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Dopo la violenza di massa e lo sradicamento: come un “luogo sicuro” emerge attraverso il gioco simbolico

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

QCJ 2016

2016 Numero Extra

Dopo la violenza di massa e lo sradicamento: come un “luogo sicuro” emerge attraverso il gioco simbolico

Noi umani siamo esseri sociali, abbiamo bisogno l’uno dell’altro per mantenere l’equilibrio fisico ed emotivo.

Forse – come si può intuire in questa immagine – la psiche non è semplicemente rinchiusa in noi, ma forse è proprio tra di noi che l’anima si forma. Da una prospettiva legata al concetto di mentalizzazione, si potrebbe dire: riconosciamo e sperimentiamo emotivamente noi stessi non dall’interno, ma solo attraverso un’altra persona. E questo processo inizia nella primissima infanzia.

Expressive Sandwork (Pattis Zoja 2012; http://sandwork.org) – il metodo che presenterò in questo articolo – ha a che fare con questo legame invisibile ed efficace tra le persone. Negli ultimi 10 anni, volontari provenienti da diverse professioni hanno reso Expressive Sandwork uno strumento psicosociale efficace per aiutare i bambini che soffrono per abbandono, violenze e abusi.

Questi volontari non sono psicologi, pedagoghi o terapeuti; sono esseri umani empatici che offrono tempo ed energie per gli altri. Expressive Sandwork si pratica in situazioni in cui non è disponibile quasi nessuna assistenza psicologica: in orfanotrofi cinesi e rumeni, insediamenti di fortuna in Africa, nei quartieri poveri dell’America Latina e recentemente in Germania per bambini di famiglie rifugiate.

Il primo progetto Expressive Sandwork in Colombia ha avuto inizio nel 2008 in una parte di Bogotà nota come ‘El Bronx’ dove lo spaccio di droga e armi, gli omicidi su commissione e la pedopornografia sono parte della vita quotidiana. La guerra civile, che è in corso in Colombia da 50 anni (e sembra essersi conclusa solo poche settimane fa)  non si è limitata a portare a massacri e alla dislocazione di massa di due milioni di rifugiati che ora vivono senza lavoro ai margini delle grandi città; la lotta decennale ha anche alterato il tessuto sociale. La guerra ha un effetto duraturo sulle abitudini e sui comportamenti, e la violenza brutale può arrivare fino al piano della famiglia. In ‘scala ridotta’, una guerra simile si sta combattendo nei barrios afflitti dalla povertà, rispetto alla guerra civile ‘su larga scala’: bande nemiche di giovani terrorizzano la popolazione e uccidono in infiniti atti di vendetta. Nel Barrio Norte, dove Sandwork ebbe inizio nel 2010, il progetto dovette essere concluso dopo pochi mesi, perché avevano sparato ‘accidentalmente’ al conducente di uno dei bus che portavano i bambini alle sessioni di terapia. Sandwork ha potuto essere ripreso nel 2014, nel momento in cui quasi nessun membro delle gang era rimasto in vita. Oggi, uno dei nostri progetti assiste alcuni dei figli di questi genitori, che erano a loro volta ancora minorenni. Vivono nella paura costante di essere seguiti dai nemici dei loro padri assassinati.

Che cos’è Expressive Sandwork?

Expressive Sandwork è un metodo sovra-culturale, in gran parte non verbale che si basa sulla Sandplay Therapy, che è stata sviluppata nel 1930 dalla pediatra britannica Margaret Lowenfeld (1890-1973) (ha chiamato la sua tecnica World Technique: la Tecnica del Mondo) e portata avanti nel 1960 da Dora Kalf (1904-1990), allieva di C.G Jung. Un bambino gioca con la sabbia e delle statuine in una sabbiera (sandbox). Margaret Lowenfeld è stata la prima terapeuta infantile a considerare il gioco in sé come terapeutico senza che richieda un’interpretazione. È stata criticata, per questo motivo, da Melanie Klein e Donald Winnicott.

La tendenza della psiche verso l’auto-regolamentazione e la predisposizione genetica all’attaccamento come premesse teoriche.

Due premesse teoriche, entrambe provenienti da una prospettiva teleologica, sono combinate in Expressive Sandwork.

In primo luogo, la ‘naturale tendenza della psiche verso l’auto-regolazione’, teorizzata da C.G. Jung, che descrive come la psiche produca continuamente, immagini spontanee ed emotivamente cariche e interi processi simbolici con lo scopo di contrastare squilibri psichici esistenti. Gli adulti conoscono questi processi di immagini nei sogni; nei bambini, c’è anche il gioco immaginativo.

Bowlby – in merito alla seconda premessa – ha illustrato l’importanza della relazione primaria per lo sviluppo di modelli operativi (working models) interni dell’attaccamento.

Presupponendo che la psiche è in grado di ‘autoregolarsi’, ne consegue che questa forma di regolazione deve essere orientata all’attaccamento e alle relazioni, dal momento che questo corrisponde alle nostre esigenze biologiche in qualità di mammiferi. Per svilupparci, abbiamo bisogno degli altri. Potremmo anche dire: lo sviluppo e le relazioni sono i due grandi fattori motivazionali dell’esistenza umana.

Questo ci porta a uno dei fattori centrali di sandwork: si svolge in gruppo. Il fatto che i bambini e gli adulti condividono una grande stanza crea una sensazione di sicurezza (cioè di diminuzione della paura), che a sua volta promuove il gioco esplorativo. Un vantaggio del gruppo, per esempio, è che un bambino molto inibito può permettersi di non fare nulla in un primo momento – può semplicemente stare a guardare per un paio di sedute quello che gli altri stanno facendo. Il gruppo segnala che non ci si aspetta nient’altro dal bambino. Questo gli offre un ‘luogo sicuro’, che è il presupposto perché funzionino i processi di auto-regolazione psicologica.

Si potrebbe anche dire che i traumi collettivi, come sono noti nelle zone di guerra, possono essere meglio guariti attraverso e all’interno di un gruppo. Quando la comunità di un villaggio viene massacrata – come accade in Colombia – allora non solo ogni individuo superstite è traumatizzato fino al midollo, ma anche la comunità di individui, l’‘anima collettiva’, viene ferita. La fede di ogni individuo nella solidarietà umana si spezza. Vedremo come la guarigione di un’intera comunità sia rappresentata dai bambini nel gioco della sabbia più e più volte: prima la distruzione e poi la guarigione attraverso la raffigurazione di pasti in comune e la celebrazione delle feste – come se i bambini avessero capito l’importanza dei rituali.

Che cosa intendiamo veramente con il termine ‘trauma’? Descriviamo come esperienza traumatica qualcosa che supera la possibilità di essere processata psicologicamente: la psiche allora produce modalità di vivere il mondo che proteggano contro nuovi infortuni (ad esempio l’apatia). Ma questo porta il grave svantaggio che, da quel momento in poi, l’individuo vive ‘con un basso profilo’ per quanto riguarda le relazioni e le emozioni: le possibilità di vivere la vita appieno sono estremamente limitate; le situazioni in cui l’auto-efficacia potrebbe essere testata vengono evitate; nei bambini, si tratta proprio del gioco immaginativo. Si tratta di un circolo vizioso. Nonostante tutto questo – e in barba a tutti i circuiti di regolazione biologici del rilascio di cortisolo – c’è una volontà, psicologicamente durevole e archetipicamente predeterminata, di acquisire nuove esperienze di relazione. In altre parole: poiché siamo esseri sociali, qualcosa di profondo dentro di noi non rinuncia alla ricerca degli altri.

Expressive Sandwork fa uso di questa funzione di autoregolamentazione della psiche, diretta all’attaccamento. I bambini giocano in una sabbiera, senza alcuna istruzione di sorta; due mesi più tardi, è evidente la loro migliore competenza sociale. Nessuno ha mostrato loro come raggiungere una maggiore fiducia in se stessi, nessuno ha insegnato loro che è meglio collaborare piuttosto che portarsi via i giocattoli a vicenda. Dove hanno imparato tutto ciò? Durante il gioco nella sandbox, in presenza di una persona di riferimento.

I tre fattori di Expressive Sandwork

Sono necessari tre fattori perché conflitti psicologici ed esperienze traumatiche siano elaborati dai bambini con l’aiuto di Expressive Sandwork, e questi fattori devono rimanere costanti per un periodo di almeno tre mesi: l’offerta del gioco immaginativo, un adulto che sia responsabile per il bambino durante questo periodo, e il gruppo. In pratica, l’impostazione è la seguente: c’è un gruppo di bambini e adulti – li chiamiamo volontari – in una grande stanza. Ogni bambino si siede o sta davanti a una sabbiera, ed è impegnato a creare il proprio mondo, l’adulto si siede accanto e osserva. La stanza è silenziosa. Innumerevoli oggetti e statuine sono posti al centro della stanza e ordinati per categorie: persone, animali, case, automobili, alberi, conchiglie e biglie. I bambini fanno avanti e indietro dai giocattoli alle loro sandbox, prendono un piccolo animale, soldati, blocchi da costruzione, macchinine. Non si disturbano a vicenda, ma sembrano essere occupati con la propria immaginazione. Alcuni degli adulti seduti accanto alle sandbox sono così discreti che difficilmente ci si accorge di loro. Dando uno sguardo più attento, tuttavia, è possibile vedere le loro espressioni cambiare inaspettatamente. Questo rivela quanto profondamente siano coinvolti. Uno spazio psicologico molto speciale si crea tra ogni bambino e ‘il suo’ adulto (o la sua adulta) durante le sessioni. Se anche si svolgessero delle conversazioni, sarebbero solo con un tono di voce molto basso per non disturbare gli altri. La comunicazione avviene tramite il linguaggio del corpo, in gran parte per contatto con gli occhi. Si offrono tra le 12 e le 20 sedute a settimana, ciascuna della durata di un’ora. I bambini possono anche finire prima, se lo desiderano, e lasciare la stanza mentre gli altri finiscono di giocare.

Ora, cosa fanno gli adulti, che – sottolineiamo – non hanno alcuna formazione in campo psicologico? O, più precisamente, che cosa non fanno? Non fanno domande e non commentano. Cercano di osservare ciò che accade durante il gioco, e quale effetto emotivo stia avendo sul bambino e su loro stessi. Naturalmente notano i cambiamenti dei contenuti del gioco. Se la maggior parte delle sessioni precedenti sono state caratterizzate da scontri e combattimenti, prima di cominciare l’incontro successivo il volontario potrebbe pensare tra sé: «Ecco che ci risiamo …». Ma se poi vede il bambino portare nella sandbox una manciata di pupazzetti di giocatori di calcio, anziché di soldati, un arbitro e due porte, allora probabilmente il volontario ne sarà stupito. Non solo, prenderà atto che il conflitto sembra essersi spostato a un nuovo livello. Dal momento che lui stesso ha passato una seduta dopo l’altra, per così dire, in una guerra, potrebbe ora tirare un sospiro di sollievo.

Ma questo gioco come si collega al tema dell’attaccamento?

Eccone un esempio che lo illustri: fin dalla prima infanzia una ragazzina è stata insicura e schiva. Le viene poi offerta l’opportunità di sperimentare sandwork: lei è felice di tutti i giocattoli e di avere la propria sabbiera! Ma non sa cosa pensare di questo adulto empatico che sembra essere ‘parte del pacchetto’. «Dovrebbe lasciami in pace», sembra dire il suo linguaggio del corpo. Nella prima sessione, la ragazza potrebbe anche cominciare a giocare con la schiena rivolta all’adulto. Nel frattempo, questo atteggiamento è raffigurato anche nella sabbia con l’uso delle statuine; ma è anche, con molta cautela, un desiderio di attaccamento. Deve essere sperimentato lentamente e con attenzione: ad esempio la ragazza mette una scrofa con i suoi maialini nella sabbia; poi una cavalla e i suoi puledri, e anche un bambino su una sedia e un cane che guarda il bambino.

Durante il gioco, i bambini sono costantemente impegnati ‘a dare la loro impronta alle cose’. Tendono ad essere cose che non avrebbero mai potuto essere effettuate nei loro ambienti, spesso ostili. Questo alimenta la fiducia in se stessi e nel mondo. E poi, ad un certo punto durante il gioco, una breve occhiata viene gettata in direzione dell’adulto: «Sta veramente guardando quello che sto facendo?» E ancora, un po’ più tardi, una seconda occhiata quasi involontaria: «Oh, ora ho fatto crollare il tunnel !!» L’adulto stava guardando e non solo ha visto il crollo del tunnel, ma ne ha anche fatto esperienza insieme al bambino. Via via, la presenza di un adulto sarà ‘usata’ emotivamente da parte del bambino con l’intensità che richiede in quel momento. Il bambino può scegliere il piano in cui vorrebbe provare l’attaccamento: sul piano simbolico nel gioco, o sul piano concreto. È possibile quasi vedere come i due livelli si costruiscano l’uno sull’altro: il gioco diventa più intenso perché un adulto è presente; e poiché il gioco si fa più intenso ed emotivamente impegnativo, l’adulto sarà coinvolto ancor più da vicino. Il bambino guarda più spesso l’adulto, il gioco diventa più differenziato e la presenza condivisa diventa più forte, proprio come nel caso di una buona sintonia durante l’infanzia: insieme, creano una forma pre-linguistica, attiva, dello stare insieme. E poiché questa forma di vicinanza potrebbe essere completamente nuova e, per alcuni bambini, mai sperimentata prima, si affermerà nella loro psiche come un nuovo modello di lavoro (working model) come definito da John Bowlby.

Un esempio di Expressive Sandwork in caso di trauma multiplo

Se ai bambini è permesso di giocare a lungo e abbastanza regolarmente in questo modo, allora i contenuti del gioco rappresenteranno quelle fasi dello sviluppo che ancora richiedono un certo grado di ‘saturazione’, perché i bambini possono esser stati trascurati fino a quel momento.

Questi contenuti possono essere letti nelle sequenze di gioco più e più volte: dar da mangiare, nutrirsi, curare, anche ‘giocare’ è rappresentato nella sabbia. E poi: trovare amici, combattere, conquistare, possedere e condividere qualcosa, ecc. Si crea una ricchezza interiore di esperienze e di emozioni; una solida base emozionale, per così dire, da cui i bambini possono poi trovare il coraggio di affrontare le esperienze traumatiche del loro passato più lontano: ricordi spiacevoli, dolorosi appaiono via via, raffigurati scenograficamente nella sandbox. La psiche di un bambino sa quando è il momento giusto.

Il seguente è solo l’esempio di una serie di lavori con la sabbia: una bambina di nove anni dalla Colombia. Maria Camila è stata testimone dell’attacco armato contro il suo villaggio nella regione amazzonica. Ha visto persone perdere la vita, tra cui anche bambini piccoli. La sua famiglia è stata risparmiata, ma il capo dei guerriglieri ha offerto denaro al padre perché gli consegnasse la figlia per essere addestrata nelle sue truppe. Quella stessa notte la sua famiglia fuggì a Bogotà, e da quel momento vive a El Bronx.

Maria Camila era timida e soffriva di problemi del sonno. Nel corso di numerose sessioni fin dall’inizio del progetto, ha creato immagini nella sabbia che rappresentavano un mondo pacifico, in cui le persone e gli animali vivevano insieme. C’erano fattorie e campi coltivati, gli adulti lavoravano, i bambini giocavano e anatre e pesci nuotavano nel lago. Gli animali vivevano in recinti protetti e ognuno aveva abbastanza spazio e cibo in abbondanza. Era evidente che la ragazzina si rilassava, allestendo queste scene. Chiaramente provava soddisfazione nel raffigurare più volte e più volte la pacifica vita agricola in dettagli scelti con cura. La quinta immagine nella sabbia, ad esempio, comprendeva cinque bambini seduti su cinque piccole sedie, ognuno con una bottiglia di latte.

La sesta sessione ha determinato un improvviso cambiamento – qualcosa di completamente inaspettato per il volontario: la guerra.

Un tessuto di tulle rosa che la bambina ha steso sulla sabbia su cui si svolgeva il teatro di guerra, appariva come un disperato tentativo di attenuare almeno un po’ l’orrore della scena. C’erano soldati che combattevano in una jeep. Le biglie di vetro nella parte inferiore dell’immagine erano le bombe, la ragazza ha spiegato. In alto a destra dell’immagine, queste stesse biglie rappresentavano l’acqua: questo era un luogo di recupero, con un pozzo, fiori e quattro gatti. In alto a sinistra si trovava una casa, ricordo di un mondo in pace; sul terreno, uno stormo di uccelli bianchi. Le cinque sedie, dove sedevano i cinque bambini con le loro bottiglie di latte nell’immagine precedente, ora erano vuote.

‘Autoregolamentazione della psiche’ significa anche che il bambino conosceva da sé quando e come l’esperienza traumatica andava rappresentata ed elaborata. Nella seduta successiva, la ragazza apparentemente ha sentito il bisogno di proteggere sé stessa. C’erano molti veicoli, come per essere in grado di fuggire rapidamente da una situazione. Questa immagine nella sabbia era come una pausa per riprendere fiato prima di proseguire con l’elaborazione del trauma. In uno dei seguenti lavori di sabbia,  il conflitto ha avuto luogo in epoca preistorica, come se brutalità e disumanità sarebbero state più facili da sopportare. Dinosauri stavano combattendo in coppie. Ma la scena contiene anche una zona protetta, un recinto con dei porcellini, un luogo di recupero.

Il tema della ‘brutalità nella preistoria’ è proseguito nella sessione successiva. Un tirannosauro sta attaccando una giovane donna. Si può ben immaginare che la ragazza abbia già sperimentato la brutalità a cui le ragazze e le donne possono essere sottoposte. Le cose non si sono fatte più facili nell’immagine seguente. La vita del Bronx è ritratta in dettaglio: case e appartamenti accatastati. In basso ci sono animali selvaggi che – secondo la ragazza – mangiano cadaveri umani. Un bambino è una preda facile per le strade di un posto così. Le cose sembrano essere più tranquille all’interno delle case. Le persone stanno pregando, dice Maria Camila. Sono seguiti ulteriori tentativi della ragazza di ritrarre nella sabbia una vita pacifica, tra cui numerose immagini di abbondanti pasti condivisi. Poi la sequenza di elaborazione del trauma viene ripetuta a un nuovo livello: un’altra rappresentazione improvvisa e inaspettata della guerra. Questa volta la scena non era coperta da un velo di tulle rosa. Case e persone sono mescolate con soldati e carri armati.

Atti di guerra e di amore materno (madri con i loro passeggini) sono molto vicini gli uni agli altri in questa immagine: il trauma e il superamento dello stesso.

È seguita un’altra serie di sandworks concilianti in cui lo stare insieme armonioso e pasti condivisi erano ritratti in amorevoli dettagli.

Oggi, la ragazza sta bene.

Il gioco immaginativo e simbolico è già un’espressione di autoregolazione della psiche. Anche se i volontari non comprendono sempre il significato simbolico dei contenuti del gioco, in ogni caso  sono in grado di osservare che i bambini rappresentano non solo il trauma in sé, ma anche la speranza, la protezione e la resilienza, e che questo diventa lentamente realtà nelle vite dei bambini. La funzione dell’adulto si focalizza nell’essere un risonatore emotivo – qualcosa per cui probabilmente la maggior parte delle persone è naturalmente dotata. Ciò spiega l’efficacia dei volontari e anche il basso costo dei progetti.

Tornando brevemente alla teoria: perché gli stili di attaccamento dovrebbero cambiare attraverso il gioco immaginativo?

Un concetto è fornito da Iaak Pankseep (Panksepp & Biven 2012), che ha studiato il comportamento del gioco nei mammiferi per 20 anni. Panksepp ha dimostrato che il gioco non solo svolge una funzione di regolazione degli affetti, ma serve in primo luogo per lo sviluppo della competenza sociale. Gli sfortunati ratti con cui ha lavorato e a cui è stato impedito di giocare, non hanno mostrato solo deficit generali nel loro sviluppo, ma soprattutto, hanno mostrato una palese incompetenza sociale. Dal momento che il cervello umano è un organo più simbolico – rispetto al cervello dei ratti di Panksepp che si impegnano in giochi molto turbolenti – si può dire che: negli esseri umani, l’apprendimento dei rapporti e anche la compensazione di deficit di relazione, avvengono anche, o soprattutto, a livello immaginativo e simbolico. E nei bambini, questo livello è il gioco, secondo Panksepp uno dei sette Sistemi Operativi Emozionali. Ciò che ci è stato impresso nella prima infanzia può essere modificato perché siamo in grado di rappresentare e sperimentare le cose a un livello simbolico. Fortunatamente noi umani non siamo intrappolati in un imprinting biologico irreversibile come le oche di Konrad Lorenz. Una relazione primaria sfortunata può essere ‘riparata’ perché una funzione autonoma, generatrice di simboli della psiche continua a cercare di ottenere tutto ciò che può essere andato storto fino a quel punto.

Quando Margaret Lowenfeld (Lowenfeld 1979) dice che la creazione dell’immagine nella sabbia ha  per il bambino lo scopo di poterla osservare lui stesso («In the ‘World Technique’, the child is confronted with parts of his own emotional world, thoughts and memories, by the fact that the child himself has laid them out for his own inspection», pag. 32), questa sua idea sembra risuonare profondamente con quello che Bion chiama ‘pensieri senza pensatore’: l’immagine della sabbia si è creata senza la presenza di un pensatore cosciente, ma sarà poi in grado di narrare al bambino stesso – tramite i propri gesti  e tramite il proprio linguaggio – tutto quello che il suo Sé profondo ha da aggiungere alla realtà percepita esteriormente. Nella psiche del bambino si differenziano così, in maniera fisiologica, soggetto e oggetto e la sua capacità di mentalizzazione può svilupparsi.


Bibliografia

  • Bion W. 1962, Learning from experience. William Heinemann. London, trad it. Apprendere dall’esperienza, Armando Editore, Roma 2009.
  • Bowlby, J. 1969, Attachment, Basic Books New York 1982, trad. it. Attaccamento e perdita. Vol.1: ‘L’attaccamento alla madre’, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.
  • Frank, C. 1999, Melanie Kleins erste Kinderanalysen. Die Entdeckung des Kindes als Objekt sui generis von Heilen und Forschen, Fromman- Holzboog Stuttgard 1999.
  • http://sandwork.org.
  • Kalff, D. 1960, Das Sandspiel, Ernst Reinhard Verlag Basel 2000.
  • Lowenfeld, M. 1979, The World Technique, Institute of Child Psychology, Allen & Unwin, Boston, MA 1979
  • Lowenfeld, M. 2008, Play in Childhood, ‘Forword to the 1991 edition by John A.Davis’, (Page VIII) Sussex Academic Press, Brighton Portland 2008.
  • Panksepp, I. Biven, L. 2012, The Archelogy of Mind. Norton. New York.
  • Pattis Zoja E. 2012, Curare con la sabbia, una proposta terapeutica in situazioni di abbandono e violenza, Moretti&Vitali, Bergamo 2012.
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