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Lo spettro della psichedelia nella casa della psichiatria

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

setting fuori luogo

2022 Nuova Serie Numero 3 Setting Fuori Luogo

A CURA DI MANUELA TREVISI La rubrica Setting Fuori Luogo si propone di accendere l’interesse sulla tematica di come poter coniugare le due anime del terapeuta: psichiatra e psicoterapeuta di orientamento junghiano. Provocatoriamente, il nome della rubrica, Fuori Luogo, esprime una riflessione Fuori dai luoghi classici dell’analisi. Si propone di aprire una discussione sul contributo che la psicologia analitica in particolare e le diverse psicologie del profondo, possono offrire alle istituzioni, attraverso una visione, che nella pratica clinica quotidiana metta a fuoco una possibilità d’essere terapeuta/curante, non più esclusivamente vincolato alla tecnica, ma espressione di un proprio sentire.

Lo spettro della psichedelia nella casa della psichiatria

La storia della psichiatria che voglio raccontare è una controstoria, dove c’è un ospite indesiderato, perturbante, weird, unheimlich, sinistro, che quasi mai è stato tirato dentro le narrazioni ufficiali: è la psichedelia. Mai citata, quasi mai, perché la storia viene scritta come sempre dai vincitori e qui chi vince, finora, è lo psicofarmaco, ma quale psicofarmaco? Quello funzionale allo stato di coscienza ordinario: neurolettici ansiolitici stabilizzatori e antidepressivi. Le molecole psichedeliche, dopo vent’anni di furore, furono espulse, proibite, maledette, rimosse.

Micheal Foucault, molto prima di prendere la LSD nella Death Valley, scrisse la Storia della follia. Una storia incompleta, d’accordo. Infatti, non contempla la psichedelia, che lui avrebbe conosciuto solo nel 1975. E osa dire che rispetto alla depsichiatrizzazione, nel Novecento, i due elementi salienti sono la psicanalisi all’inizio del secolo e la psicofarmacologia a metà secolo. Psicanalisi? Psicofarmacologia? Ci viene da ridere. L’unica depsichiatrizzazione possibile, insieme a quella degli antipsichiatri alla Laing e agli antistituzionali alla Basaglia la fa la psichedelia, contemporaneamente all’antipsichiatria e alla psichiatria antistituzionale, proprio negli anni d’oro della psicofarmacologia, anni Cinquanta e Sessanta. Ancora di più, ancora più radicale di quella basagliana degli anni Settanta. Ci arrivo. Tempo al tempo.

Foucault fa cominciare la gabbia per i corpi con l’editto francese del 1676. Tutti i devianti di Francia – alcolizzati, libertini, puttane, clochard, mentecatti, vagabondi, nullatenenti, disoccupati, sfaccendati, individui politicamente sospetti, eretici, anarchici, pazzi, idioti, stravaganti, mogli odiate e figlie disonorate, scialacquatori di patrimonio, i migliori, insomma, i fuori norma – stivarli negli ospizi! Una selezione di tutti i perturbatori dell’ordine. Un secolo dopo è Pinel, che dai rivoluzionari francesi riceve l’incarico di dirigere prima l’asilo maschile di Bicêtre e dopo anche il femminile della Salpêtrière. Finalmente può far ordine nel gran mucchio dei devianti: chi ha infranto la legge resta in carcere, chi ha infranto la ragione passa in manicomio. L’illuminismo, d’altra parte, tutto quanto è irrazionale mal sopporta. Bisogna ragionare. E ragionare vuol dire stare coi piedi entrambi nella coscienza ordinaria. Si afferma la biopolitica. Il nuovo potere custodisce il normale. E idolatra la ragione. Illuminismo è Penso dunque sono. Cogito nella coscienza ordinaria. Un mistico, un estatico, un illuminato: non pensa. Se pensi bene sei soggetto, se pensi male sei oggetto. L’oggetto umano insano va in manicomio. L’essere umano dalla coscienza espansa male, viene stivato in manicomio, cosicché il muro e il tetto e la chiave manicomiale diventi perimetro di un io già sconfinato, esorbitato, esploso. Manicomio = ulteriore confine dell’io. Se l’io ha perso i confini ed è finito sulla luna, il manicomio prova a recintarlo. Murarlo. Manicomio per contenere il vento delle teste senza cranio.

Dunque, nasce prima il manicomio, lo spazio chiuso per contenere l’io esploso, e dopo la psichiatria, la scienza che studia e giustifica tutto ciò. Philip Pinel inventa il manicomio nel 1793, e la psichiatria nel 1801.

Pinel è il filantropo che teorizza il trattamento morale. Se la causa della pazzia è morale (errore di traduzione dal francese moral, cioè psicologico) il trattamento deve essere moral, cioè psicologico. Ovvero? Reclusione, isolamento e dominio.

Reclusione per difendere i normali dal pericolo del folle.

Isolamento per osservare il malato come pianta di orto botanico e dopo nominarlo, classificarlo.

Dominio per ammaestrarlo. Come piantina storta, addrizzarlo. Docce gelate, salassi, camice di forza. Poi i vari choc, i legamenti, le punizioni, i regolamenti ossessivi simil carcerari (ancora oggi, fateci caso, nei succedanei dei manicomi, i trecento circa SPDC d’Italia, vige la terapia del dominio. Se no, perché continuare a legare le persone ai letti?).

Dopo Pinel è l’allievo prediletto, Esquirol, che perfeziona il metodo del maestro: il manicomio è la cura.

Trasferiamoci in Germania, dove c’è Kraepelin che a fine secolo scrive il Compendio che poi diventa Trattato di psichiatria e capostipite dell’attuale DSM-5 che spartisce la follia in due grandi tronchi: i folli nell’umore che guariscono tra le crisi (i maniaci depressi) e i folli nel pensiero o folli cognitivi che non guariscono più perché hanno la dementia praecox. Griesinger gli dà ragione, il cervello dei dementi precoci è un cervello rotto. Nancy Andreasen pure, se è per questo, eppure siamo nel 1984 quando pubblica The broken brain. Stiamo ancora aspettando di vedere dove è rotto, il cervello degli schizofrenici.

Intanto, Charcot alla Salpêtrière gioca con le isteriche o forse sono le isteriche e gli isterici che giocano con lui. Il gran taumaturgo dell’isteria tratta le isteriche come animali da circo, e loro riproducono obbedienti e suggestionate la sintomatologia che lui si aspetta. È iatrogeno e non lo sa. Eppure, sembra un mago. Infatti, c’è un medico, troppo legato alla coscienza ordinaria per la troppa cocaina, che va da Charcot alla Salpêtrière e va da Bernheim a Nancy per imparare la tecnica per ipnotizzare. Ma non gli riesce, ipnotizzare non è il suo forte, come mai? La troppa cocaina, forse, la cocaina era una iattura un secolo fa come lo è adesso, è la droga della coscienza ordinaria, la droga che irrobustisce i confini dell’io, che irrigidisce il pensiero paranoicizzandolo, perfino. Insomma, Freud non riesce a ipnotizzare e si inventa le associazioni libere e l’attenzione fluttuante. La cocaina tra l’altro rende grafomani. Eppure, Anna O. l’isterica sperimentava stati di coscienza espansa, come fosse sotto psichedelici, e sì, regredì, come accade durante le sedute con LSD, fino all’infanzia, rivisse traumi, eppure questo stato di coscienza diventò sintomo isterico piuttosto che stato fecondo con cui lavorare. Freud restò per sempre legato alla coscienza ordinaria, alla biografia, soltanto quella post-natale e all’inconscio personale. Altra cosa è Jung.

Hillman, nel suo L’anima del mondo e il pensiero del cuore, nella prima conferenza (tenuta a Roma il 22 maggio 1973), intitolata Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia archetipica, cita Jung, che nel quinto capitolo di Ricordi, sogni e riflessioni rievoca un sogno che fa mentre navigava verso gli Stati Uniti insieme a Freud, era il 1909. Il viaggio, e il sogno che accade in quel viaggio, sono molto importanti, perché da lì, da quel viaggio, o forse proprio da quel sogno, inizia la loro separazione, l’allievo si stacca dal maestro e diventa a sua volta maestro. Maestro di un’altra psicologia. Nel sogno c’è una casa a più piani, quello superiore è arredato in stile rococò, scende al piano inferiore, che è arredato in stile rinascimentale e medievale, scende ancora di livello e il piano sotto è di epoca romana, poi c’è una botola, lui scende ancora (è un viaggio sciamanico nel mondo di sotto questo di Jung, ovviamente) e adesso c’è una grotta stretta e buia con resti archeologici e due teschi umani. Scrive Hillman che per Jung il sogno risaliva fino alle fondamenta della storia della civiltà, una storia di successive stratificazioni della coscienza, una specie di diagramma della struttura della psiche umana. «Quel sogno – dice Jung – diventò per me un’immagine-guida […] fu la mia prima intuizione dell’esistenza, al di sotto della psiche personale, di un a priori collettivo» (Jung 1961). Ecco, con questo sogno Jung vede dove Freud – che viaggia in coscienza ordinaria, incapace di inabissamenti sciamanici – non era arrivato: cioè che oltre l’inconscio personale, biografico, v’è un inconscio collettivo. Oltre un inconscio freudiano da allora diciamo che c’è un inconscio junghiano. E non è un caso che Jung, per mezzo di Minkowski, influenzi Bleuler e dopo Basaglia.

Siamo al Burghözli adesso, clinica zurighese che tra Ottocento e Novecento è la scuola di psichiatria più avanzata nel mondo. Bleuler è ottimista più di Kraepelin e non ritiene la dementia praecox un destino, il disturbo generatore è la spaltung, o meglio la zerspaltung, che vuol dire frammentazione, frantumazione, spezzettamento e non è un altro modo di raccontare una coscienza che esce dall’ordinario e si innalza troppo e si sperde?

Ed è Jung, il massimo esperto di coscienza non ordinaria e di inconscio non solo biografico e personale ma transpersonale e collettivo, che per primo comprende il vissuto schizofrenico. Ecco perché Freud rinuncia a comprendere e trattare con la psicosi (che è coscienza non ordinaria) e si dedica alla più mite nevrosi (che è coscienza ordinaria) e si autolimita in una filosofia confessionale e Jung invece nel tempo che trascorre al Burghözli insegna a Minkowski l’importanza della relazione, altro che starsene freudianamente o kraepelinianamente neutrali ma mettersi in gioco, mettersi in rapporto. Sacrificarsi. La cosa più terapeutica – dice – è il sacrificio del terapeuta. Sacrificio vuol dire che il terapeuta corre il rischio di farsi contagiare dallo stato di coscienza disordinato dello schizofrenico, dai suoi picchi mistici o estatici o epifanici. Jung che va perfino oltre Jaspers, che distingue il comprensibile dall’incomprensibile e miseramente decreta l’incomprensibile inguaribile. Jung che dichiara la sua affinità elettiva con Henry Bergson, Bergson che rivaluta il ruolo dell’intuizione contro l’intelletto, ed è grazie a Jung e Bergson che Minkowski si fa promotore di una diagnosi intuitiva che sente prima ancora di infilare scientificamente i sintomi, una diagnosi per penetrazione, gefüldiagnose, o meglio: una diagnosi per sentimento.

E da dove proviene al terapeuta una diagnosi così intuitiva se non da uno stato di coscienza espanso pure da parte del terapeuta, che sa sintonizzarsi con lo stesso stato coscienziale del malato per fare del suo cervello un’antenna che, disattivando quella valvola di riduzione che mezzo secolo dopo Aldous Huxley, sempre prendendo da Bergson, ipotizza, sa fare download di informazioni che provengono da qualche parte: etere, DNA, materia oscura, mondi paralleli oppure inconscio collettivo, boh?

Ecco il filo rosso, allora, Bergson, Jung, Minkowski, Basaglia. E fin qui niente di nuovo. Ciò che in pochi sappiamo però è che questo filo fa dei giri per luoghi meno noti. E per protagonisti della psichiatria quasi sconosciuti.

***

Fino agli anni Cinquanta gli psichiatri fanno a meno dei farmaci. Questa la narrazione dei vincenti. C’è la lobotomia. Ci sono le terapie di choc. Malaria, insulina, poi il famigerato elettrochoc di Bini e Cerletti. Cosa sono le terapie di choc? Cos’è l’elettrochoc? Maldestri trattamenti sciamanici di morte e rinascita, se solo ci pensate. E funzionavano. Mica no. Ma a che prezzo? Distruggere la Default Mode Network, non disattivarla temporaneamente. Gli psichedelici disattivano temporaneamente la valvola di riduzione huxleyana che oggi i neuroscienziati dell’Imperial College chiamano DMN, l’elettrochoc la distruggeva completamente, atrofia cerebrale e demenza. Una sorta di lobotomia elettrica. Ma sono meglio le molecole psichedeliche, allora. E non è che non ci fossero, nei primi decenni del secolo, le molecole psichedeliche, c’era la mescalina, isolata da Lewin nel 1888, uno tra i 27 alcaloidi del Peyote e sintetizzata da Heffter nel 1896. Nei primi anni del secolo, mentre Freud ci dava sotto di cocaina, Heffter, Ellis, Boringer, Kluver, Morselli e altri psichiatri/ psicoterapeuti assaggiarono la mescalina, e però non la compresero. Convinti che fosse psicotomimetica. Che, per qualche ora, ti facesse impazzire. Giovanni Enrico Morselli, nel 1932, ne prese ben 700 mg e credendo di impazzire andò a farsi assistere nel manicomio di Torino.

Intanto, nel 1938 Albert Hofmann a Basilea, poco lontano da Zurigo, sintetizza la LSD-25 e la mette da parte, la rispolvera dopo cinque anni quando a Chicago il gruppo di Fermi ha pronta la bomba atomica, perché lo sciamano Hofmann sente che sul mondo incombe il fungo atomico e si rimette a lavorare a un fungo di segno opposto, il fungo della claviceps purpurea che, quando parassita la segale la rende cornuta, uno sclerozio, un corno, un ergot lo chiamano i francesi, che se lo analizzi ci trovi alcaloidi stupendi, dall’ergotina per fermare l’emorragia del parto all’ergotamina per fermare l’emicrania, ma lui però lavora sull’acido lisergico e lo sposa alchemicamente con la Dietilamide ed ecco magicamente la LSD. La prova su di sé, 250 microgrammi, un quarto di milligrammo, un’inezia omeopatica, eppure muore, e dopo rinasce, compie l’esperienza che da millenni gli sciamani compiono, morire, andare nel regno dei morti, o nel bardo, e dopo tornare, con più sapere e più potere. Tempo pochi anni e tutti i laboratori, le cliniche, i manicomi, le università del mondo ricevono il Delysid, ovvero la LSD farmaceutica da somministrare o ai malati psichici in piccole dosi per agevolare il ritorno del rimosso e velocizzare la psicoterapia oppure agli psichiatri a dosi alte perché provino, per qualche ora, l’ebbrezza di essere psicotici. In modo da essere poi più empatici, coi loro malati. Sono i due paradigmi più semplici, questi, psicolitico, che non infastidisce la psicoterapia, anzi finalmente la velocizza, e psicotomimetico, che non infastidisce la psichiatria perché conferma la sua teoria: la follia è determinata da un qualche neurotrasmettitore impazzito, una sorta di mescalina o LSD endogena.

Ma di lì a poco Humpry Osmond, di concerto con Aldous Huxley, scoprirà che la molecola LSD fa di più, molto di più che mimare la follia.

Intanto il mondo da un secolo e mezzo è diventato una fabbrica di internamenti. Le nazioni del mondo pensano che più manicomi significhi più civiltà. In Italia, per dire, nel 1861 dopo l’unità ce ne sono 12.000, nel 1961 quando Basaglia ci entra dentro per dirigerlo e distruggerlo, il manicomio, sono più di centomila gli internati dei manicomi provinciali. La legge italiana del 1904 che si ispirò a Lombroso dice che nei manicomi si seppellisce per sempre chi è pericoloso per sé e per gli altri o chi procura pubblico scandalo.

Gli anni Cinquanta sono gli anni d’oro della chimica per il cervello. Inizia l’era della psicofarmacologia, che poi diventerà, dagli anni Ottanta, manicomio chimico che prende il posto del manicomio concentrazionario. Cloropromazina poi Tioridazina poi Aloperidolo e il cervello è imbrigliato, la coscienza troppo esplosa dei fuori di testa la si ingessa, i farmaci che atarassizzano, corpo e psiche, finalmente fanno respirare gli psichiatri. Hanno i loro antibiotici. Sono diventati medici come tutti gli altri.

Ma sono gli anni in cui – se le molecole sono demoni, o spiriti, o entità – varie molecole si giocano la partita: chi sarà lo psicofarmaco perfetto? Con quale molecola gli psichiatri se la vedranno con la follia? Le molecole che chiudono, abbassano la coscienza, o le molecole che aprono, espandono elevano la coscienza?

A Praga come ovunque arriva dalla Sandoz di Basilea sia la Tioridazina detto Melleril per fermare i pensieri, sia la LSD detta Delysid per farli volar via proprio, i pensieri, le percezioni. Stanislav Grof non c’è tra i nomi dei grandi psichiatri, invece, in una riscrittura della psichiatria (mettiamo che avessero vinto la partita le molecole psichedeliche e non quelle neurolettiche), ci sarebbe Grof in primo piano. Grof appena laureato prova nel 1955 la LSD e vola nella Via Lattea. Esce dal corpo e muore. Out of body experience e near death experience insieme. Capisce che morire è terapeutico. O meglio, far tirocinio del morire è terapeutico. Con gli psichedelici si fa ciò che fanno da millenni gli sciamani col tamburo o la deprivazione di sonno o il digiuno o il freddo o l’isolamento o con le piante. Si muore e si rinasce.

Lo comprende perfettamente Aldous Huxley nel 1953 quando lo psichiatra Humphrey Osmond lo va a trovare a Hollywood con 300 mg di mescalina. Le porte della percezione gli si spalancano di brutto. Il paradiso e l’inferno. Agonia ed estasi. Si ricorda di Bergson. Il cervello non è lui a produrre la coscienza, piuttosto ha in sé un dispositivo, una valvola riducente, mettiamo, che ci preserva dall’eccesso di coscienza, e di conoscenza, troppa gnosi non ci vuole operativi, concreti. Bevi 300 di mescalina o 250 di LSD e la coscienza esplode e si spalanca il tutto. Oltre a questo Huxley comprende anche che questa esperienza ti insegna a morire. Lo scrive ne L’isola, dove la moksha è la droga dell’estasi e dell’agonia, perché le persone hanno il diritto di sapere dove andranno, quando usciranno dalla vita.

Contemporaneamente c’è un banchiere che trova finalmente il luogo dei funghi magici, che gli Atzechi in lingua nahuatl chiamano teonanàcatl. Carne di Dio. E che gli inquisitori spagnoli, dopo la conquista messicana di Cortès, hanno perseguitato e spinto a nascondersi nelle montagne a fare le veladas, cerimonie nascoste dove, con qualche grammo di fungo secco in pancia, la gnosi accade. E il Dio si manifesta. Il fungo enteogeno.

Gordon Wasson invia i niños di Maria Sabina ad Albert Hofmann che anche da questo fungo estrae il principio attivo: l’alcaloide psilocibina. Negli anni Cinquanta e Sessanta queste tre molecole – LSD, psilocibina e mescalina – saranno le più feconde, altro che droghe, psicofarmaci numinosi, enteogeni, psichedelici. Psiche + delos, questo il nome che fu estratto dal carteggio tra lo psichiatra Osmond e il filosofo Huxley. Il farmaco con cui la psiche si rivela a se stessa.

Basaglia, intanto, nel 1961 – l’anno in cui tutti i testi antipsichiatrici o antistituzionali da Asylums a Storia della follia, da I dannati della terra a Il mito della malattia mentale, vedono luce – lascia l’università e mette piede in un manicomio ai confini del mondo occidentale, Gorizia, lungo il confine jugoslavo, per dirigerlo. E per distruggerlo.

Come in tutto il mondo occidentale, così pure in Italia vi sono due psichiatrie: i poveri e molto matti in manicomio, i ricchi e meno matti nelle cliniche private o universitarie o negli studi dorati degli stessi psichiatri che di mattina somministrano violenza e elettrochoc in manicomio. È in questo scenario che irrompe Basaglia. In Italia, perché Laing in Inghilterra o Szasz negli USA non hanno la stessa capacità di sacrificio che ci vuole per mettersi vent’anni in un manicomio con il solo scopo di distruggerlo. Laing andava a Millbrook da Leary a prendere la LSD. Szasz in Brasile a fare psicoterapie a Copacabana. Basaglia in manicomio tra i vomitati della società (per dirla con Lévi-Strauss), tra i dannati della terra (per dirla con Fanon). Si ispira alla Comunità terapeutica inglese: a Dingleton Maxwell Jones ha trasformato un manicomio in luogo democratico e permissivo. Lui va, vede, e radicalizza. In Italia non ci sono le condizioni e non solo lo fa lo stesso, ma di più: non vuol trasformare il manicomio in luogo terapeutico, ma distruggerlo. La distruzione del manicomio è un fatto urgentemente necessario se non semplicemente ovvio, dirà nel primo congresso a cui partecipa nel 1964.

Comincia a Gorizia (1961-1969) continua a Trieste (1971-1978), svuota il manicomio e apre i servizi territoriali, Centri di Igiene Mentale. Nel 1978, legge, 180, i manicomi aboliti. L’anno dopo un ciclo di conferenze in Brasile. Uno gli domanda: cos’è terapia. Lui: farmaci? analisi dell’Edipo irrisolto? Oppure farsi carico dei bisogni delle persone? La nostra scoperta (politica e scientifica) è che un malato non è solo un malato ma un uomo con tutte le sue necessità. Quindi cos’è terapia? insiste l’interlocutore. E lui: lotta contro la miseria.

Ad Harvard Timothy Leary, che si è acceso con i funghi psilocibinici, ha in testa alcuni progetti di ricerca. Il primo è: curare con i funghi i detenuti di un carcere di massima sicurezza. Curare con la potenza enteogena dei funghi persone antisociali diremmo oggi, psicopatici si diceva allora, insomma persone con un quoziente etico molto basso. Il 27 marzo 1961 nell’infermeria della prigione Concord alcuni psicologi di Harvard e alcuni detenuti assumono compresse di psilocibina. Dopo un’ora quella medicheria è diventata un luogo sacro. Le loro domande non sembrano certo da psicopatici ma da esistenzialisti: Perché siamo qui? Perché esistono le prigioni? È roba da matti, noi malfattori, loro poliziotti, come abbiamo fatto ad arrivare a questo? Anche i test dimostravano che erano cambiati, meno depressi, ostili, antisociali, più cooperativi. Escono in prova, però dopo poco tornano dentro, solo perché non sono riusciti a trovare lavoro. La società, fuori, non è pronta al reinserimento del galeotto.

Stessa cosa era la dinamica del manicomio. Se non c’è fuori un servizio di salute mentale forte, l’internato dimesso torna dentro. Dice Basaglia: Abbiamo violentato la società. La società che per secoli ha violentato il folle respingendolo fuori da sé in questi luoghi chiusi, l’abbiamo costretta a fare i conti con questo suo corpo espulso. Perché in alcuni luoghi (Trieste per esempio) si riesce a demanicomializzare? Perché i servizi di salute mentale sanno lavorare non solo su farmaci e psicoterapia ma su tre assi che sono i bisogni più radicali che una persona possa avere: casa, lavoro, rapporti sociali.

Sarebbe bastato a Timothy Leary lavorare con Basaglia e la terapia psilocibinica per riabilitare i detenuti avrebbe funzionato. Sarebbe bastato a Franco Basaglia avere con sé un terapeuta psichedelico come Timothy Leary e nei Centri di Salute Mentale di Trieste (e d’Italia) non avremmo avuto persone costrette a prendere depot (o long acting) ogni mese per evitare i ricoveri coatti. Purtroppo, i due non si sono mai incontrati, e dunque inutile congetturare ucronie, andiamo a vedere come prosegue la storia parallela di psichiatria e psichedelia.

Prosegue che il gioco della psicologia sta stretto a Leary, che lascia Harvard o meglio ne viene cacciato e fonda a Millbrook la Castalia Foundation, dove lui come Joseph Knecht de Il giuoco delle perle di vetro di Herman Hesse è il Magister Ludi, Castalia è una Eleusi moderna dove nel dovuto rispetto di set e setting ci si illumina, soprattutto le élite (Laing, Warhol, Watts, per dirne alcuni). Un altro polo psichedelico è La Honda dove Ken Kesey, l’autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, sperimenta selvaggiamente coi suoi Merry Pranksters.

Ken Kesey è uno dei molti che assaggiano l’acido grazie alla CIA e al suo paranoico progetto MK-Ultra. Quei paranoici della CIA ambivano a essere i migliori, più bravi dei nemici comunisti sovietici nel brainwashing, e allungavano senza dirlo le bibite di persone ignare, in contesti pubblici. Come al povero biochimico dell’esercito Frank Olson, che dopo alcuni giorni di allucinazioni si getta da un grattacielo. Un altro fu Unabomber, al secolo Theodore Kaczynski. Per lui l’illuminazione che ebbe con l’acido che gli somministrò la CIA non fu proprio amorevole, diciamo.

Insomma, le molecole psichedeliche uscite fuori dai laboratori spaventano il governo degli Stati Uniti che il 6 ottobre 1966 le mette fuori legge.

Nel 1971 i paesi dell’ONU riuniti a Vienna stipulano la Convenzione sulle sostanze psicotrope, in tabella I le più pericolose, tra cui LSD, psilocibina, mescalina e Dmt.

Negli anni ’70 le molecole psichedeliche come Fenice si inabissano. Usate solo clandestinamente da contrabbandieri sciamanici o psicoterapeuti in incognito come Leo Zeff che si fa chiamare Jacob.

Negli anni ’80 dunque inizia la rimonta della psichiatria biologica, organicista. Le spinte dell’antipsichiatria si sono esaurite. L’Associazione degli Psichiatri Americani riesce a impiantare un altro manicomio molto più sofisticato per imbrigliare corpi e menti degli umani. Un manicomio nosografico e molecolare, basato sul manuale diagnostico DSM e sugli psicofarmaci che hanno vinto la sfida degli anni Sessanta contro le molecole psichedeliche.

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Ecco che una volta disinnescati i farmaci più interessanti, le molecole psichedeliche, ormai proibite e demonizzate, non resta che lanciare sul mercato, senza più nessun concorrente valido, i farmaci più funzionali al controllo.

L’American Psychiatric Association fa una partnership con le maggiori aziende farmaceutiche (Big Pharma), con il National Institute of Mental Health (organo governativo di ricerca) e con la National Alliance of Mentally Ill (associazione dei familiari). La santa quadruplice alleanza dimostra al mondo intero che il cervello dei malati psichici è rotto e lo si può aggiustare solo coi farmaci. Piove denaro addosso agli psichiatri. Ghost writer delle aziende farmaceutiche scrivono per la loro firma articoli compiacenti e prezzolati. Inizia la propaganda dei farmaci stellari, Prozac tra i SSRI, Risperdal tra i nuovi antipsicotici dopo di lui Zyprexa. Listening to Prozac di Peter Kramer, come il Prozac diventa un best seller, il Prozac non è solo un antidepressivo ma un cosmetico psichico, che devi assumere per sempre, anche tutta la vita, si capisce.

Ovviamente per lanciare farmaci-pallottole-intelligenti addosso agli umani devi convincerli che abbiano una diagnosi. È del 1980 il DSM-III, il primo dei manuali diagnostici ateoretici (niente teoria, solo elenco di segni e sintomi). Del 1994 il DSM-IV, del 2013 il DSM-5. Le diagnosi aumentano di edizione in edizione e sono a maglie sempre più strette. Tutto l’esistente diventa psicopatologia. Da trattare con i farmaci. L’invenzione del disease mongering. Invenzione di malattie per vendere farmaci. Lutto diventa depressione, timidezza diventa fobia sociale, l’eccessiva vivacità diventa iperattività.

Ma questi farmaci, da quando esistono (anni Cinquanta), hanno migliorato la salute psichica degli individui?

Non sembra, se nel mondo vi sono 400 milioni di depressi, 60 milioni di bipolari, 20 milioni di schizofrenici, un altro mezzo miliardo tra gli ansiosi.

Ecco che nei 40 anni trascorsi dal 1980 (morte di Basaglia/pubblicazione DSM-III) a oggi il manicomio concentrazionario si è trasformato in manicomio nosografico e farmaceutico.

In questi 40 anni però, in assoluta clandestinità, vi sono stati terapeuti resistenti che hanno continuato a fare terapie assistite con molecole psichedeliche. L’archetipo di tutti loro: Leo Zeff.

Questa attività clandestina ha nutrito un piccolo gruppo di psi che hanno avuto la forza di ricominciare, a cavallo del nuovo secolo, il gioco della ricerca psichedelica. Rick Strassman negli USA con la Dmt nei primi anni ’90, Peter Gasser e Franz Vollonweider in Svizzera nei primi anni ’90, per arrivare a Roland Griffiths che nel 2006 pubblica uno studio dove si dimostra che l’assunzione di psilocibina induce esperienze mistiche che trasformano positivamente le persone. Come?

Ce lo spiega il gruppo di ricerca inglese dell’Imperial College composto da David Nutt e Robin Carhart-Harris che sottoponendo a indagini di RMNf volontari che hanno assunto LSD o psilocibina, osservano i cambiamenti a livello cerebrale. Osservano che una certa area si disattiva – la Default Mode Network – consentendo a tutto il cervello di entrare in uno stato entropico/anarchico assolutamente virtuoso e terapeutico: il cervello esce dalla sua rigidità di pensiero e consegue risposte, intuizioni, soluzioni, rivelazioni mai conseguite prima.

Risultato: ciò giova a persone con depressione, con idee suicidarie, con ossessioni, con dipendenze, con Disturbo post traumatico da stress, con angoscia da fine vita. E altre condizioni.

Considerazioni terapeutiche 1: dal punto di vista farmacologico, queste non sono terapie da assumere per mesi, anni o per sempre come le attuali terapie psicofarmacologiche ma sono terapie da assumere una sola volta oppure con dei richiami annuali, mettiamo, come fossero dei vaccini.

Considerazioni terapeutiche 2: nell’ottica di una terapia psicolitica, le molecole psichedeliche renderebbero finalmente efficaci e più rapide le psicoterapie.

Considerazioni terapeutiche 3: alla luce di queste terapie si può finalmente riscrivere la cartografia psichica, superando sia i riduzionismi che hanno caratterizzato la psicofarmacologia finora, sia la limitata cartografia psicanalitica che per lo più si rifà alla narrazione freudiana.

Ecco che lo spettro della psichedelia ritorna a spaventare le stanze della casa della psichiatria. Spaventa le sue 300 caselle nosografiche by DSM-5 e spaventa i suoi attuali psicofarmaci da assumere per lo più tutti i giorni e per anni o per sempre.

Se lo spettro non sarà di nuovo esorcizzato, e vince stavolta la partita, assisteremo a una rivoluzione scientifica.

Rivoluzione scientifica nel senso di cui scrive Thomas Khun ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche: cambia il paradigma, come accadde per Copernico vs Tolomeo, o per Einstein vs Newton. Nel nostro caso le molecole psichedeliche rivoluzionerebbero le psicoterapie rendendole finalmente rapide ed efficaci. E rivoluzionerebbero la psicofarmacologia rendendola non più terapia a vita ma una tantum.

Ciò significa che se lo spettro della psichedelia vince non solo dissolve l’ego, ma manda all’aria la casa della psichiatria.

Se invece la psichiatria, la sua casa fatta, oggi, di diagnosi e psicofarmaci che mantengono ferma la coscienza, riusciranno di nuovo a depotenziare lo spettro della psichedelia (ieri con la messa fuori legge oggi con l’addomesticamento e il depotenziamento), beh, vorrà dire che la psichedelia continuerà come ha sempre fatto da millenni: nascosta, esoterica, misterica, clandestina, sciamanica, curanderica, ancestrale.

Bibliografia

  • Jung C.G. 1961, Ricordi, sogni riflessioni, a cura di Jaffé A., Rizzoli, Milano.
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