
2018 Nuova Serie Numero 0 Invito alla Lettura
A CURA DI FRANCESCO DI NUOVO E ROBERTO MANCIOCCHI La rubrica Invito alla lettura propone indicazioni in merito ai contributi più attuali e significativi della psicoterapia con uno sguardo attento agli attuali sviluppi del pensiero teorico; sarà ovviamente presente una forma di dialogo con la letteratura, la filosofia, le neuroscienze e le arti. La rubrica sarà, a seconda dei numeri, completata da una sezione di recensioni, nella quale alcuni psicoterapeuti commenteranno le più interessanti novità del panorama italiano e internazionale.
L’ascolto gentile: Luigi Aversa in dialogo con Eugenio Borgna
Luigi Aversa
Prof. Borgna parto dal titolo di uno dei suoi ultimi libri L’ascolto gentile e mi soffermo soprattutto sull’aggettivo ‘gentile’. In senso fenomenologico un ascolto è gentile quando è capace di cogliere quelle sfumature dell’esistenza che si avvicinano il più possibile a quella sottile faglia che è la percezione. Nell’attuale epoca in cui la cultura psichiatrica è ossessionata dal desiderio, quasi compulsivo, di etichettare la psiche, le chiedo: È possibile mantenere vivo un ascolto ‘gentile?
Eugenio Borgna
Ci sono parole che sopravvivono al trascorrere del tempo e delle mode, e fra queste la gentilezza che è fonte di infinite declinazioni semantiche. La gentilezza è un modo di prendersi cura di chi, stando male, ha bisogno almeno di una parola e di un gesto che rendano meno dolorosa la solitudine. Non c’è cura, cura dell’anima e cura del corpo, se non è accompagnata dalla gentilezza che, oggi ancora più che nel passato, è necessaria a farci incontrare gli uni con gli altri uno psichiatra con i suoi pazienti in particolare – nell’ascolto e nell’attenzione, nel rispetto e nella solidarietà. Non c’è gentilezza che non nasca dal cuore della interiorità, della soggettività, e dalla consapevolezza che siamo tutti chiamati a un comune destino di dignità, e di solidarietà. Ma, queste parole, non sembrano oggi venire da un altro mondo, dal mondo della utopia e della nostalgia? Sì – come lei si chiede – è ancora possibile che uno psichiatra ascolti i suoi pazienti con una gentilezza, che richiede fra l’altro molto tempo, in un’epoca divorata dal desiderio di imprigionare la vita psichica in tempi sempre più rapidi, e in etichette svuotate di interiorità? Non dovrebbe essere così in una legislazione che, come quella italiana grazie alla legge 180, consentirebbe di fare la migliore delle psichiatrie possibili; ma la mia esperienza mi dice che sono poche le psichiatrie universitarie e ospedaliere italiane nelle quali l’ascolto nella gentilezza sia considerato come conditio sine qua non della terapia. Ci sono nondimeno alcune aree territoriali nelle quali il retaggio teorico e pratico, lasciato da Franco Basaglia, continua ad essere operante, e l’ascolto gentile sopravvive nella sua fragile ragione d’essere.
Luigi Aversa
In una recente intervista data al giornale La Repubblica, alla domanda dell’intervistatore su cosa pensasse della professione psichiatrica, lei ha risposto che riteneva il termine professione, per quanto riguardava lo psichiatra, un po’ inopportuno, alludendo così a una non possibile divisione netta tra ‘professione’ e ‘esistenza’ in un campo che riguarda il rapporto con l’esperienza più oscura dell’uomo che chiamiamo follia. Questo aspetto è ben contemplato dal pensiero psicoanalitico che non a caso prescrive il lavoro sulla personalità dello psicoterapeuta (analisi personale). Cosa pensa di questa dimensione della soggettività in questa epoca culturale dominata prevalentemente dal principio economico-tecnico che esaspera quella dimensione della coscienza umana che già Pierre Janet definiva ‘automatismo’?
Eugenio Borgna
Non posso, anche in questo caso, non concordare con le riflessioni che animano la sua seconda domanda. Sia negli anni, in cui ho lavorato nella Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università di Milano sia in quelli, molto più problematici, nel manicomio di Novara, e in particolare in quelli in cui ne sono stato il Direttore, non mi è stato possibile considerare l’essere psichiatra come una professione che nell’incontro con la follia – davvero la più oscura esperienza umana – si svolga al di fuori di un continuo ascolto delle proprie risonanze emozionali, delle proprie emozioni, della propria partecipazione alla tristezza e alle angosce, alle sofferenze, dei pazienti. Certo, seguire il misterioso cammino, che porta agli abissi della nostra interiorità, non è facile, e forse non è facile soprattutto se non si sia fatta una analisi personale; ma vorrei ricordare che Karl Jaspers ha creato, con la psicopatologia fenomenologica, le premesse metodologiche ed epistemologiche alla fondazione di una psichiatria della soggettività e della intersoggettività; andando radicalmente al di là delle concezioni naturalistiche che, dominanti nell’Ottocento, facevano della psichiatria una encefalo-iatria. Le malattie psichiche venivano, di conseguenza, considerate malattie cerebrali tout court, come oggi ancora avviene, con la conseguente reificazione delle relazioni interpersonali fra paziente e psichiatra.
Luigi Aversa
Vorrei proporre alla sua attenzione una riflessione psico-antropologica sul problema dell’ultimo D.S.M. Lei sa che dalla prima edizione all’ultima le voci diagnostiche si sono moltiplicate in modo esponenziale e su questa modalità si sono ormai formate, purtroppo, almeno tre generazioni di psichiatri che ragionano unicamente in termini di protocolli. Non le sembra invece che il fenomeno dell’etichettamento diagnostico reprima l’essenza più profonda della psiche che, come i greci sapevano, era un ‘soffio’ e quindi non oggettivabile. La psiche quindi si sottrae alla pretesa di oggettivazione del D.S.M., moltiplicandosi all’infinito e quindi rendendo vana ed inutilizzabile l’etichetta diagnostca? Non le sembra che l’attuale psichiatria, ingenuamente inseguendo il mito esasperato dell’oggettività, rischi di perdere quell’aspetto esistenziale e profondo dell’umano che è soprattutto esperienza della soggettività?
Eugenio Borgna
Sì, l’attuale psichiatria, adeguandosi al mito esasperato della oggettività, non può se non lacerare quell’aspetto esistenziale e profondo dell’umano che si rispecchia nella esperienza della soggettività. Nella quinta edizione del DSM, del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che nel 2004 è stato pubblicato in Italia da Raffaello Cortina, le diagnosi, che sono più di quattrocento, sono indirizzate ai sintomi esteriori della sofferenza psichica, non occupandosi della interpretazione della soggettività dei pazienti, che si hanno di fronte. Di inflazione diagnostica ha parlato nel suo libro Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie Allen Frances, lo psichiatra che ha guidato la task force, che ha pubblicato il DSM-IV, contestando oggi radicalmente i paradigmi diagnostici, e la medicalizzazione della normalità, del DSM-V. Il manuale si uniforma alla tendenza oggi dominante: quella di escludere l’interiorità dalle scelte che si fanno, di proporre modelli di conoscenza rivolti alla esteriorità, alle apparenze delle cose, e in fondo di indicare soluzioni prefabbricate: senza perdere tempo nella ricerca dei significati che si nascondono nei sintomi della sofferenza psichica. Alla diagnosi si giunge allora, non ascoltando i pazienti, e non ricercando quali ne siano le esperienze soggettive, ma osservando freddamente i loro comportamenti.
Luigi Aversa
Vorrei rivolgerle un’ultima domanda relativa al cognitivismo, teoria oggi dominante nell’attuale cultura psichiatrica. Il cognitivismo propone, unicamente ed in modo esasperato, il concetto di adattamento trascurando totalmente quello che il pensiero psicoanalitico – attraverso Carl Gustav Jung – definiva ‘individuazione’ ed in più sostiene che la terapia psicoanalitica è troppo lunga mentre la terapia cognitiva prevede tempi brevi. Non le sembra che il concetto di ‘previsione’ per quanto riguarda quell’esperienza che chiamiamo disturbo psichico sia nella migliore delle ipotesi espressione ingenua e nella peggiore delle ipotesi espressione della ùbris della tecnica e sostanzialmente un atteggiamento non autentico e quindi fraudolento? E come un atteggiamento non autentico può essere terapeutico? Le chiederei una riflessione a tal proposito.
Eugenio Borgna
Sono fino in fondo d’accordo con lei anche a proposito delle sue considerazioni sul tema della teoria e della prassi realizzate dal cognitivismo: al di fuori di ogni valutazione della interiorità, della soggettività, della persona che sta male, e chiede aiuto. Il criterio del tempo di durata della terapia non ha ovviamente alcuna importanza nell’area di problematiche psicologiche e umane così complesse, e così variabili, come sono quelle correlate con la sofferenza psichica, neurotica, o psicotica. Non diverso è il mio giudizio sul concetto di previsione in psicoterapia: condizionato da molteplici fattori interpersonali e ambientali che si modificano sulla scia di avvenimenti interiori ed esteriori contingenti. Il concetto di adattamento non coglie se non un aspetto della vita psichica, e non il più importante, escludendo gli altri infiniti aspetti della vita interiore, e della relazione dialogica fra chi cura, e chi è curato. Il pensiero psicoanalitico mi sembra indispensabile alla conoscenza delle proprie esperienze interiori, e di quelle altrui, quando si abbia a che fare con la conoscenza della propria storia della vita, e di quella neurotica. Se questa è invece psicotica, direi che le conoscenze, alle quali giunge la fenomenologia, che è passione delle differenze, si possano considerare ugualmente significative.
Le sono infinitamente grato, prof. Luigi Aversa, delle sue profonde, bellissime domande.
Scarica il PDF
- L’ascolto gentile – Luigi Aversa in dialogo con Eugenio Borgna • 454 kB • 10 download