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Editoriale

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

QCJ 2020

2020 Nuova Serie Numero 1 Editoriale

Editoriale

Se per Freud le isteriche soffrivano di reminiscenze e per Jung la memoria è fortemente implicata nella formazione dei complessi a tonalità affettiva, oggi sappiamo che i processi e la funzione della memoria rivestono un ruolo di primo piano nella fenomenologia delle patologie e nell’inquadramento diagnostico. Basti pensare alla diagnosi di trauma complesso, che rimanda ad un passato depositato ma non coscientizzato, memorizzato implicitamente ma non esplicitamente ricordato, per focalizzare la centralità della funzione della memoria nella dinamica della psiche.

Senza trascurare l’indiscussa centralità dei processi di memoria nella costituzione di un’identità personale.

Sul piano della collettività, poi, l’organizzazione della società e la sua gestione politica è frequentemente imputata di ‘avere scarsa memoria’, per indicare evidenti storture o mancanze che impediscono una crescita e un progresso equilibrato.

Così, se dobbiamo ‘apprendere dall’esperienza’ per mettere in movimento il tempo psichico e non rimanere imprigionati nella fissità di un presente cristallizzato, non possiamo fare a meno di un ‘presente ricordato’ che gli studi neuroscientifici hanno portato alla nostra conoscenza.

Per l’anno 2019 l’Istituto di Roma del CIPA ha intrecciato le proprie attività intorno al tema della memoria, dedicando ad essa molte iniziative. Così si è espressa la Commissione Scientifica:

«Nell’assetto terapeutico, dimenticare e ricordare costituiscono i nostri principali strumenti di lavoro, su cui facciamo affidamento per costruire un canovaccio affidabile della storia e dell’identità della persona che abbiamo davanti, quali nostri migliori alleati per muoverci nella temporalità complessa del racconto e del progetto».

In questo numero si è voluto ispirarci al tema dell’anno, si tratta di un fascicolo che affronta e descrive, nella parzialità inevitabile di brevi appunti, alcuni momenti di ‘memorie’: abbiamo così alcuni pensieri in forma breve di Borgna che, con la densa lievità che contraddistingue la scrittura del grande fenomenologo, declina il ricordo nel sentimento della nostalgia e dei suoi molteplici volti.

Il volto della nostalgia, còlto nella sua ambiguità, dà forma, nell’articolo di Ferrari, a due figure antitetiche: il migrante che conserva il doloroso sentimento della perdita della propria ‘casa’, e il fascista, nostalgico ‘eroico’ di un tempo passato che mortifica «la creatività del nuovo». Aperto al futuro, pur nel dolore, il primo; chiuso ad ogni progettualità capace di nuove esperienze, il secondo. Due figure ‘sociali’ a testimonianza del carattere collettivo e politico della nostalgia che non si gioca nel registro esclusivo dei sentimenti interiori.

Abbiamo il deposito archetipico delle prime esperienze d’amore che si possono ritrovare nelle successive relazioni amorose (Di Salvo), così come la memoria entra, ospite più o meno riconosciuto, all’interno dei primi colloqui di consultazione analitica (Tavernese).

Il trauma evolutivo precoce è oggetto tematico dei lavori di un gruppo di ricerca che vengono qui sintetizzati (Rondanini).

Sotto la forma della nostalgia di un passato che stenta ad essere dimenticato, il ricordo intreccia tre esperienze forti nell’articolo di Ursula Premeshuber: l’esperienza  biografica personale, il lavoro clinico con i pazienti e un’esperienza cinematografica, la visione di uno dei film più belli della storia del cinema: Nostalghia di Andreij Tarkoskij. Si tratta di tre momenti emozionali vivi che restituiscono nell’articolo tutta la vitalità di un sentimento profondamente vissuto.

Altrettanto è chiamata in causa la nostra memoria della letteratura della grande clinica di Janet, perché ancora oggi la sua lettura ci offre spunti di riflessione e indicazioni cliniche di interesse e di rilievo (Maulucci).

Ma la memoria è anche la ‘nostra’ memoria, di tutti noi colleghi che abbiamo condiviso percorsi comuni, a volte divergenti ma a volte fortemente convergenti, esperienze che ci hanno formato in quanto ‘comunità’ di terapeuti in cui ci riconosciamo. Momenti della nostra storia – per non dimenticare – li troviamo in due articoli-interviste, nel primo Irene Agnello pone domande a Luigi Aversa sull’introduzione della psichiatria transculturale in Italia, in particolare a Roma, di cui Aversa insieme ad altri, ne fu l’artefice.

Nell’intervista che Francesco Di Nuovo rivolge a Marino De Marinis si ricordano gli anni del pensiero di Franco Basaglia, anni di svolta, che introdussero un modo nuovo di ‘guardare’ il paziente psichiatrico gravemente psicotico e internato in strutture manicomiali che, proprio grazie alle sue battaglie, furono dismesse.

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Questo numero ospita anche altri articoli che senza essere direttamente connessi con la memoria, aprono finestre teoriche e cliniche di rilievo.

Rendere conoscibile un sintomo: non sempre il percorso è di dispiegamente ma, nel lavoro clinico, molto spesso il percorso è trasversale perché, come il fasmide in natura, il sintomo, nascondendosi, diviene forma del suo ambiente. Così Michele Accettella tematizza la ‘conoscenza accidentale’ che è più adeguata per aprire quella finestra, temporale ma soprattutto spaziale, con la quale mettere in condizione il sintomo-fasmide di rendersi visibile: si tratta di «trovare ciò che non si stava cercando»: ‘visibilità fluttuanti, defocalizzazione, vertigine visuale’, non teorie ma sensibilità attive e ben indirizzate per presupporre «una forma vivente…parzialmente simulata dentro alla struttura statica del sintomo».

Franco Bellotti, partendo dalla tensione dialettica tra sessualità e sensualità, intende porre in rilievo quale punto di partenza che unisce il corpo e la psiche quell’affetto che Jung ha rappresentato nei complessi, un affetto che, unendo sensazioni, percezioni e vissuti, fa vivere al soggetto i propri ‘stati d’animo’, nell’intimità di un corpo in cui sessualità e sentimento sono difficilmente separabili.

Se la collettività è anche ‘apparenza’, ovvero luogo in cui appare ‘lo stare insieme degli uomini’, il loro vivere in comunità, occorre liberare questo concetto da ogni residuo negativo di tradizione platonica, per restituirlo alla dignità di luogo ‘dei fenomeni’. È in questo luogo ‘politico’ in senso alto, che l’individuo dispiega le proprie azioni e, secondo Jung, fa ‘esperienza di sé’ in quel processo, che mai si conclude, dell’individuazione. Aldo Cichetti pone un interessante confronto tra questa posizione junghiana e le riflessioni della grande filosofa Hanna Arendt che, a sua volta, colloca il soggetto nello spazio inter-umano e nell’interrelazione con gli altri e la sua azione  nello spazio politico delle apparenze: due orizzonti di pensiero che, pur nelle differenze di intenti, sembrano convergere su questi aspetti.

Gilberto Di Petta e Danilo Tittarelli ci illustrano i risultati positivi delle esperienze che hanno condotto nelle istituzioni, applicando l’analisi esistenziale della psicopatologia fenomenologica di Binswanger alle relazioni gruppali: gruppi che hanno dato vita a un Da-sein, un esser-ci esistenziale che, trascendendo la singolarità dello psicotico, dà vita a quella ‘noità’ attraverso cui si è in grado di apportare miglioramenti al paziente psichiatrico.

Un numero ricco e auguriamo a tutti Buona Lettura!

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