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La disforia di genere nell’età evolutiva e il suo impatto psicosociale

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

QCJ 2015

2015 Numero 4

La disforia di genere nell’età evolutiva e il suo impatto psicosociale

Prima di addentrarci nella riflessione sullo sviluppo atipico dell’identità in età evolutiva, oggetto della conferenza, si rende necessario soffermarsi su una breve premessa che accenni all’ampiezza e alla complessità del contesto in cui si inscrive nell’attualità questo tema. Alcune di queste considerazioni pur non riferendosi testualmente all’intervento del professor Di Ceglie, ci sono sembrate utili sia a definire una terminologia che per la varietà di approcci a cui può attingere merita di essere specificata, sia a dare spazio alle diverse stimolazioni e possibilità di lettura che questo argomento si presta a sollecitare. La modernizzazione della nostra società ha prodotto una progressiva trasformazione dei ruoli sessuali che ha innescato un processo di mutamento del rapporto fra assegnazione sessuale e percezione di sé tuttora aperto e irrisolto, sia come processo sociale e collettivo, sia inerente la definizione dell’identità maschile e femminile. L’affermarsi nell’organizzazione della società del principio di uguaglianza dei diritti personali contro l’assolutezza dei principi gerarchici, ha colpito al cuore la base stessa della differenziazione fra i sessi come storicamente concepita. Mentre la contemporaneità si costruisce attraverso percorsi di elaborazione più soggettivi, essere maschio o femmina oggi è qualcosa di molto meno stabilito socialmente di quanto avvenisse in passato, così come per quello che riguarda gli altri ruoli, sia sociali, sia affettivi. La riflessione emersa in questi ultimi anni si è concentrata sul problema di come coniugare uguaglianza e differenza, cercando di valorizzare la differenza come un elemento di arricchimento e non come causa di svantaggio. È da questo humus culturale che sembra avere tratto ispirazione il più recente concetto di identità sessuale che nell’ambito della ricerca psicologica, sottolinea in modo sempre più chiaro il grado di influenza e interrelazione reciproca tra strutturazione e sviluppo della personalità umana e contesto storico culturale dato. Nell’affrontare questo tema si rende necessario operare innanzitutto una distinzione terminologica che ne definisca le tre principali componenti: l’identità di genere, l’identità di ruolo e l’orientamento sessuale. La prima rimanda alla consapevolezza interiore, intima, che ogni persona ha del proprio genere sessuale. È il senso soggettivo, la persistenza della propria individualità maschile e femminile intesa come esperienza di percezione sessuata di se stessi e del proprio comportamento. Il concetto di ruolo di genere fa riferimento ai comportamenti attribuiti da una società agli appartenenti ad uno o all’altro sesso biologico, e quindi alle aspettative rivolte agli appartenenti all’una o all’altra categoria. J. Money ha esemplificato il rapporto tra questi due concetti definendo l’identità di genere come l’esperienza  privata del ruolo di genere ed il  ruolo di genere come la manifestazione pubblica dell’identità di genere. Infine, l’orientamento sessuale  riguarda l’attrazione sessuale a cui risponde il soggetto,in particolare il sesso del partner. Dagli anni ’50 in poi, grazie ai  lavori  sulla  sessualità umana di A. Kinsey, l’orientamento sessuale non viene considerato come  dicotomico ma lungo un continuum, all’interno del quale si collocano le definizioni “omosessuale”, “bisessuale”, eterosessuale”. Il rapporto e l’interrelazione  tra queste componenti costituisce un elemento basilare nel dibattito sull’inserimento della disforia di genere nella classificazione diagnostica attuale. In un individuo adulto l’identità di genere,è il risultato di una serie di fattori biologici,  psicologici,  culturali ed ambientali che insieme confermano l’iniziale determinazione cromosomica del sesso. Se questi fattori non si succedono armonicamente,  consolidando la sensazione di una definita identità di genere,  possono crearsi delle situazioni conflittuali,  ambigue o contraddittorie che sono conseguenza della difficoltà ad accettare il ruolo di genere assegnato.

 L’identità di genere: sviluppi tipici e atipici

Sono in linea con quanto appena premesso, l’approccio e le chiavi di lettura fornite nell’ambito della conferenza “«La disforia di genere nell’età evolutiva  e il suo impatto psicosociale» dal prof. Domenico Di Ceglie.2 Il particolare merito del professore è quello di occuparsi della realtà delle differenze sessuali non solo nella multiformità di temi che la caratterizzano, ma sviluppando in questo ambito interessanti ricerche che hanno contribuito ad ampliarne la conoscenza. Il tema dello sviluppo dell’identità di genere,  più spesso oggetto di narrazioni letterarie e mediatiche, appartiene ad un territorio clinico e scientifico in buona parte ancora inesplorato. Per molto tempo infatti, si è ritenuto che il sesso inevitabilmente coincidesse con il genere e lo determinasse. Un individuo nasce femmina o maschio, ma la sua identità e la sua espressione di genere, relativa alle aspettative di ruolo socio-culturali di mascolinità e femminilità, come già accennato, non sempre coincidono con il suo sesso biologico. La assimilazione e la sovrapposizione tra sesso, identità di genere, ruolo di genere e talvolta anche di orientamento sessuale ha generato confusione ed errori clinici e scientifici. Già Freud aveva sottolineato come ‘maschile’ e ‘femminile’ non rinviavano semplicemente allo sviluppo sessuale del bambino e della bambina, ma si riferivano piuttosto alla modalità psicologica con la quale ogni individuo affronta con le fantasie questo riconoscimento. La concettualizzazione di Jung di ‘Animus’ ed ‘Anima’ come caratteristiche controsessuali di ciascun individuo, rendeva ancor più esplicito il principio di complementarietà dinamica attraverso il quale si muove la psiche individuale inconscia. Tuttavia per giungere al termine ed alla definizione attuale di identità di genere, si deve risalire ad un periodo storico relativamente recente. È stato lo psicoanalista americano R. Stoller, che negli anni sessanta ha iniziato a studiare bambini transessuali e adolescenti con errata attribuzione di genere alla nascita e a definire l’identità di genere,come l’acquisizione conscia e inconscia di appartenere al proprio sesso e non all’altro. Il termine identità di genere andava a distinguere l’anatomia dei genitali, dal complesso sistema di credenze che accompagnano l’identità e il ruolo in cui  soggettivamente e psicologicamente l’individuo si riconosce. Nella formazione dell’identità di genere come abbiamo già sottolineato, sono coinvolti vari fattori genetici e ambientali, intrapsichici e relazionali: le disposizioni innate a livello cromosomico ed endocrinologico, le influenze ambientali sul comportamento,l’assegnazione del sesso alla nascita in base all’aspetto dei genitali esterni, le differenze comportamentali innate legate al sesso, le sensazioni corporee del bambino, soprattutto a livello delle zone genitali. Come sottolineano alcune teorie psicoanalitiche, non si può non menzionare l’importanza dell’atteggiamento dei genitori nella prima assegnazione dell’identità sessuale del bambino non solo al momento della nascita ma anche come preconcezione nella loro mente,dipendente dalla loro personalità, dalla loro relazione, dalla composizione della famiglia, dalle loro aspettative, che influenzano l’atteggiamento nei confronti del nascituro ed il ruolo che assegneranno al suo corpo e al suo genere. Lo psicoanalista francese André Green (1983) ipotizza l’attribuzione inconscia di un sesso al bambino da parte dei genitori, come il primo tra gli organizzatori dell’identità sessuale. Dopo la nascita sono di primaria importanza gli atteggiamenti e investimenti, soprattutto materni, nei confronti del sesso del neonato. Secondo la moderna Infant Research esistono etichette inconsce (unconscious labels) che trasmettono, in modo molto sottile, in ogni interazione, il vissuto del padre e della madre riguardo alla femminilità o alla mascolinità (il modo di maneggiare – handling – il bambino, il tono della voce, il ritmo ecc). I lavori ormai classici di M. Mahler e coll. (1975) sulle modalità con cui attraverso il contatto fisico con la madre, il bambino e la bambina pervengono ad una percezione di sé come essere dotato di un corpo sessuato, hanno evidenziato l’importanza che la percezione del proprio Sé corporeo assume nell’acquisizione del sentimento di identità. Essa sembrerebbe  attivata dal contatto fisico, tattile con la madre, e tutto lo sviluppo del bambino procederebbe attraverso la separazione/individuazione dalla madre stessa. Con la formulazione dei concetti di identità di genere e ruolo è stato possibile dare senso a tutte quelle esperienze precedentemente poco riconosciute o trattate solo psichiatricamente e di introdurre una nuova categoria concettuale, la disforia di genere che vuole sottolineare il vissuto di incongruità tra il sesso di nascita e le manifestazioni psicologiche e comportamentali dell’identità di genere. Negli anni 80 la categoria dei disturbi dell’identità di genere dell’infanzia e di transessualismo (per adolescenti ed adulti) è stata inserita nel DSM III (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). Nella versione successiva DSM IV(1994) le due categorie sono state accorpate in un’unica diagnosi di disordini dell’identità di genere con criteri distinti per bambini, adolescenti e adulti. La più recente edizione del DSM V(2013) reintroducendo le due categorie di disforia di genere nei bambini e disforia di genere in adolescenti ed adulti, tende a sottolineare la sofferenza soggettiva di una condizione somatopsichica e psicosociale dissonante. Il riconoscimento e la classificazione delle problematiche di identità ha avuto un impatto sociale di rilievo, dando luogo alla definizione  di una legislazione inerente alle nuove identità e alla possibilità di cambiare il certificato di nascita in accordo con il sesso in cui l’individuo si riconosce. L’esperienza clinica ci ricorda che le categorie binarie di genere possono offrire alla coscienza una soluzione difensiva, per tutelare il senso di coesione della nostra identità e fare ordine nella molteplicità di fantasie e rappresentazioni che accompagnano i vissuti della relazione mente-corpo. Molti pazienti afferma il prof. Di Ceglie, chiedono  più o meno esplicitamente di superare le costrizioni degli stereotipi di genere,e di aiutarli a trovare posizioni e combinazioni nuove. Altri chiedono  delle vere e proprie certezze, con ancoraggi letterali e spesso interventi risolutivi sul corpo. Si rende dunque necessario affrontare questa tematica nella complessità di tutte le dimensioni ad essa correlate: di tipo genetico e biologico, psicologico, familiare e ambientale, sociale e culturale. Èinoltre fondamentale per gli esperti del settore, riferirsi alla pluralità delle posizioni evolutive piuttosto che a una unilinearità dello sviluppo, di assimilare la differenza senza ripudiare la somiglianza, creare uno spazio tra gli opposti, capace di concettualizzare una tensione e non un’opposizione tra maschile e femminile,che valuta un polo svalutando l’altro. Esplicitando il concetto con una felice metafora letteraria, il professor Di Ceglie cita il  viaggio di Ulisse nel passaggio tra Scilla e Cariddi. La tentazione di cadere in una lettura solo biologica ed intervenire sul corpo o solo psicologica sottovalutando il disagio di un corpo che l’individuo non sente appartenergli, va affrontata con costante cautela, consapevoli di uno spazio di manovra che è sempre molto limitato.

La disforia di genere in età evolutiva

La disforia di genere in bambini e adolescenti costituisce una condizione ancora più complessa, poiché si associa spesso a difficoltà a livello emotivo e comportamentale ed è causa di una enorme sofferenza particolarmente in adolescenza. I disordini dell’identità di genere possono essere visti come stati nei quali i giovani, nel corso dello sviluppo psicosessuale, sperimentano il loro sesso fenotipico come incongruo rispetto al proprio senso di identità di genere. Un dato interessante sottolineato dal professore, è che mentre un tempo si manifestava più spesso fra i ragazzi che non fra le ragazze, attualmente la casistica risulta equivalente tra i due sessi. Il disagio si traduce in desiderio di appartenere all’altro sesso, in abitudine a indossarne i vestiti, nella preferenza per giochi o amici del sesso con il quale il bambino e la bambina si identificano, nell’avversione per le caratteristiche e le funzioni sessuali del corpo. Secondo una visione psicodinamica, il processo di costruzione dell’identità sembra avvenire attraverso due principali tappe: la prima si basa sull’identificazione con l’altro, la seconda, in modo particolare durante la prima adolescenza, sulla differenziazione dall’altro. Queste considerazione mettono in rilievo la contraddizione intrinseca al termine “identità” che da un lato esprime il concetto di uguaglianza, dall’altro richiama quello di diversità. In questo complesso percorso di crescita, le difficoltà possono essere notevoli: l’adolescente si trova a superare il riassestamento dell’immagine di sé sia dal punto di vista intrapsichico che sociale, e al contempo deve separarsi dalle figure genitoriali che fino ad allora hanno rappresentato per lui sostegno e presenza. Generalmente, nell’infanzia, la disforia di genere emerge tra il secondo ed il terzo anno di vita, una fase in cui si impone un notevole impulso verso lo sviluppo di un senso di sé autonomo e separato dalla madre, tuttavia prima dello stabilirsi di un senso relativamente stabile del genere, che normalmente sembra svilupparsi tra i quattro e i sette anni.‏ Èimportante sottolineare che avere fantasie e comportamenti legati al sesso opposto è un fenomeno alquanto comune per i bambini piccoli. La differenza sostanziale è nel grado in cui si manifestano questo comportamenti e nel ruolo che essi hanno nel funzionamento adattivo del bambino. Ènecessario non confondere comportamenti varianti e non conformi alle aspettative socioculturali con la presenza di una disforia di genere. Il professor Di Ceglie introduce il termine di organizzazione tipica o atipica dell’identità di genere A.G.I.O. (Atypical Gender Identity Organization) come una configurazione interna sottostante alla manifestazione della disforia di genere e più adatto quindi, a comprendere l’identità di genere nei minori,come il risultato di una costruzione multifattoriale e interattiva ancora in movimento ed evoluzione. Diversamente da quanto si osserva negli adulti, il processo di sviluppo in atto fisico, psicologico e sessuale, determina  una maggiore fluidità e variabilità negli esiti finali. Come dimostrano alcune ricerche longitudinali, solo una piccola proporzione di questi bambini, diventano transessuali o travestiti, la maggior parte di loro evolvono verso un orientamento omosessuale e altri verso un orientamento eterosessuale senza travestitismo o transessualismo. Occorre anche differenziare il gruppo dei pre-puberi da quello dei post-puberi. Nel primo vi è una maggiore duttilità e probabilità di cambiamento.

I professionisti che si occupano di età evolutiva (da un punto di vista medico e psicologico) devono saper ‘leggere’ la complessità dei comportamenti legati al genere dei bambini e degli adolescenti  non sottovalutarli, e neppure etichettarli troppo precocemente, affrontandoli con la consapevolezza sempre più confermata dalla osservazione clinica strutturata, che l’inizio delle problematiche di identità di genere si intreccia con difficoltà relazionali, emotive e comportamentali di più vasta portata. Ad esempio si è riscontrato che nella casistica analizzata un’alta percentuale (30- 40%) di ragazzi presentano difficoltà sociali e psicologiche, che potrebbero rappresentare eventi traumatici per il bambino e successivamente per gli adolescenti. Va anche ricordata l’importanza evidenziata da più recenti ricerche di una correlazione significativa tra disforia di genere e condizioni dello spettro autistico riferiti in particolare allo stile di pensiero e all’empatia, soprattutto nelle forme di transessualismo donna- uomo.

A proposito delle ipotesi eziologiche riscontrate nell’osservazione clinica di soggetti in età evolutiva Di Ceglie sottolinea l’importanza dell’interazione tra fattori interni ed esterni nel determinare lo sviluppo delle disforie di genere. Dal punto di vista psicodinamico le ipotesi di comprensione si potrebbero riassumere in tre principali letture spesso correlate. Una prima ipotesi di comprensione riguarda il possibile ruolo del trauma. È stato osservato e descritto come l’inizio della disforia di genere era spesso precipitato da qualche evento traumatico(di separazione, sovrastimolazione sessuale, o una psicosi della madre) occorso generalmente nei primi tre anni di vita del bambino. La frequente presenza di segni clinici quali disturbi di ansia e depressione, sembrerebbe indicare che i ragazzi con AGIO percepiscano la separazione come una catastrofe psicologica che può condurre alla disintegrazione psichica e al caos. Sembrerebbe correlata a questa dinamica una predisposizione temperamentale come l’incapacità di tollerare la frustrazione, l’estrema sensibilità e fragilità nelle relazioni, la timidezza osservata da alcuni ricercatori (Coates et al. 1990). In una situazione dove dei tratti del temperamento predispongono ad alcuni stili di risposta, se il bambino viene esposto  ad esperienze traumatiche ripetute potrebbe fare fronte alla paura della catastrofe identificandosi con la figura di accudimento da cui si sente abbandonato. La terza ipotesi, che comprende le precedenti riguarda il ruolo della relazione. Nelle ricerche sistematiche condotte, la disforia di genere si realizzerebbe nel contesto più ampio dell’esperienza relazionale del bambino e della sua esperienza del Sé. Nelle situazioni precedentemente descritte si potrebbe costituire all’interno di uno stato dissociativo, un nuovo concetto di Sé “io sono la mamma” o in altri casi “io sono papà” e per estensione  quindi “io sono una donna” “ io sono un uomo”. Questa rappresentazione di sé potrebbe rispondere alla minaccia interna di catastrofe derivata da una esperienza di attaccamento insicuro, proteggendo l’integrità del bambino senza intaccare gli altri componenti di sviluppo psicologico e mentale (Coates e Person 1985; Lowry e Zucker 1990). Come evidenzia Di Ceglie, non è chiaro perché il bambino trovi questa soluzione particolare alle sue paure di disintegrazione. Potrebbe essere un fenomeno casuale in un background predisponente.

Il lavoro Terapeutico

Considerando che la formazione dell’organizzazione atipica è complessa, probabilmente multifattoriale, e in alcuni casi non passibile di evoluzione, dal punto di vista terapeutico sottolinea Di Ceglie, modificare l’identità di genere non è l’obiettivo. È infatti possibile che l’intervento su fattori che probabilmente sono alla base della disforia di genere possa condurre secondariamente a dei miglioramenti e prevenire lo stabilizzarsi della condizione in fase adulta. Il gruppo terapeutico formato da psicologi clinici, neuropsichiatri  infantili, pediatri endocrinologi, assistente sociale, non cerca di affrontare direttamente la variazione dell’identità piuttosto cerca di avere una posizione neutrale rispetto ad esso. Lavora sia con la famiglia che con il contesto sociale come la scuola. Il primo passo è l’accoglienza della famiglia e la comprensione della storia familiare: in queste famiglie sono molto comuni  problemi emozionali e comportamentali legati a questioni non risolte. La presa in carico mira ad assistere lo sviluppo, esplorando le caratteristiche e la natura dell’organizzazione atipica dell’identità di genere. L’intervento si focalizza sul miglioramento dei problemi della vita del bambino e della sua famiglia e sulla riduzione della sofferenza sperimentata da entrambi. Già il riconoscimento e l’accettazione del problema e l’eliminazione della segretezza possono recare un notevole sollievo favorendo il riconoscimento di una sofferenza in un’ottica di accettazione e non di giudizio. Le decisioni riguardo alla misura con cui permettere al bambino di assumere un ruolo di genere congruente al suo senso di identità  sono difficili e il bambino e la famiglia hanno bisogno di sostegno per tollerare l’incertezza e l’ansia  riguardo allo sviluppo dell’identità. Ci sono preoccupazioni anche sull’opportunità o meno di informare le persone dell’ambiente di appartenenza e soprattutto delle loro reazioni. La terapia dovrebbe mirare a sollecitare la curiosità  ed  ad incoraggiare l’esplorazione mente corpo con la stretta collaborazione di specialisti diversi, allo scopo di rendere possibile la formazione dei simboli e elaborare i processi di lutto. In adolescenza compito della terapia e/o della diagnosi  è valutare la persistenza dell’identità di genere atipica, cioè è importante valutare con l’adolescente se le convinzioni su se stesso sono stabili ed è improbabile che cambino o se le percezioni sono più fluide e variabili e in grado di cambiare. In questa fase della vita il disturbo è doloroso e insopportabile, il senso di disperazione porta a richieste di soluzioni immediate, mediante interventi fisici, che non sono ancora clinicamente opportuni. Una discussione dettagliata della gradualità del processo terapeutico può lasciare uno spazio per riflettere ed esplorare i temi specifici di ogni livello, riducendo la pressione e permettendo così una riflessione sufficiente. In senso lato gli interventi fisici rientrano in tre gruppi che possono essere visti come stadi. Al primo stadio appartengono interventi del tutto reversibili che  includono bloccanti ipotalamici e hanno come conseguenza la soppressione della produzione di estrogeni o testosterone e su alcuni aspetti delle caratteristiche sessuali secondarie. Al secondo stadio appartengono interventi parzialmente reversibili che includono interventi ormonali che mascolinizzano o femminilizzano il corpo. Al terzo stadio appartengono gli interventi irreversibili che prevedono procedure chirurgiche. La decisione di procedere a interventi fisici dovrebbe essere presa, laddove possibile, nel contesto di un servizio specialistico multidisciplinare che includa un servizio psichiatrico per bambini e adolescenti, un endocrinologo pediatrico ed altri professionisti della salute mentale di bambini e adolescenti. Il processo per stadi è da considerarsi sicuro in quanto mantiene aperte le opzioni nel corso dei primi due stadi. Una piccola minoranza di adolescenti si pentono poi della riassegnazione sessuale chirurgica. Lo spostamento da uno stadio all’altro non dovrebbe avvenire prima che il giovane abbia avuto il tempo di assimilare completamente gli effetti dell’intervento appartenente allo stadio precedente.

Il messaggio che in conclusione il professor Di Ceglie vuole evidenziare è che un approccio scientifico alla realtà dei disturbi dell’identità di genere, rende necessaria sia per la diagnosi che per la terapia,una visione e una azione multidisciplinare e integrata in un progetto, che sembra restituire dignità e speranza ad una condizione esistenziale così complessa.


Note

  • 1 L’articolo prende spunto dalla conferenza La disforia di genere nell’età evolutiva e il suo impatto psicosociale, svolta al CIPA-Istituto di Roma e dell’Italia centrale il 14 marzo 2014, dal prof. Domenico Di Ceglie su invito del dott. Massimo Giannoni che ha moderato l’incontro.
  • 2 Riconosciuto come una delle massime autorità sull’argomento, è stato primario di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel Dipartimento Adolescenti della Tavistock Clinic e direttore del Gender Identity Development Service presso la Tavistock Clinic. Nel 1989 ha fondato la Gender Identity Development Clinic presso il St George’s Hospital di Londra, trasferito nel 1996 alla Tavistock and Portman NHS Foundation Trust. Questo è l’unico servizio esistente nel Regno Unito per bambini e adolescenti con problemi di identità di genere, recentemente designato e finanziato come servizio nazionale. È anche autore di numerose pubblicazioni.

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