
2023 Nuova Serie Numero 4 Il Grande Schermo: risonanze analitiche
A CURA DI CATERINA ROMAGNOLI Le immagini, con la loro indeterminatezza simbolica e con gli spazi vuoti in esse contenuti, rappresentano una delle chiavi per aprire la porta dell’inconscio. In questa prospettiva il cinema è una delle arti favorite per questa lettura. La rubrica Il grande schermo ospita emozioni e riflessioni sulle due espressioni immaginali: lo sguardo del cinema e lo sguardo della psiche.
Fellini e l’Ombra. Aldo Cichetti in dialogo con Catherine McGilvray
Cichetti
Per prima cosa, ti faccio i complimenti per il successo del tuo film documentario, finalista ai Nastri d’Argento 2022, e soprattutto vincitore nel 2023 del Mercurius Prize, il premio internazionale junghiano assegnato a Zurigo. Ci vuoi parlare un po’ di questo premio?
McGilvray
Sì, certo. Sono stata a Kusnacht pochi giorni fa, per ricevere questo premio, dopo la proiezione del film all’Istituto Jung. C’erano gli studenti dell’istituto, gli analisti e la famiglia Jung, quindi un pubblico molto molto partecipe, e per questo sono molto contenta di questo riconoscimento, perché lo considero la prova che la direzione in cui sono andata si è rivelata giusta.
Sapevo che c’era un rischio nel fare un film ibrido, che unisce animazione, fiction e documentario, e quindi sono estremamente soddisfatta del fatto che convinca le persone vicine alla psicologia analitica, che sia da loro considerato un film genuinamente ‘junghiano’.
Cichetti
Del resto, anche in Italia è stato presentato negli ambienti junghiani, in particolare al CIPA e all’AIPA, e mi sembra che pure in queste in queste occasioni sia stato molto apprezzato.
Nel tuo film, inoltre, Jung è visto da diverse prospettive: c’è lo Jung trasmesso da Bernhard con le sue particolarità, ma c’è anche l’avvicinamento diretto a Jung da parte di Fellini, quando, dopo la morte di Bernhard, lui stesso è andato in visita a Bollingen.
McGilvray
Certo, e poi non dobbiamo dimenticare la grandissima amicizia tra Fellini e Simenon, testimoniata dalle lettere tra questi due geni, accomunati dalla passione per la visione junghiana. Ho letto con molto interesse questo carteggio, ed è un vero peccato che non sia abbastanza conosciuto. La simpatia tra i due iniziò a Cannes negli anni ’60, quando Simenon, che era presidente della giuria, minacciò di dimettersi se non avessero premiato con la palma d’oro La dolce vita. Da lì prese le mosse una lunga amicizia, testimoniata da una corposa corrispondenza, nella quale parlano spesso del processo creativo e del fatto che Jung andrebbe insegnato nelle scuole, perché ha una prospettiva fondamentale non solo per l’arte e per gli artisti ma per la creatività nelle sue varie forme, che è parte essenziale della vita di ogni essere umano.
E poi c’è la grande differenza con la prima analisi freudiana tentata da Fellini, dalla quale egli racconta di essere letteralmente ‘fuggito’, mentre con Benhard scatta subito qualcosa di magico: tra i due avviene qualcosa di potente, si intendono perfettamente, perché tutti e due conoscono la forza del simbolo, dell’imago, ed entrambi amano disegnare. Ben presto, Fellini lo sente come una guida spirituale, ‘il mio vero padre’ – dirà. E, in effetti, l’analisi lo rimette al mondo, sia per quanto riguarda la vita quotidiana che per la ricerca artistica.
Quando, nel mio film, Nora Trevi D’Agostino cita il maestro chassidico amato da Bernhard, che affermava che il compito dell’uomo è trasformare la materia in figura, descrive il lavoro creativo che ha impegnato Bernhard e Fellini insieme: il primo interpreta i sogni, il secondo li mette in scena. È anche grazie a Bernhard che, com’è stato scritto, Fellini riesce a trasformare in immagini la materia dei sogni.
Cichetti
Questa bella definizione ci dà la possibilità di introdurre l’argomento importantissimo del rapporto tra cinema e sogno: il cinema può aprire all’immaginale, può farci entrare in quella stessa dimensione in cui abitano i sogni. Il vero cinema, naturalmente, quello che ‘ci cambia la vita’, come scrive Moscariello (2018), ben diverso dal semplice racconto mimetico dei fatti che vediamo oggi nelle mille serie sfornate a ritmo ossessivo dai vari colossi dello streaming, che non aprono all’immaginale e non cambiano la vita, e quindi Moscariello giudica ‘inutili’. Sei d’accordo con questa distinzione?
McGilvray
Sono d’accordo, e anche Fellini lo sarebbe. Per lui, come diceva spesso, l’unica cosa reale è l’invisibile. I film di intrattenimento li chiamava ‘macchinette’, giocattoli per intrattenere i bambini, mentre il vero cinema per lui è sempre stato analisi. Lui si è auto-analizzato in maniera spietata nei suoi film, con una grandissima sincerità. E questo è abbastanza particolare, perché nella vita reale aveva fama di inventare e mitizzare le cose che gli accadevano. Lui stesso diceva di sé: ‘sono un gran bugiardo’, ma le sue bugie sono più vere del vero, perché non sono legate al racconto dei fatti ma a qualcosa di interiore e profondamente umano.
Cichetti
Mi viene in mente che qualcosa di molto simile è stato attribuito a Bernhard, ad esempio da Manganelli, che ha detto: Bernhard è l’uomo che mi ha insegnato a mentire, aggiungendo poco dopo: era un uomo che voleva essere frainteso (Carotenuto 1977, p. 119).
Credo si possa dire che sia Fellini che Bernhard non possono essere ‘presi alla lettera’: non possono mostrare in maniera ‘chiara e distinta’ quel materiale ambiguo e scarsamente comprensibile che si intuisce, si sfiora, si rasenta durante un’analisi o un film che ‘ti cambiano la vita’: non perché non vogliano, ma semplicemente perché non è possibile, dato che questo materiale appartiene al mondo dell’indeterminato – direbbero i filosofi – al mondo informe e caotico al quale attingono anche gli artisti e i poeti, che possono dirsi tali perché riescono a veicolarne i contenuti, senza falsificarli, verso il mondo del determinato.
Certi terapeuti hanno in comune con gli artisti il fatto di operare al confine tra i due mondi, con il compito peculiare, però, di doverne maneggiare i contenuti solo quel tanto che basta per accompagnare il paziente nel suo percorso personale. È per questo che, a volte, non possono essere presi alla lettera, perché il tentativo di esprimere questi elementi nel linguaggio uni-voco della ragione, il linguaggio indirizzato del determinato, provocherebbe la loro falsificazione, toglierebbe loro ogni forza evocativa.
C’è un passaggio fondamentale nella poetica di Aristotele, nel quale si afferma che lo storico e il poeta non differiscono per il fatto di parlare in prosa o in versi, ma perché il primo racconta le cose che sono accadute, il secondo quelle che possono accadere. Lo storico parla di fatti reali, mentre il poeta di fatti di fantasia. Però, continua Aristotele, a volte il poeta può parlare anche di fatti reali, ma a patto che questi siano verosimili (Poetica, 51b, 1-32).
Infatti, se è evidente che le cose avvenute sono possibili, compito del poeta è quello di narrarle in maniera tale da mettere in evidenza la loro verosimiglianza, ovvero mostrare la concatenazione causale dei fatti che forma la trama, l’intrigo (mythos) delle vicende narrate, per poter evidenziare il senso che le percorre. Mentre lo storico deve descrivere con sempre maggiore esattezza lo svolgersi dei singoli fatti, ad esempio le vicende della vita di Edipo, il poeta deve occuparsi della totalità, deve riuscire in due ore – il tempo di una tragedia – a far capire chi è Edipo, a far cogliere il senso della sua vita. Questo vale oggi anche per il cinema, e ricalca la distinzione di cui abbiamo parlato poco fa tra il vero cinema, quello di Fellini, e le da lui vituperate ‘macchinette’ semplici racconti di concatenamenti di fatti.
Ma tu hai fatto un film che parla di fatti realmente accaduti, anzi hai usato filmati e testimonianze assolutamente reali, e tuttavia in poco più di un’ora ci fai capire qualcosa di importante di Fellini e del suo rapporto con Bernhard e la psicoanalisi junghiana. Non a caso Zappoli, su Mymovies, ha scritto che Fellini e l’Ombra ha ‘il rigore dell’indagine e l’impalpabilità di un sogno’. Sei d’accordo con questa definizione?
McGilvray
È una bellissima descrizione, che mi lusinga molto. Devo dire che questo film è nato da un lavoro molto lungo. Ho cominciato a lavorare a quest’idea nel 2017, ed è stato girato nel 2020. C’è stata, quindi, una lunga preparazione, durante la quale mi sono letteralmente tuffata in un mare di documenti e testimonianze. In realtà, nel film, che dura solo un’ora, sono riuscita a inserire solo una minima parte delle cose che avrei voluto dire. Alcune cose sono state espresse in maniera solo simbolica.
Faccio un esempio pratico: la scena in cui l’animazione mostra lo studio di Bernhard con la finestra aperta, da cui entra una foglia di Ginkgo biloba, che volteggia e si va a posare sulla pagina dell’I King aperta. Nel film non abbiamo raccontato perché c’è proprio una foglia di Ginkgo biloba, ma il motivo è che Bernhard amava moltissimo queste foglie, perché sono a forma di cuore e in autunno diventano come d’oro, e c’è una bellissima poesia di Goethe, che si intitola appunto Ginkgo biloba, che parla della consapevolezza della nostra molteplicità, dell’essere ‘uno e doppio insieme’.
Queste foglie erano un simbolo molto forte per Bernhard, che le raccoglieva sempre quando le trovava per terra, e quando, pochi giorni fa, ho raccontato queste cose alla presentazione del film, in Svizzera, la nipote di Jung mi ha detto che probabilmente aveva mutuato da Jung stesso questa passione, perché anche il bisnonno amava questa poesia di Goethe e collezionava foglie di Ginkgo biloba. Non solo, ma Jung aveva piantato un albero di Ginkgo biloba nel suo giardino, e Bernhard ha fatto la stessa cosa nel giardino della sua casa di Bracciano.
Tutta questa rete di simboli nel film è stata affidata ad un’immagine, alla brevissima sequenza della foglia che entra nella stanza di analisi, e di elementi come questo ce ne sono molti altri, ci sono accenni e allusioni a discorsi che sono fuori campo, perché l’idea del film non era di spiegare, di raccontare, ma di far entrare lo spettatore in un mondo, il mondo della relazione terapeutica e creativa tra Fellini e Jung, mediata da Bernhard, e quindi lo spettatore viene invitato a lasciarsi andare in questo viaggio, seguendo la giovane regista straniera che vuole fare un film sull’inconscio creativo di Fellini.
Cichetti
E qui chiaramente c’è un’allusione a Otto e mezzo, il capolavoro di Fellini: lì c’era un alter ego di Fellini, Mastroianni, che interpretava un regista in crisi che non riesce a fare il suo film, e qui c’è una regista straniera che cerca di fare un film su Fellini ed entra in crisi.
McGilvray
Certamente, il mio film ‘strizza l’occhio’ a Otto e mezzo di Fellini, ma non si propone di raccontare il Fellini che tutti conoscono, sebbene il Fellini dell’Ombra, dell’Anima, il Fellini interiore del Libro dei Sogni. Quindi, ci sono delle interviste, per dare un po’ di informazione, ma il più è affidato alle emozioni, a una immersione nell’inconscio creativo di Fellini. Per questo, già in fase di sceneggiatura, con Caterina Cardona e Bruno Roberti, abbiamo scelto come strumento evocativo il disegno animato, per far vivere questi simboli, questi archetipi che troviamo nei disegni e nei sogni di Fellini, che lui poi fa diventare la materia dei suoi film. Sia con l’animatrice Gisella Penazzi che con la montatrice Silvia Di Domenico, che ha fatto un utilizzo creativo del materiale di repertorio – per associazioni come direbbe un freudiano, per amplificare i simboli, secondo la concezione junghiana – abbiamo poi cercato di visualizzarli, per far entrare lo spettatore giù in profondità, in fondo agli abissi dell’inconscio, come si dice nel film, che non sono necessariamente spaventosi, ma sono anche pieni di tesori. Lo scopo del film era cercare di condurre lo spettatore in questo viaggio verso l’Anima di Fellini, verso le sorgenti della sua creatività. Di portare fuori questi tesori dalla enorme caverna della sua dimensione immaginale.
Cichetti
Certo, e direi che l’impresa è riuscita. Anche grazie ai disegni e alle animazioni, che sono bellissime.
McGilvray
È vero, le animazioni sono piaciute molto. Gisella è stata bravissima, perché non ha imitato i disegni di Fellini. Fin dall’inizio ci siamo dette che sarebbe stato quasi un sacrilegio imitare i disegni del Maestro. Abbiamo così deciso di rielaborare le sue immagini alla nostra maniera, con la nostra sensibilità femminile, mia e di Gisella. Quindi c’è un gioco di specchi: noi, in qualche modo, siamo entrate in rapporto con la parte femminile interiore di Fellini, che nel film chiamiamo Anima, un po’ impropriamente, forse, perché per noi è anche un po’ la sua parte Gelsomina, la sua Gelsomina che è sia Giulietta Masina, la sua musa e compagna di una vita, sia lo stesso Federico, la sua parte infantile, sensibile e poetica. Ci siamo rivolte a quest’aspetto della sua psiche e della sua interiorità e abbiamo dialogato con lei, per identificarci con questi suoi temi e quindi raccontarli ‘dall’interno’.
Cichetti
Quindi si tratta di un film sull’Anima, penso che tu sia d’accordo. Ma allora, ti chiedo, perché il titolo Fellini e l’Ombra?
McGilvray
Ho scelto Fellini e l’Ombra perché mi sembrava che questo titolo potesse andare bene per dire tantissime cose. L’Ombra contiene un po’ tutto, se vuoi anche Claudia, la piccola regista straniera che vuol fare un film su di lui è un po’ la sua ombra, lo segue come un’ombra…
L’Ombra contiene tutta la parte spaventosa del rapporto di Fellini con i propri sogni, con la dimensione immaginale e anche con il paranormale, con i fenomeni che lo spaventavano, da cui era spesso colpito e da cui l’analisi junghiana lo ha protetto, direi anche salvato. La sua Ombra era veramente enorme: lui era un gigante, e proiettava un’Ombra gigantesca, che lo avrebbe potuto schiacciare se fosse stato abbandonato a se stesso. Lui diceva che non si vergognava di nulla, e sfogliando il suo Libro dei Sogni troviamo delle cose anche molto imbarazzanti, molto ‘nere’.
Come dice l’antico detto tibetano, più grande è la statua di un uomo più grande la sua ombra, e in lui c’è tanta ombra perché c’è anche tanta luce. Lui era il faro, non a caso veniva chiamato il Mago, e anche di Bernhard è stata detta la stessa cosa: grandissima luce e grandissima Ombra. Erano due Magi che si sono incontrati, e miracolosamente ognuno aveva quello che serviva all’altro per crescere, per creare. Fellini ha creato i suoi film e Bernhard ha contribuito a creare Fellini. È stato un incontro fortunato che va anche al di là dei confini dell’analisi. Erano due persone che si sono trovate, cosa che raramente capita in psicoanalisi, e si sono anche molto divertite. Da quello che sappiamo, era una relazione che andava oltre il setting, in cui la creatività era quello che li univa, la creatività e l’apertura mentale.
Nella lettera di addio che Fellini scrive a Bernhard, dice che gli ha insegnato una forma di spiritualità che non è quella del cattolicesimo della sua infanzia, che lo aveva portato a una scissione terribile, ma è una spiritualità che unisce, tra Oriente e Occidente, nella quale Bernhard congiunge il cristianesimo e l’ebraismo con il tao e le filosofie orientali, come egli stesso spiega molto bene nelle 34 paginette della sua Introduzione all’Abbandono alla Provvidenza Divina, il testo del gesuita Jean-Pierre de Caussade che Bernhard aveva fatto editare da Astrolabio e che distribuiva a tutti i suoi pazienti.
Purtroppo, come sappiamo, l’analisi di Fellini non è terminata, a causa della morte di Bernhard nel ’65, cinque anni dopo il loro primo incontro. Non sappiamo cosa sarebbe potuto accadere se fosse durata di più, se avrebbe potuto dare ancora altri frutti. Ma in fondo, bernhardianamente, dobbiamo dire che doveva andare così, che è andata bene così.
Cichetti
Sono d’accordo. Abbiamo tanti capolavori, cinque Oscar, direi che quella di Fellini può essere considerata una vita pienamente realizzata. E questo lo possiamo capire meglio oggi, anche grazie al tuo film, che ci guida in questo straordinario viaggio nel mondo incantato che questi due personaggi geniali hanno potuto costruire.
Con queste parole, possiamo concludere la nostra bella conversazione. Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e ti faccio ancora i complimenti per il film, che spero possa continuare ad avere il successo che merita.
Bibliografia
- Carotenuto A. 1977, Jung e la cultura italiana, Astrolabio, Roma.
- Moscariello A. 2018, La porta del cinema e la porta dell’inconscio A. Iapoce in dialogo con A. Moscariello, in «Quaderni di Cultura Junghiana», Nuova Serie n. 0, pp. 103-109.
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- Fellini e l’Ombra Aldo Cichetti dialoga con Catherine McGilvray • 174 kB • 1 download