Questo fascicolo è dedicato alla memoria delle colleghe
Angela Connolly e Caterina Rocca Guidetti
La cornice reale e metaforica che racchiude la composizione di questo numero è quella del tempo sospeso. ‘C’era una volta’, ‘In quel tempo’, sono l’incipit delle fiabe, dei racconti mitici, delle parabole, dove la condizione della sospensione del tempo quotidiano si fa necessaria per accedere alla fantasia, all’ascolto, alla riflessione, alla possibilità di una visione che per poter sognare deve staccare lo sguardo dal presente.
L’esperienza della pandemia da Covid 19 ha attraversato il nostro tempo fermando il ritmo delle nostre abitudini, dei nostri progetti e del nostro modo di immaginare il tempo. Nella vita dell’umanità, come in una partitura musicale, si è inserito un ‘punto coronato’, quel segno che prolunga la durata di una nota o di una pausa oltre il valore abituale, creando una ‘battuta d’arresto’ fuori tempo, che tuttavia sottintende una ripresa della continuità del ritmo e della melodia o un suo possibile cambiamento. Il tempo della coscienza, programmato secondo le ordinate categorie di Krònos, è stato spezzato, interrotto, generando insieme alla irruzione anche l’apertura ad Aiòn, la divinità dell’infinito fluire della vita e della morte, dell’inconscio.
In un tempo sospeso, resta da pensare se le categorie che hanno finora regolato l’esperienza soggettiva e collettiva siano ancora idonee a dare senso a questo evento assolutamente nuovo, in cui la nostra visione culturale e il vissuto contemporaneo fatica a riconoscersi, e comincia a fare esperienza del suo oltrepassamento. «Tutto è ben fermo e saldo al di sopra della corrente, tutti i valori delle cose, i ponti, i concetti, il bene e il male: tutto ciò è saldo. In fondo tutto sta fermo, ecco una vera dottrina invernale […] ma contro di ciò predica il vento del disgelo» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Utet, Torino, p. 258).
Ma quali vissuti porta questo tempo sospeso? Per alcuni è solo la durata di un evento nefasto, per altri una entità mortifera e persecutoria, per altri ancora una occasione per riconnettersi con la trascendenza, con l’eterno ritorno, con il cerchio della storia, con il mito. Per noi che ci occupiamo di ‘psiche’ è tutto questo insieme: tempo interiore, individuale e collettivo, tempo psicologico, onirico, esperienza vissuta che attraversa, accompagna, permea l’esistenza. Questo tempo sospeso è quello che avvolge il lavoro terapeutico, che nell’attesa trasforma la rottura del ritmo della sofferenza in possibile continuità e riconnessione di significato, tra la storia passata del paziente e la sua possibilità di progettarsi nell’autenticità dell’individuazione. «Lo spazio dell’anima è incommensurabilmente grande e colmo di realtà vivente. Al margine di questo spazio sta il segreto della materia e quello dello spirito, ossia del senso. Senza la coscienza riflessiva dell’uomo il mondo è una gigantesca assurdità» (C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, Bur, Milano 1979, pp. 436-437).
Gli articoli di questo numero sono collegati a questo tema, direttamente o in modo trasversale.Si riferiscono a un tempo che pur essendo passato continua a vivere nel presente. Alla memoria delle colleghe scomparse Angela Connolly e Caterina Rocca Guidetti abbiamo dedicato questo fascicolo e a testimonianza della stima e dell’affetto che ci lega a loro nel ricordo, riproponiamo un articolo di Angela Connolly, e ospitiamo le testimonianza del lavoro di Caterina Rocca Guidetti (Anna Cannavina, Rosa Maria Dragone, Marina Manciocchi, Anna Maria Stella). Il loro pensiero e il loro instancabile lavoro clinico si riconnettono, per vie anche non immediatamente visibili, agli analisti analiticamente ‘più giovani’ (Antonio Nicolosi, Laura Legno, Giovanna Di Carlo), a formare un legame ideale tra un imprescindibile sedimento della tradizione con l’altrettanto imprescindibile apporto del nuovo. Così troviamo delineati modelli clinici di diagnosi e terapia tradizionali con nuove possibilità di lettura e di approccio alla clinica (Fiorina Meligrana, Paola Cavalieri, Gianfranco D’Ingegno).
La situazione pandemica è anche direttamente il presente, ce lo ricordano continuamente i comportamenti che dobbiamo adottare, le ‘antenne’ emotive che ci accompagnano insieme al martellamento dei mass media, con le ripercussioni inevitabili sui disagi mentali e sugli interventi terapeutici (Alessandra Corridore, Stefano Fissi).
Nel breve excursus storico del Gruppo di Ricerca teorico-clinica condotto da Massimo Giannoni vediamo che ci sono legami con la storia longitudinali ma anche di ampliamento, tesi a catturare altri modelli teorici di riferimento, nella consapevolezza che un confronto e un ‘dialogo’ sia l’unica strada per ampliare le possibilità terapeutiche e le conoscenze.
Rimane centrale in questo numero il ruolo che nel tempo gioca la dimensione culturale, cultura in senso ampio, nel suo legame con la memoria e con il disagio mentale di cui noi analisti ci prendiamo cura, cultura che crea il terreno comune tra psicologia, psicopatologia e storia, mondi che, aprendosi l’un l’altro, gettano le condizioni per un nuovo senso dell’umano e della sua identità (Angiola Iapoce).
Così Marcello Massenzio, partendo dall’intenso rapporto tra Bruno Callieri e Ernesto de Martino, può ben riproporci la sua conferenza al CIPA, arricchita da ulteriori riflessioni, di un tema ancora profondamente attuale per noi psicologi analisti: il possibile dialogo tra la psicopatologia con le sue coordinate di riferimento, e l’antropologia, attraversando quelle ‘apocalissi’ che troviamo depositate nella storia delle religioni.
E ‘cultura’ è anche la ‘stoffa’ delle riflessioni di Filippo Maria Ferro – intervistato da Angiola Iapoce e Anna Moncelli – che ci conducono attraverso alcuni momenti della storia dell’arte a quel mondo delle raffigurazioni delle pandemie che si sono susseguite, mettendo in evidenza un rapporto costante nel tempo tra la condizione emotiva delle pandemie e il desiderio/bisogno di immagini tese a riprodurle.
Nel ringraziare tutti coloro che hanno contribuito con il loro impegno e la loro passione alla realizzazione di questo numero lasciamo ancora a Zarathustra la parola, come auspicio per questo attraversamento: «Se in me è quella voglia di cercare che spinge le vele verso terre non ancora scoperte. Laggiù lontano splende per me lo spazio e il tempo, orsù! Coraggio! Vecchio cuore!» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 293).
Angiola Iapoce e Anna Moncelli
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