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Bruno Callieri e Comprendre

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

QCJ 2013

2013 Numero 2

Bruno Callieri e Comprendre

A maggio 2013 il Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA) ha organizzato una tavola rotonda dal titolo L’assenza. Questa tavola rotonda è stata dedicata alla memoria di Bruno Callieri. Tra gli ospiti è stato presente Gilberto Di Petta, che definire “allievo” di Calliere risulta estremamente riduttivo. Di Petta, da Callieri stesso indicato come “figlio” prediletto, è colui che ha raccolto il lascito spirituale del suo maestro e, ponendosi nel solco della tradizione della psichiatria fenomenologica, prosegue senza incertezza alcuna nella strada indicata dal suo maestro, in una società che ha ridotto il disagio mentale esclusivamente a reazioni chimiche mal riuscite e che esclusivamente con la chimica tenta di risolverle.

La grande tradizione della psichiatria fenomenologica di Jaspers, Binswanger, Minkowsky e dei nostri Callieri, Cargnello, Borgna sembra ora essere stata messa all’angolo da una società disumana che non sa che farsene dei rapporti interpersonali e della protezione, o del semplice rispetto del singolo. Una società dominata dall’Ego, dove l’Altro non è anch’esso un Ego, bensì un intralcio o, nel migliore dei casi, “qualcosa” da usare, non può certamente esibire il valore di una modalità di esistenza che vede anche nella follia l’espressione dell’umano. La stessa parola “follia” è oggi desueta, sostituita da “disagio mentale”, come se la sofferenza psichica appartenesse solo alla mente e non ricoprisse l’intera esistenza di un individuo. Ma psiche non è mente, come sanno bene tutti gli junghiani. Psiche è l’intera esistenza di un essere umano, il fondamento ultimo dello stare al mondo, del vivere e del morire.

Callieri è sempre stato un grande amico del CIPA e amava frequentemente onorarci della sua presenza. Si discuteva, ci si accalorava, si ascoltavano le sue parole dense di esperienze e di riflessioni, piene di impeto e di passione, si viveva insomma, nella presenza della mente e del cuore, si lavorava intorno alla “follia”, per estrarne frammenti di senso che riposano nella consapevolezza profonda che non è possibile comprendere l’Altro da Sé se non rendendolo “come” io sono.

Questi incontri sono finiti con la morte di Callieri, morte che ha lasciato un vuoto di presenza incolmabile, vuoto che, paradossalmente, proprio per la sua pesante presenza, riporta continuamente a lui, al suo ricordo, e alla fertilità e dolcezza della strada da lui segnata.

La tavola rotonda su L’assenza, in una sala traboccante di pubblico, con la presenza di Gilberto Di Petta, ha sancito questo vuoto ma insieme ad esso la continua volontà di non fermarsi, di procedere nel tentativo di strappare brandelli di senso da ciò che senso non ha, ha messo in evidenza che le emozioni, che sono la radice di ogni manifestazione psichica, e pertanto umana, se si impongono e catturano l’intero Io, lo vincolano con stretti legacci di oscurità e cecità e lo arrestano nel suo naturale movimento. Ma nella mattinata de L’assenza, l’emozione pur stringente dell’assenza/presenza di Bruno Callieri è stata capace di produrre, produrre parole, pensieri, affetti, è stata capace di trasformarsi in circolazione psichica, nel senso più alto del termine.

Questa capacità di mettere in moto le emozioni per produrre pensieri la si ritrova tutta nel numero 23/2013 della rivista Comprendre, interamente dedicata, come recita: “alla memoria di Bruno Callieri dai suoi amici”.

La rivista che è organo ufficiale della Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica, è una bellissima rivista, che proprio Gilberto Di Petta dirige e che annovera nomi di grande prestigio nel suo Comitato di redazione e che ha il non trascurabile pregio di essere on-line e completamente gratuita. Nel fascicolo n° 23 gli “amici” di Callieri si sono riuniti per rendergli un estremo omaggio, dove l’emozione ancora cocente per la sua morte riesce egregiamente ad intrecciarsi con riflessioni profonde ed acute sulle più significative problematiche fenomenologiche. I contributi sono tanti, perché tanti erano gli “amici” di Callieri e provengono da psichiatri e da filosofi, a sottolineare che l’originaria indistinzione tra le due specifiche discipline, nel pensiero fenomenologico e nella psichiatria fenomenologica, tende a farsi maggiormente presente. Perché la fenomenologia, nella sua versione tanto filosofica quanto psichiatrica, parla dell’uomo all’uomo della sua umanità, da questo solco non si esce. Ogni articolo contenuto in questo numero offre un contributo personale, una testimonianza della vita e del lavoro di Bruno Callieri, una prospettiva sul pensiero fenomenologico e sulla sua dimensione di psichiatria fenomenologica, e alla lettura diretta di ciascuno di questi articoli con piacere rimando (www.rivistacomprendre.org).

Il lascito di Bruno Callieri maggiormente presente, il filo rosso che desidero rintracciare in ogni lavoro di questo fascicolo è il tema dell’incontro. Callieri può essere definito senza ombra di dubbio il “clinico dell’incontro” come lo stesso Di Petta ha ricordato nel suo intervento a voce. Ma l’incontro, lungi dall’essere naturale ed immediato, presenta difficoltà, scogli, ostacoli che ciascuno di noi sperimenta nella pratica clinica così come nella vita quotidiana. Incontrare l’Altro è meta da raggiungere e non base da cui partire; incontrare l’Altro è la sfida della psichiatria fenomenologica e dell’uomo che vive nel debito originariamente contratto con l’Altro-da-Sé. Ma la meta da raggiungere, quell’incontro che restituisce umanità all’essere umano, è quella meta che deve essere implicitamente contenuta in quella pre-disposizione iniziale di “intenzionalità aperta”.

In realtà l’incontro fonda la sua dimensione modale in un costitutivo paradosso di cui Callieri era ben consapevole e che, nel suo particolare modo, affrontava e risolveva. Credo che pochi psichiatri possano vantare una conoscenza di testi così sterminata e approfondita come quella che aveva Bruno Callieri; le sue letture spaziavano dalla psichiatria alla filosofia, dalla poesia alla religione, dalla scienza alla mistica, dall’arte visiva alla musica, possiamo veramente dire che non vi era campo del sapere che non fosse stato da lui toccato, in una cultura enciclopedica, accompagnato da un’inquietudine curiosa e vitale che lo conduceva sempre verso ciò che “ancora non si sa”. Questa sua spinta vitale centrifuga non diventava mai dispersività logica, o peggio, esibizione rapsodica del sapere. Callieri, nella sua profonda onestà d’animo e di pensiero, abitato sempre da un atteggiamento etico mai trascurato, non abbandonava mai quell’empiria psichiatrica che traccia il solco della differenza tra il sapere “chiuso” del “grande saggio”, e un sapere “aperto” di chi  socraticamente sa sempre di non sapere. Lo psichiatra Bruno Callieri sapeva di avere sempre da imparare e da conoscere. Conosceva soprattutto i paradossi dell’esistenza, primo fra tutti la paradossalità di quell’incontro che ha rappresentato l’elemento fondante della sua prassi terapeutica. Ogni esperienza vissuta, ogni Erlebniss, è inattingibile dall’esterno, l’Altro non potrà mai, in nessuna circostanza, provare quello che io ho provato nella mia assoluta unicità esperienziale. Nell’Erlebniss l’essere umano è solo, abitato da una solitudine costitutivamente esistenziale. L’Altro è Altro proprio perché non è Io, questo pronome che racchiude in sé il senso della propria unicità e della propria solitudine. È questo punto di partenza esistenzialmente fondante, che rivela il paradosso, l’impossibilità di risolvere l’incontro sul piano della ragione e della logica. E Callieri che conosceva questa dimensione strutturale dell’esistenza, lancia la sfida al nichilismo, lancia la sfida all’incontro “mancato” delle patologie che trattava e della pratica quotidiana del vivere-insieme. Con la sua profonda umanità, temprata nel fuoco dell’esperienza clinica e della conoscenza teorica, Bruno Callieri scavalcava il paradosso logico con l’affettività, e riusciva “con un’intenzionalità incarnata a scavalcare l’ombra dell’assenza, a dare vita ad un incontro.” (parole di Di Petta). Anche di fronte all’apparente estraneità che si prova nelle psicopatologie più gravi, l’autismo, la psicosi, la schizofrenia, anche consapevoli della solitudine dell’Erlebniss, la disposizione empatica costituisce quel faro che ci può guidare nella tempesta della vita, perché essa possa avere un senso. Questo Bruno Callieri ci ha lasciato, così come il possibile incontro tra differenti punti di vista teorici ha caratterizzato la tavola rotonda su L’assenza.

Così il fascicolo 23 di Comprendre incontra Bruno Callieri e, con lui e nel suo ricordo, incontra anche tutti noi.

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