Stai leggendo
Note filosofiche (con aspetti autobiografici)

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

La follia: modelli della psiche e approcci terapeutici La psicologia analitica a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia

2024 Nuova Serie Numero 5 Monografia Franco Basaglia

Note filosofiche (con aspetti autobiografici)

Vorrei introdurre un aspetto, una linea, sia pure parzialmente, filosofica (nel senso che, come diceva Foucault, la “critica” si produce sempre dentro e fuori della filosofia): si tratta della linea Nietzsche, Bataille, Foucault.

In primo luogo, Foucault definisce l’atteggiamento genealogico, mutuato da Nietzsche, come la distruzione del soggetto della conoscenza nell’inesausta volontà di sapere: si tratta, secondo me, di una delle migliori definizioni di Edipo, se lo consideriamo non come la figura del desiderio, ma come la figura del sapere in Occidente, come d’altronde è stato considerato dall’idealismo tedesco fino a Heidegger. Da questo punto di vista, potremmo considerare l’Edipo re di Sofocle come una tragedia genealogica – l’eroe che nella sua inesausta volontà di sapere finisce per restare accecato dalla scoperta del buco traumatico delle sue origini – e questo potrebbe senz’altro produrre degli effetti anche rispetto all’approccio psicoanalitico (ma questo è un altro discorso). Ora, come Foucault ha ammesso in diverse occasioni, le sue inchieste genealogiche non sono che la storicizzazione delle “esperienze-limite” di Bataille – follia, crimine, erotismo, esperienza interiore –, ossia il tentativo di mostrare come, nella storia del sapere in Occidente, tali esperienze siano state trasformate in “oggetti della conoscenza”; e di mostrare al tempo stesso gli effetti, in termini di assoggettamento, che tale padronanza razionale dei nostri “limiti” ha prodotto nella modernità. In altri termini, tutto il tentativo di Foucault è consistito nell’usare la critica storica per aprire, in stretto contatto con i movimenti di contestazione nei manicomi, nelle prigioni ecc., delle “partite di verità”, riattivando l’eccedenza delle esperienze-limite rispetto alla loro “totalizzazione”, conoscitiva o scientifica, connessa con dei concreti meccanismi di potere, sia disciplinari sia biopolitici.

Tornando a Bataille, bisogna ricordare che negli anni ’30 partecipò, insieme a buona parte dell’intellighenzia parigina, tra cui Queneau e Lacan, alle lezioni di Kojève su Hegel, e tutta la sua opera potrebbe essere vista come un’incessante, ostinata “risposta” a Kojève. In una famosa lettera a lui indirizzata, contenuta nel Collegio di sociologia, dice: «Immagino che la mia vita – o, meglio ancora, il suo aborto, la ferita aperta che è la mia vita – costituisca di per sé la confutazione del sistema chiuso di Hegel» (Bataille 1991, p. 111). In fondo, Bataille non ha fatto che ripetere, sviluppandola, questa “tragica” contestazione del sistema chiuso di Hegel-Kojève. Pensiamo in particolare a cosa afferma Kojève, rispetto alla dialettica servo-padrone, nella sua rilettura della Fenomenologia dello spirito di Hegel: la verità del signore è il lavoro del servo. Ebbene, è questa “verità” che Bataille contesta, il modello antropologico della padronanza razionale, calcolatrice e utilitarista. Tutto il suo discorso sulla “sovranità” votata al gioco, allo spreco e all’inutile, non è che il tentativo di riaprire, ai limiti dell’esperienza umana, la tragica ferita – l’eccedenza, lo “strano sovrappiù” (come lo chiama Blanchot nel suo testo dedicato proprio all’esperienza-limite di Bataille) – che non cessa di esporre l’umano a ciò che non è controllabile, padroneggiabile, di farlo sporgere sull’abisso facendone un radicale punto interrogativo e un’interminabile posta in gioco.

C’è poi l’altra linea che ha a che fare con la fenomenologia. Collegare la fenomenologia con la linea batailliano-foucaultiana è un passaggio un po’ ardito, avendo lo stesso Foucault operato uno strappo molto deciso rispetto alla fenomenologia che, insieme all’hegelismo e al marxismo umanista, costituiva la base della sua formazione universitaria. Tuttavia, proprio grazie a Basaglia (il quale, non dimentichiamolo, a un certo punto prese anche lui le distanze dagli psichiatri fenomenologi), ho continuato a riflettere sul possibile nesso tra l’epochè husserliana e quella che, in Bisogna difendere la società, Foucault chiama “critica effettiva”: la concreta sospensione del regime di verità, e dei dispositivi di potere a esso connessi, che può nascere dall’accoppiamento tra saperi storici eruditi e lotte attuali della gente (la genealogia è “effettiva” se, attraverso quest’accoppiamento, si produce un’epochè “storica” del regime di verità). L’esperienza di Basaglia, e più in generale del movimento antistituzionale, può essere considerata come un esempio concreto di “storicizzazione” dell’epochè, attraverso quel lungo processo – insieme critico, pratico e politico – di contestazione del sistema manicomio-malattia mentale sfociato nella legge di riforma 180. Perciò ho sempre pensato che, per comprendere fino in fondo, cioè fenomenologicamente, la fenomenologia, bisognasse a un certo punto abbandonare il terreno della filosofia e passare attraverso Basaglia (e Fanon, che ha un percorso analogo): la sua esperienza mostra, per così dire, il passaggio della fenomenologia oltre lo specchio.

Da questo punto di vista, è importante considerare come si produce questo passaggio, questa effrazione, cioè qual è il “punto di rottura” dell’epochè in Basaglia. Il radicale “voto di povertà”, che secondo Husserl deve caratterizzare lo sforzo filosofico di sospendere i pregiudizi per tornare alle cose stesse, in Basaglia si radicalizza ulteriormente, spostandosi sul piano di un’azione concreta di sospensione del manicomio e di reinvenzione delle relazioni con gli internati. La fenomenologia attraversa lo specchio quando Basaglia, varcando le soglie del manicomio di Gorizia, subisce uno shock tremendo. La sua volontà filosofica (fenomenologica) di comprendere fino in fondo l’esperienza della follia, è per così dire tagliata, ferita dalla scoperta che i pazienti sono prima di tutto degli esclusi sociali; e che quindi per “incontrarli” bisogna prima di tutto sospendere il sistema istituzionale e scientifico che produce quotidianamente la loro esclusione (il sistema manicomio-malattia mentale). Qui Basaglia radicalizza ulteriormente il voto di povertà husserliano, giacché rinuncia anche alla pretesa filosofica di comprendere la “verità” della follia. Entra così in un rischioso processo di distruzione di sé come soggetto della conoscenza, mentre, contemporaneamente, fa entrare in crisi il suo ruolo istituzionale di garante della sicurezza sociale. Tutto questo duro processo di rinuncia, di perdita, di disaffiliazione, questa lunga traversata nel deserto ha tuttavia offerto la possibilità di reinventare il legame sociale con chi soffre di disturbi psichici, prima all’interno dei manicomi, e poi nel più ampio contesto della società italiana.

La questione del voto di povertà si ritrova in tutta la riflessione sviluppata da Foucault nel corso L’ermeneutica del soggetto: ancora uno strano effetto di risonanza con Husserl, effetto che, tuttavia, per me è stato possibile cogliere proprio immergendomi nell’esperienza storica di Basaglia. In questo corso, Foucault rimette in discussione il “sapere di conoscenza” dei moderni – secondo cui il soggetto, grazie alle sue intrinseche dotazioni intellettuali, è proprietario di diritto della verità – riattivando il “sapere di spiritualità” degli antichi: in questo caso, il soggetto non preesiste al rischioso processo di trasformazione di sé, di “alterazione”, grazie al quale può avere eventualmente accesso alla verità. Senza la rinuncia alla propria identità statutaria, senza messa in crisi del proprio ruolo sociale, senza rischio della disaffiliazione (che è forse anche il rischio della stessa dinamica desiderante: pensiamo a ciò che dice Lacan a proposito del “non cedere sul proprio desiderio”), ebbene nessun percorso di verità è possibile. In altri termini, anche il sapere è una posta in gioco, essendo attraversato, travagliato da un’oscillazione interminabile: da un lato il sapere-conoscenza, un sapere di proprietà e padronanza; dall’altro il sapere-esperienza, un sapere nel quale si corre il rischio di essere spossessati e di perdere il controllo; un sapere che si gioca nella prova, nel pathos di una radicale trasformazione di sé. Il sapere di spiritualità comporta certo un prezzo da pagare: l’esoso prezzo della disaffiliazione e della perdita di status; tuttavia, a questo prezzo può corrispondere il premio dell’accesso alla verità e della conseguente “trasfigurazione”, come dice Foucault. Nel caso di Basaglia, tale trasfigurazione va sicuramente ricondotta alla reinvenzione dei legami sociali con chi soffre di disturbi psichici, e alla possibilità di “incontrare” finalmente la loro soggettività, sia sul piano della relazione terapeutica, sia su quello delle relazioni sociali.

Leggi anche
La follia: modelli della psiche e approcci terapeutici La psicologia analitica a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia

Nonostante questo premio, che tuttavia non è dato una volta per tutte e richiederebbe oggi di essere “riguadagnato”, il prezzo pagato da Basaglia non va mai dimenticato: per questo non può essere proposto come un “modello” da imitare, cosa che purtroppo avviene, esplicitamente o implicitamente, a causa dei fatali equivoci prodotti dalla sua monumentalizzazione. Dietro la crosta apologetica della sua epopea, riformatrice o rivoluzionaria che dir si voglia, c’è il vertiginoso “salto nel buio” di qualcuno che ha corso il rischio della disaffiliazione e ne ha pagato fino in fondo il prezzo. Quella in cui Basaglia si è mosso, era tuttavia un’epoca, complessivamente, più “sensibile” a questo tipo di traiettorie. Si può consigliare oggi, alle nuove generazioni, un simile salto nel buio? Si può chiedere di imitare questo tipo di esperienza, in un mondo profondamente cambiato, e molto meno accogliente rispetto a tali traiettorie? Tutto ciò che forse si può fare, è indicare che queste traiettorie sono esistite; mostrare che, sebbene in un contesto diverso, un salto nel buio è stato possibile; e magari suggerire che, se oggi vogliamo riguadagnare il premio di un legame sociale più qualificato, non solo con chi soffre di disturbi psichici, ma più in generale, non possiamo non lanciarci di nuovo, anche se in un modo diverso e tutto da inventare, nell’avventura di desiderare; non possiamo non affrontare il rischio di slegarci, rimettendo in discussione i rapporti stabiliti, per costruire la possibilità di legarci diversamente, sia con noi stessi sia con gli altri.


Bibliografia

  • Foucault M. 2003, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France 1981-1982, a cura di F. Gros, trad. di M. Bertani, Feltrinelli, Milano.

Scarica il PDF

View Comments (0)

Leave a Reply

Your email address will not be published.


Quaderni di Cultura Junghiana © 2022 CIPA - Istituto di Roma e dell'Italia centrale Tutti i diritti riservati
È consentito l'uso di parti degli articoli, purché sia correttamente citata la fonte.
Registrazione del Tribunale di Roma n° 167/2018 con decreto dell’11/10/2018
P.iva 06514141008 | Privacy Policy