
2020 Nuova Serie Numero 1 Invito alla Lettura
A CURA DI FRANCESCO DI NUOVO E ROBERTO MANCIOCCHI La rubrica Invito alla lettura propone indicazioni in merito ai contributi più attuali e significativi della psicoterapia con uno sguardo attento agli attuali sviluppi del pensiero teorico; sarà ovviamente presente una forma di dialogo con la letteratura, la filosofia, le neuroscienze e le arti. La rubrica sarà, a seconda dei numeri, completata da una sezione di recensioni, nella quale alcuni psicoterapeuti commenteranno le più interessanti novità del panorama italiano e internazionale.
La Marceline di Jules e Pierre Janet
Marceline ha ventun anni quando ricorre alle cure di Jules Janet, interno alla Pitié, appassionato (come molti all’epoca) di ipnosi. Dopo due anni, Jules, francamente infastidito da questa difficile paziente, la passa al fratello Pierre che modifica la terapia, con risultati alterni e comunque defatiganti. Anche Pierre arriverà poi all’esasperazione e tenderà a incontrare la paziente con scadenze sempre più dilatate.
Questa è la storia di due medici e una paziente affaticati, esasperati, logorati, impotenti: è uno dei pochi esempi di descrizione di ʻcasi clinici delle originiʼ in cui il terapeuta confessa la sua stanchezza. Il concetto di controtransfert non apparteneva certo all’apparato teorico di Janet, ma di fatto di questo si tratta. È (anche) per questo che ho deciso di farne argomento del Laboratorio su ‘Il Paradigma Dissociativo’, che ho tenuto presso la Scuola di Specializzazione del CIPA, nell’anno 2019.
Il dolore di quella sensazione: la percezione del fallimento terapeutico ha spinto Pierre Janet, quasi a compensazione, a fare di Marceline una descrizione minuziosa che ci consente oggi di considerare questo caso uno degli esempi più chiari del suo impianto teorico, nosografico e clinico.
La storia della famiglia[1] di Marceline[2] racconta una frequente propensione al vomito che la ragazza ‘eredita’. Figlia unica, da piccolissima vomita[3] sangue dal naso, crescendo rifiuta sistematicamente il cibo; in pubertà aggiunge a questa sintomatologia frequenti movimenti coreici di gambe e braccia fino ad arrivare ad una marcata anestesia del lato sinistro del corpo. La situazione migliora leggermente con le mestruazioni, ma verso i diciassette anni compaiono veri e propri attacchi isterici con perdita di coscienza, convulsioni, urla, deliri. Rifiuta il cibo, se costretta lo vomita, accetta di buon grado l’inserimento del sondino per il cibo così come del catetere per urinare. Non sente lo stimolo della minzione, non prova nessun gusto nel cibo, non sente proprio la fame.
A 21 anni non si alza più dal letto, in uno stato di estrema debolezza e inedia, scheletrica, anestesica in tutto il corpo, sorda e cieca. Abbruttita e moribonda.
Così la vede Jules Janet. Impressionato e interessato dai racconti di suo fratello Pierre sulla sperimentazione all’ospedale di Le Havre, decide di sottoporre la paziente al ʻsonnambulismoʼ. Quando la fragilità della ragazza è al massimo, aumenta la sua suggestionabilità, cosa che consente al terapeuta di indurla ad attraversare differenti stati psicologici gerarchicamente sovrapposti fino al sonnambulismo perfetto, quello nel quale si cade nell’oblio della vita da sveglia e si riattiva la memoria dei precedenti stati sonnambolici. In altri termini, si definisce una seconda personalità[4] che non solo non progredisce ma per certi versi impedisce anche l’evoluzione della prima.
Ci prova e ci riesce: in fase sonnambolica Marceline mangia, prende peso, urina regolarmente. Alla fine della seduta, Jules la risveglia e tra una seduta e l’altra si ripresentano i sintomi precedenti. Impossibile contagiare la Marceline in stato di veglia col benessere della Marceline sonnambolica: Jules, «affaticato e disgustato» (2016, p. 66), decide di prolungare progressivamente lo stato artificiale prima per un’intera giornata (così assicurava alla paziente il pranzo e la cena[5]) poi per qualche giorno, per una settimana, per arrivare a più settimane. Con le mestruazioni, Marceline si svegliava completamente e la famiglia la riportava in ospedale perché Jules Janet la ʽriaddormentasseʼ.
Il secondo periodo della terapia è caratterizzato da benefici sonni e infausti risvegli: come sempre, in Marceline ad ogni cambiamento di stato corrispondeva una memoria e un oblio.
Una «Felida artificiale», diceva Jules Janet[6].
Approfittando del fatto che in questo periodo Pierre è tornato stabilmente a Parigi, Jules gliela affida: all’epoca Marceline da modista è diventata impiegata in una grossa ditta commerciale. Lavora bene, è molto apprezzata, ma spesso cade in uno stato di inerzia e sembra francamente inebetita. Allora si fa portare di corsa da Pierre Janet perché la riaddormenti.
È a questo punto che Janet decide di cambiare terapia, non assecondando l’alternanza addormentamento-risveglio, ma esaminando i suoi disturbi uno per uno (quelli che manifestava da sveglia, ma senza considerarla tale). Era malata, punto.
All’inizio andò malissimo, ma poi lentamente la paziente si sarebbe anche ripresa se contemporaneamente non fossero cambiate le sue condizioni lavorative, ora più pesanti, certo di maggiore responsabilità, ma eccessivamente defatiganti per le sue condizioni cliniche. Ricomincia l’amnesia, intervengono ancora contratture e zoppia, con frequenti assenze dal lavoro.
La minaccia del licenziamento è il colpo di grazia: vomito, disturbi urinari, emorragie nasali, rilevanti amnesie. Janet deve curarla a casa ed è costretto a mantenere il segreto sulle sue reali condizioni di salute per proteggere Marceline dalla perdita del posto di lavoro. Non è d’accordo, però, anzi pensa e sostiene che il carico di responsabilità sia troppo faticoso da reggere ed attribuisce ad esso la recrudescenza della malattia.[7]
Raccontando questa fase della terapia, Janet dice:
«Mi sono limitato a tenerla a casa tutte le volte che avevo una qualche preoccupazione e cercavo di farla rientrare solo quando si fosse ristabilita il più possibile. Questi fenomeni di depressione[8] si sono ripresentati per quasi tutto l’anno negli intervalli tra un trattamento e l’altro» (ivi, p. 71)
Dunque, depressione. Si fa strada nella testa di Janet una nuova ipotesi diagnostica.
La paziente sta molto meglio e la ditta la nomina ispettrice: l’emozione di questo incarico scatena nuovi e più gravi disturbi soprattutto sul piano della memoria. Ricominciano gli stati altalenanti e con essi la progressiva stanchezza di Janet che comincia a distanziare sempre di più le sedute, accorciandone la durata.
Interviene una polmonite che non ha prodotto i benefici attesi[9]. Espettorati di sangue si acuiscono con le mestruazioni: quale sangue sta vomitando? Quello della tubercolosi o quello mestruale? Depressione e amnesie popolano questo periodo, l’ultimo.
Ricapitolando: Marceline non mangia né urina spontaneamente. Il suo corpo non avverte i bisogni primari, è vuoto di sensazioni e tale deve rimanere perché l’unico impulso è il vomito. Vomita cibo, vomita sangue dal naso, vomita sangue mestruale dalla bocca.
Prova disgusto alla semplice vista del cibo e intorno a questa emozione Janet teorizza la formazione di un’idea fissa[10]: mangiare è inutile, sconveniente, immorale, tanto vergognoso da non poter essere fatto mai in pubblico. Nel sonno ipnotico o nel sonnambulismo Marceline riusciva a mangiare (come si è visto) ma quanto a provare gusto è altra storia. Negli stati alterati, si riuscivano a sciogliere le contratture che rendevano impossibile la deglutizione, si cercava di superare il disgusto senza però consolidare non tanto il gusto, quanto la più elementare sensazione di fame e sete. Come detto, la stessa cosa valeva per il bisogno di urinare: l’emozione raggelante del pudore produceva in Marceline uno spasmo dell’uretra e dunque l’impossibilità di urinare volontariamente. Il complesso di questi disturbi, molto frequenti nelle patologie isteriche, si accompagnava alla assoluta incapacità di Marceline di controllare la respirazione: non sapeva trattenere o accelerare il respiro, tossire o sbadigliare, piangere o ridere. Durante i periodi mestruali era l’utero ad essere colpito da spasmi circolatori, per cui Marceline cominciava a perdere sangue dall’utero, interveniva lo spasmo e il sangue fluiva prima dal naso e poi continuava attraverso la bocca.
Nei periodi di depressione profonda, Marceline presentava un’anestesia generalizzata, in quelli meno gravi comunque riusciva a sentire una qualche forma di sensibilità senza essere in grado di localizzarla nella parte del corpo che veniva stimolata. È un disturbo della percezione – dice Janet – non c’è nulla di organico, è un disturbo delle funzioni psicologiche.[11]
Marceline manifestava anche fenomeni ampiamente studiati da Janet nella catalessia: durante gli stati alterati, muovendole un braccio, questo rimaneva nella posizione data, al massimo la paziente riusciva a portare l’altro nella stessa posizione.[12] La memoria funzionava in due stati paralleli e distinti: ogni stato conservava il suo ricordo, con qualche eccezione per lo stato alterato nel quale, a volte, affioravano barlumi dell’altra vita. Negli stati ‘normali’, al contrario, questo non avveniva mai.
Marceline alternava stati di depressione con stati di eccitazione: certo, questo rimandava alla descrizione della doppia personalità, ma Janet, in modo molto significativo, dice che l’umore, l’atteggiamento e i sentimenti cambiano ‘quando il pensiero si innalza’ quando cioè si ripristina la sintesi tra funzioni superiori e inferiori e queste ultime non sono più solo in balia di loro stesse. O meglio, in balia di quella che Janet chiama l’emozione raggelante, quella che cancella le facoltà di pensiero, giudizio, insomma le funzioni superiori, restringe il campo della coscienza e fa emergere ossessioni e idee fisse. E le idee diventano allucinazioni e le allucinazioni movimento e azioni.
Marceline passa da uno stato all’altro mantenendo comunque un unico carattere.
Allora cosa produce le alterazioni nel suo funzionamento mentale?
L’eredità familiare, la pubertà, la fatica fisica, le eccessive responsabilità… alla fine sempre e comunque l’emozione, cioè un «[…] disturbo generale determinato soprattutto per derivazione quando il soggetto non è in grado di reagire concretamente a una qualche situazione nuova a cui non è già adattato» (ivi, p. 110).
Questo eccesso emotivo produce esaurimento e depressione nervosa e psicologica che rende sensibili alla suggestione. È altresì possibile che una contro-emozione eccitante possa avere un effetto benefico: Janet sostiene di aver fatto a Marceline, perché proprio non ne poteva più, delle gran scenate, delle quali puntualmente si pentiva salvo poi costatare che la paziente stava meglio, recuperava energia, mangiava, lavorava.
Se durante la prima fase della terapia la differenza tra i due stati era palese, con le modificazioni terapeutiche introdotte da Pierre Janet, Marceline vive di più in posizioni intermedie, in oscillazioni tra uno stato e l’altro: che cosa determini questi movimenti è difficile da dire. Non è la suggestione (come all’epoca si credeva): le isteriche non sono suggestionabili, lo diventano nel momento in cui un eccesso emotivo restringe il campo della coscienza. Con grande onestà intellettuale, Janet sostiene che erano tutti talmente stufi di questa malata che le loro suggestioni viravano sul benessere e la guarigione: se dunque le suggestioni fossero state determinanti, Marceline sarebbe guarita.
La suggestionabilità, il sonnambolismo, l’anestesia, l’amnesia sono il modo che ha l’isterica di colmare il restringimento della sua coscienza, lo stesso che sembrerebbe dar vita a due esistenze separate: in realtà: «la doppia personalità è la forma isterica della depressione periodica» (ivi, p. 117).
Se per depressione Janet intende un abbassamento della tensione delle funzioni fino alla scomparsa di quelle superiori (perché più recenti) e quindi al predominio di quelle inferiori, vuol dire che, nell’isterica, la cosiddetta doppia personalità si forma a seguito di un isolamento – con relativa amnesia – degli stati mentali.
All’origine però c’è la depressione, cioè il venir meno della sintesi mentale, il riprecipitare negli stati automatici della mente, per il presentarsi di un’emozione che altera l’andamento lineare degli eventi in persone di particolare fragilità e debolezza psichica: Janet sostiene infatti che la cosa più forte che un medico può fare per un’isterica è provare a dirigerle la mente.
Credo comunque che la conclusione diagnostica di Janet vada oltre la spiegazione che egli stesso ci dà e contenga una potente carica innovativa che forse parla più a noi che alla psichiatria del tempo. Credo che Janet ci stia dicendo che i fenomeni dissociativi sono la manifestazione di un funzionamento della psiche che perde unitarietà e tensione tra le parti di cui è composta. E che, dirigere la mente di un’isterica[13] significa ricostruire le condizioni di questa tensione.
Janet maturo svilupperà su questa impostazione la psicologia della condotta, vale a dire una serie di indicazioni terapeutiche che consentono il ripristino della sintesi mentale.
Francamente, però, trovo questi aspetti interessanti, ma non significativi sia per valutare la portata dell’opera janetiana, soprattutto sul piano strettamente clinico. Trovo invece molto più feconda l’attribuzione di centralità all’emozione nella formazione di quelle idee fisse che scardinano l’equilibrio della mente.
In mezzo alle tante e lucide parole che Janet usa per la sua minuziosa descrizione del caso, di corsa e di sfuggita, chissà se con risentimento rabbioso o sollievo colpevole – o forse con tutti e due –, Janet ci dice che Marceline si spegne nel novembre del 1901, a trentacinque anni.
«Sono dieci anni, diceva, che non vivo, mi trascino come un’ombra, è proprio tempo di finire questa stupida storia» (ivi, p.72).
La storia di Marceline finisce così: la ragazza non decide di morire, si spegne.
Certo, le sue funzioni superiori sono attive, se considera stupida la sua vita, ma non abbastanza per evitare di essere sommerse dalla potenza delle sue inferiori emozioni.
L’ombra di quel corpo che non ha mai preso corpo si dilegua.
Note
- [1] Janet non manca mai di costruire la storia familiare e personale dei suoi pazienti. Sappiamo da Ellenberger, che, arrivato nel 1884 a Le Havre come insegnante di filosofia, decise di avviare da volontario, presso l’ospedale della città, una ricerca su allucinazioni e percezioni per il dottorato che conseguì cinque anni dopo. Si impose da subito tre regole fondamentali: esaminare il paziente da solo, prendere nota di quanto dice o fa, studiarne attentamente la biografia e la storia personale e clinica. Di fatto, le regole e i confini del setting.
- [2] Ho deciso di non abbreviare il nome con una M. che sicuramente avrebbe reso il testo più leggero: mi piace pensare che il corpo di Marceline abbia finalmente un peso.
- [3] Nel testo la parola usata è proprio questa: vomita.
- [4] Nella Prefazione alla seconda edizione de L’Automatismo Psicologico del 1893, Janet enucleando i punti centrali della sua ricerca e le questioni ancora aperte, fa proprio riferimento alla necessità di approfondire gli studi sulla memoria. Amnesie, sonnambulismo e idee fisse evocano un luogo che le contenga: progressivamente, come vedremo, Janet comincia a fare i conti con la sfera del subconscio.
- [5] Quanto somiglia questa preoccupazione di Jules Janet alla nostra angoscia con pazienti anoressiche…
- [6] Artificiale per distinguerlo dalla Felida, diciamo così, naturale. Il caso di Felida osservato da Eugéne Azam (1822-1899) era all’epoca molto noto. Felida era una ragazza intelligente ma nervosa, malinconica e taciturna. A 14 anni cominciarono a manifestarsi quasi ogni giorno acuti mal di testa con dolori alle tempie in seguito ai quali Felida cadeva in un torpore che niente (rumori, punture, richiami) riusciva a scalfire. Dopo qualche minuto si svegliava, si alzava, rideva, cantava e riprendeva le sue occupazioni. Dopo tre o quattro ore, ripiombava nel torpore precedente. In tutte e due le condizioni, la sua ragione era intatta, mentre il carattere cambiava. Anche Felida aveva due differenti registri della memoria.
- [7] Non era frequente all’epoca considerare la realtà esterna un significativo elemento diagnostico e prognostico. Marceline ha una familiarità, è persona fragile per questa ereditarietà, ma poi contano gli eventi della vita, le cose che le succedono, la storia e l’ambiente in cui vive per migliorare/peggiorare la sua patologia.
- [8] Il corsivo è mio
- [9] In molti casi esaminati da Janet, in presenza di infezioni polmonari o tubercolosi i disturbi mentali e nervosi diminuivano, come se il corpo reale prendesse il sopravvento. In Marceline, no.
- [10] «Un’idea non è qualcosa di semplice e inerte nella mente, è un intero sistema di immagini e tendenze che si sviluppano e si trasformano di continuo». (Janet 2016, p. 122). L’idea fissa esiste a prescindere dalla coscienza del soggetto, è per questa ragione sub-cosciente. Janet usa questo termine con grande circospezione, quasi in senso geografico, per togliere di mezzo qualsiasi interpretazione filosofica e farne un luogo della struttura piramidale della mente. Negli isterici, l’idea fissa determina uno stato emotivo persistente che tende a indebolire la sintesi mentale, vale a dire la capacità di tenere connesse le funzioni superiori e quelle inferiori della mente. Le emozioni raggelanti spezzano l’equilibrio e impongono la legge della disaggregazione. All’origine, una predisposizione ereditaria, una fragilità del soggetto, un vissuto traumatico.
- [11] Janet richiama il fenomeno psicologico della percezione dei segni di Wundt. Comunque è chiaro che qui sta convalidando la sua ipotesi di ricerca sulle funzioni psicologiche prevalenti su quelle organiche nelle patologie che studia.
- [12] Nello studio delle catalessi, Janet ha osservato la sincinesia, cioè la generalizzazione dei fenomeni. Muovendo una mano a pugno anche l’altra assume la stessa forma. In presenza di suggestione ipnotica, l’ordine viene compreso ed eseguito senza il consenso del soggetto e produce un’allucinazione di immagine cui corrisponde un movimento.
- [13] È difficile parlare oggi di isteria senza far riferimento alle acute osservazioni di Meares che individua nel complesso della patologia bordeline le caratteristiche dell’isteria di un tempo.
Bibliografia
- Ellenberger H.F. 1970, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri, Torino 1976.
- Janet P. 1898, L’automatismo psicologico, Raffaello Cortina ed., Milano 2013.
- Janet P. 2016, Trauma coscienza personalità, Raffaello Cortina ed., Milano.
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- La Marceline di Jules e Pierre Janet – Marigia Maulucci • 180 kB • 47 download