicina, Apogeo Education, Milano 2008.
  • Mercurio R., Oltre sesso e genere: l’archetipo dell’Anthropos, in C. Widmann (a cura di), Archetipi.
  • Gli universali che ci determinano, Edizioni Magi, Roma 2017.
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