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Disturbo dissociativo ed esperienza del sacro

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

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2018 Nuova Serie Numero 0 A Tema

A CURA DELLA REDAZIONE Se si dovesse sintetizzare in cosa si esprime l’essenza e lo specifico dell’attività di cura della psiche, si potrebbe riassumerla nel suo continuo ‘stare tra’: Logos ed Eros, esperienza della relazione e possibilità di riflessione, pratica clinica e teoria. La rubrica a tema si pone come uno spazio di confronto, di espressione ed elaborazione di tutte le tematiche che partendo dalla pratica clinica evolvono in visioni della psiche, favorendo la possibilità di mantenere continuamente viva una sospensione che si interroga.

Disturbo dissociativo ed esperienza del sacro

L’interesse principale del mio lavoro risiede non tanto nella cura delle nevrosi, quanto nel tentativo di avvicinarsi al numinoso. Di fatto, però, l’accesso al numinoso costituisce la vera terapia e ci si può liberare dalla maledizione della malattia, solo in quanto si attinge alle esperienze numinose. La malattia stessa assume un carattere numinoso (Jung1982, p. 63).

Se si ha la fortuna, e la sfortuna, di esperire il numinoso (quando si parla del sentire e non solo di questo, dato che il sentire non risulterebbe scevro dal pensare) si tratta di un’esperienza che implica uno stato modificato di coscienza. Da un punto di vista soggettivo l’interessato diventerà testimone di accadimenti esclusivamente intrapsichici ma avvertirà rispetto a questi un certo senso di estraneità in virtù del fatto che l’Io non sarà l’unico attore sulla scena. In particolare si tratta di modificazioni della coscienza spesso associate a sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione, in assenza di allucinazioni e di delirio, con un esame di realtà adeguato e, paradossalmente, in presenza di uno sviluppo della personalità. Testimonianza, di fatto, esposta alla critica della nosografia psichiatrica che, nell’ambito della cultura junghiana, non ci stupiremo di analizzare procedendo a partire dalla diagnosi, quale potrebbe individuarsi a partire dal DSM IV in quella di Disturbo Dissociativo di Depersonalizzazione (AA.VV. 2001, p. 569). D’altra parte, qui si sottolinea che: «[…] risulta particolarmente importante la prospettiva transculturale, in quanto gli stati dissociativi possono essere espressioni comuni ed accettate di attività culturali o di espressioni religiose in molte società» (DSM IV. 2001, p. 558). Quindi anche l’esperienza personale del sacro (sacer) che, se fraintesa, verrebbe ricondotta esclusivamente alla psicopatologia, risulterebbe, invece, da un’altra prospettiva, inscindibile dall’esperienza iniziatica sperimentata in diversi luoghi e culture. Esperienza del sacro, che nella sua definizione, a livello psichico, non concernerebbe il trascendente ma un particolare stato di coscienza. In proposito, come scrive Eliade: «Il ‘sacro’ è insomma un elemento nella struttura della coscienza e non uno stadio nella storia della coscienza stessa» (Eliade 1948, p. 7), centrando il problema, così dicendo, sul terreno empirico dell’esperienza psichica. Come quando il sacro si rivela allo sciamano nell’uscire fuori di sé, in quanto esperienza propria dell’estasi (ékstasis) che presuppone un’alterazione dello stato di coscienza, e che diviene anch’essa rivelativa di qualcosa separato dall’Io, di «assolutamente diverso» (Van Der Leeuw 1933, p. 29), di Altro da sé. A proposito della percezione del sacro e del profano, nell’ambito della coscienza, è Durkheim ad affermare che: «Sono qui di fronte due sistemi di stati di coscienza che sono orientati e che orientano la nostra condotta verso due poli contrari» (Durkheim 1912, p. 346), tuttavia, per ciò che concerne il compito psicologico dell’individuazione il problema consiste nel dover superare tale dicotomia per esperire una coincidentia oppositorum che, evidentemente, non risulta semplicemente di natura filosofica e che, in ultima analisi, potremmo definire senz’altro esperienza del sacro, sia pure nella piena consapevolezza che quest’ultima si presta a diverse interpretazioni. Si realizza così ciò che, a livello antropologico, è stato definito da M. Mauss (1950) una rottura di livello tra ciò che intendiamo, solitamente, sia per sacro che per profano, dato che attraverso l’iniziazione, un’esperienza psichica che presuppone transitori stati alterati di coscienza e disturbi dissociativi, si può accedere ad uno stato intermedio di coscienza tra l’Io e il Non-Io, tra conscio e inconscio che, come ben dice Eliade, porta progressivamente ad una: «[…] mutazione ontologica del regime esistenziale» (Eliade 1958, p. 10). In proposito, dunque, rivisitiamo la proposta teorico-clinica junghiana che nella fenomenologia psichica dell’esperire il Sé come corrispondente del sacro, che a partire da R. Otto (1984) diventa nella sua duplice valenza anche il numinoso, non solo rinviene il sacrifico dell’unilateralità dell’Io nei confronti della psiche, l’individuazione e la matrice di unificazione tra l’uomo e il cosmo, ma anche l’esperienza psichica che conduce all’anima. La quale finalmente non risulterà più l’anima personale ma l’Anima Mundi e alla quale ci si rivolgerà per riscoprire il bello una volta ritrovata la conciliazione e la cura.

Un’esperienza psichica tutt’altro che immune dalla psicopatologia, anche se non riducibile ad essa, ed a questa intrinsecamente connessa e subordinata se non fosse, d’altra parte, per la durata dei sintomi che la differenziano, innanzitutto, anche per l’insistenza temporale, dall’Episodio Psicotico Breve. Inoltre, l’esito favorevole della prognosi, in questo caso, restituirebbe in integrum il paziente (da un’altra prospettiva diremmo l’iniziato) e agevolerebbe, addirittura, la ‘guarigione’ e lo sviluppo della sua personalità. Precisamente può accadere, in una forma transitoria ma che può durare anche molto tempo (lasciando uno strascico anche di anni caratterizzato dalla paura e da un vissuto di segretezza rispetto l’accaduto), di destabilizzarsi circa il proprio senso di identità e di sentire che le proprie funzioni psichiche non si raccordano più ad una unità che le presiede ma, al contrario, che si scindono evocando immediatamente la paura di impazzire. L’Io faticherà a sentirsi coeso, sia rispetto la corrispondenza delle proprie funzioni psichiche che in condizioni di normalità si armonizzano, sia rispetto i confini che delimitano la demarcazione tra sé e l’altro, tra sé e il mondo. Possono, altresì, affacciarsi sintomi che di solito, ma non in questo caso, concernono la schizofrenia, quali, ad esempio, la percezione di scosse elettriche in assenza di stimoli esterni, l’alterazione spazio-temporale (ad esempio macropsia o micropsia), l’impressione di essere scollati da se stessi e di osservarsi dall’esterno, il sentirsi meccanizzati, il venir meno di una netta demarcazione propriocettiva. A volte la situazione è talmente penosa da dover desiderare la morte come il male minore da affrontare, tuttavia, si tratterà di un lento e progressivo ampliamento della coscienza che impegnerà l’Io ad uno sforzo di sopravvivenza nei confronti dell’irruzione dell’inconscio. Tutto ciò comporterà, per la coscienza, una difficoltà notevole nell’utilizzo esclusivo degli strumenti della logica, poiché questi, da soli, non risulteranno sufficienti a risolvere il problema. Al contrario, l’ostinazione dell’Io a voler comprendere ciò che ad esso risulta inspiegabile sortisce l’inasprimento del conflitto. L’inspiegabile è rappresentato dal mistero della natura umana, da quel Mysterium coniunctionis che, prima di ogni nostro intervento, ci caratterizza. Da quell’irrappresentabile con il quale ci confrontiamo quando vogliamo capire chi siamo in quanto esseri umani e che ad un certo punto si affaccia come sintomatico, come fenomeno percettivo non integrato e di fronte al quale dobbiamo ad un certo punto arrenderci e abbandonare la volontà di analizzare e spiegare. Tale fenomeno può affacciarsi anche durante un’analisi, quando si è giunti ad una rivisitazione importante delle dinamiche intrapsichiche e relazionali che hanno condizionato e contraddistinto la struttura della personalità per tanto tempo ma che ora risultano inadeguate ed in procinto di cambiare e che, forse, proprio per questo, generando stress, traumatizzano e destabilizzano a tal punto il soggetto da evocare l’esperienza del numinoso. Esperienza del sacro, quindi, preceduta dall’insight, da un’intuizione improvvisa in qualità di esperienza interiore che promette di percepire una forma d’insieme nuova, significativa e risolutiva del problema personale ed esistenziale. Operazione che non riesce, purtroppo, sempre in riferimento a quest’esperienza, al nostro gemello diverso schizofrenico che continua a smarrirsi tragicamente nella contraddittorietà di una impossibile esplicativa sintesi logica, vissuta a livello percettivo anche come dissociazione delle funzioni psichiche. Invece, nel caso dello sviluppo della personalità, l’esperienza del numinoso consiste nel dovere accettare e integrare, dialogicamente, una psiche che non si riduce all’Io; prendendo coscienza dei propri limiti nel confronto che si gioca all’interno di se stessi tra l’Io e il non-Io.

Come scrive Jaspers in riferimento all’estasi:

…mentre la maggior parte dei fenomeni psichici che siamo in grado di descrivere sono descritti nell’ambito di una scissione di soggetto e oggetto, come proprietà del lato soggettivo o di quello oggettivo, esistono peraltro anche esperienze psichiche nelle quali la scissione di soggetto e oggetto non c’è ancora o è sospesa (Jaspers 1919, p. 515).

In proposito, a livello terapeutico, sarà importante considerare che l’Io risulta malato quando si inflaziona, arrogandosi prerogative non proprie ma della ‘propria’ natura; quando si intromette impropriamente nel fluire spontaneo e sinergico delle attività delle funzioni psichiche, presupponendo (illusoriamente) di anteporre il proprio controllo (o la volontà di conoscere a livello esperenziale l’inconoscibile), così come quando si perde non riconoscendosi espressione misteriosa del mondo.

Parliamo della sensorialità dell’esperienza psichica del Sé, della possibilità di esperire il sacro attraverso un particolare modo di sentire che, in quanto estatico e non estesico, si accompagnerà necessariamente ad una visione del mondo, ad una ierofania, che, se autentica, varierà da individuo a individuo sia pur riproponendo, a grandi linee, accadimenti che, a livello collettivo, si susseguono a partire dalle origini della storia della religiosità primitiva, così come vengono descritti in antropologia. Come scrive Altan:

In altri termini queste creazioni simboliche non sono qualcosa di puramente contingente, di gratuito, di arbitrario, di astratto, pure favole senza senso, ché altrimenti non si ritroverebbero, quale motivo centrale di tante religioni, in tutto il mondo. Esse sono simboli che rimandano ad una esperienza profonda, comune ai diversi popoli che le hanno prodotte, e come tali chiedono di essere interpretate. A questo punto appare con evidenza l’affinità che queste immagini del mito hanno con quelle coscientemente elaborate dalla psicologia del profondo per interpretare i contenuti dell’esperienza psichica dell’uomo. L’accostamento del mysterium tremendum del sacro, nei suoi aspetti vitalistici, oscuri, e come fonte della vita e della morte, alla raffigurazione dell’inconscio, all’Es, come sede di Eros e Thanatos, e cioè delle pulsioni generatrici tanto della vita quanto dell’aggressività distruttiva, e l’accostamento del simbolo luminoso della divinità – che apporta l’ordine nella natura e fra gli uomini ed apre ad essi, come detto nella Bibbia, la possibilità di distinguere il bene dal male – all’immagine dell’Io, della coscienza che controlla l’inconscio, e permette all’uomo di agire in modo volontario e liberamente, secondo la propria legge, tali accostamenti non sembrano arbitrari e forzati (Altan 1983, pp. 250, 251).

Un linguaggio che sembra riproporre, nel suo articolarsi, le stesse immagini mitiche che vorrebbe descrivere e che apparterrebbero alla psiche, così come quando il linguaggio della psicologia analitica si sviluppa attraverso delle immagini simboliche. Un particolare tipo di linguaggio che nel suo nascere non può prescindere dall’esperienza psicologica personale dell’iniziato. Di qui risulterebbe difficile scindere, come fece in qualche modo Jung in Tipi psicologici(1921), l’estetica dalla religiosità, l’istinto di gioco schilleriano dalla funzione trascendente, per aspirare ad una, per quanto imperfetta, conciliazione degli opposti psichici, dato che non potremmo più concepire un’estetica, sia pure sui generis e rivelativa di un rapporto di parentela con l’estatico, scissa da una qualsiasi Weltanschauung e, d’altra parte, una religiosità originaria ma, nel nostro caso, anche attuale e potenzialmente sempre presente, che risulti scissa da una qualsivoglia sensorialità. Dunque l’estetico e l’estatico, anche in analisi, si compenetrerebbero attraverso il luogo e l’esercizio del rito (basti pensare al setting), come, d’altra parte, scrive Eliade in riferimento al costume dello sciamano:

Il costume rappresenta in se stesso un microcosmo spirituale, qualitativamente diverso dallo spazio profano dell’ambiente. Per un lato esso costituisce un sistema simbolico quasi completo, per un altro esso è impregnato, per consacrazione, di forze spirituali multiple e in primo luogo di ‘spiriti’. Per il semplice fatto di indossarlo – o di maneggiare gli istrumenti che ne tengono il luogo – lo sciamano trascende lo spazio profano e si prepara ad entrare in contatto col mondo spirituale (Eliade 1951, p. 171).

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Analogamente, nella stanza di analisi la componente estetica si interseca inscindibilmente a quella interpretativa, anche attraverso una serie di canali sensoriali, costituendo un linguaggio e uno spazio-tempo particolare (mitico) che favorisce progressivamente l’iniziazione e il cambiamento. Nel nostro caso continueremo a parlare, comunque, in termini di opposti psichici ma soltanto come fatti relativi all’esperienza del numinoso, cioè come difficoltà e obbiettivo conoscitivo della coscienza ad integrare in un tutto armonico il corpo con il pensiero o, se vogliamo usare un altro linguaggio, affronteremo la dissociazione generata da questo confronto. Più precisamente come estremo tentativo della coscienza di capire attraverso l’esperienza personale e diretta il mistero di questa coniunctio. In altre parole non ridurremo la ricerca del Sé ad uno psicologismo della percezione, né la confineremo ad una ricerca filosofica, religiosa o intellettuale e nemmeno ad un credo confessionale. Al contrario, vogliamo analizzare come il Sé può rivelarsi nell’esperienza del mysterium tremendum o del mysterium fascinans (Otto 1984), attraverso la psicopatologia e come questa, come il sintomo, può essere letta da un punto di vista psicologico. Secondo la tradizione junghiana, noi vogliamo parlare di esperienza psicologica. Un’operazione inattuale quanto, in ultima analisi, curativa e in certi casi possibile (e ineludibile) in riferimento al rapporto che intercorre tra l’esperienza del sacro e l’individuazione. Così, come è sempre stato, il contatto con il sacro non riguarderà tutti, bensì persone separate dal resto della comunità sociale. Una separazione che, d’altra parte, si potrà sanare soltanto facendosi carico del proprio destino, cioè facendosi non solo testimoni ma anche pratici intermediari clinici (sciamani, sacerdoti…) tra i due mondi, cioè quelli del sacro e del profano, quelli del conscio e dell’inconscio, i quali, tuttavia, attraverso l’esperienza personale del sacro verranno momentaneamente sospesi, dato che tale dicotomia verrà annullata, così come a livello psicopatologico attraverso questa esperienza, in questo caso, per un lasso di tempo determinato, verrà meno la distinzione tra ciò che considereremo sano e ciò che risulterà malato, essendo le due componenti necessariamente embricate.

In tal modo, l’analista junghiano si presenterà umilmente sia come testimone dell’esperienza curativa del numinoso che dello sviluppo della personalità e dell’iniziazione al bello, attraverso la sofferenza psicologica e l’estasi. Dato che, se è vero che al bello si accede naturalmente attraverso lo stupore spontaneo ed immediato della sensorialità, dell’aisthesis (scindendosi dalla quale ci si abbrutisce e ci si deprime), è altrettanto vero che si scopre il bello, ulteriormente, grazie ad un’educazione che passa attraverso una iniziazione dolorosa o estatica che relativizza l’Io rivelando la presenza di una parte psichica che si affaccia come sintomatica, in quanto rivelativa di ciò che a posteriori potremmo indicare come un effetto indesiderato dell’inconscio. Un tipo di dissociazione che in questo caso, ma ovviamente non in tutti, quando si associa al trauma di questa particolare esperienza psichica, non si spiega (soltanto a titolo di esempio) risalendo alle esperienze infantili, siano esse inconsce o manifeste nei ricordi, quanto, diremmo, al manifestarsi sintomatico del numinoso. In clinica, la dissociazione psichica viene sperimentata anche attraverso il corpo e i sintomi, come modificazione dello stato di coscienza e dell’esperienza percettiva colmando, in questo modo, la distanza con l’astrattezza dell’ idea di inconscio che, altrimenti, verrebbe inteso soprattutto come metafora riducendosi a mera ipotesi metapsicologica. Al contrario, in questo caso, l’inconscio si rivela indirettamente (rimanendo in sé un postulato sullo sfondo e come tale inconoscibile) attraverso il sintomo e il corpo, mettendo in crisi l’Io che si trova a dover fare i conti con l’integrazione di tali funzioni psichiche scisse (ad esempio: il pensiero dal linguaggio, l’idea dall’Io, il movimento corporeo dall’intenzionalità). Tale stato modificato e transitorio di coscienza comporta una lotta per la sopravvivenza psichica nei confronti della follia, che si potrà risolvere soltanto nel pieno riconoscimento della natura antinomica della psiche e della sua profonda inconoscibilità. In ultima analisi, si spererà nell’attivazione della cosiddetta funzione trascendente, nel fatto che dopo tanto penare intervenga una funzione psichica che non sia riconducibile all’Io ma che, al tempo stesso, si attivi spontaneamente, appianando la conflittualità e ridimensionando i sintomi (addirittura annullandoli). L’attivazione o la non attivazione di tale funzione determinerà la sanità o la follia dell’individuo interessato. Tanto da poter pensare che durante il percorso terapeutico, arrivati a questo punto e dopo essersi confrontati con l’inconscio analizzando i sogni, ciò che concorrerebbe a fare la differenza potrebbe essere determinato in ultima analisi anche geneticamente. L’Io, da parte sua, cercherà di non soccombere al terrore dell’estraneità dell’inconscio, né pretenderne la sottomissione, ma dovrà riconoscere, relativizzandosi, che la psiche come il corpo, non sono esclusivamente sotto il suo controllo. Al contrario, questi presuppongono una natura già data con la quale confrontarsi. In questo caso, allora, le esperienze di dissociazione al limite della morte o estatiche, riavvicinano nuovamente e pericolosamente l’Io ipertrofico allo smacco rivelativo dell’alterità psichica provocato dall’inconscio. Terrorizzandolo, piegandolo all’esperienza originaria del sacro, restituendolo, però, alla possibilità di una coscienza rinnovata. Vale a dire, alla possibilità di sentire la propria visione del mondo, cioè restituendogli in questo modo la sua capacità di immaginare e fondare il suo mondo interiore ed esteriore (simbolicamente ed esteticamente), e quindi di salvarsi. Una Weltanschauung che, pensando, immaginando e sentendo, conferisce un senso alla propria storia personale e alla propria condizione umana nella scia dell’esperienza del numinoso fatta dall’Io impegnato a sopravvivere. L’esperienza psicopatologica del numinoso, in questo modo, può diventare curativa.


 

Bibliografia

  • American Psychiatric Association 2001 – DSM-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano 2001.
  • Durkheim E. 1912, Le forme elementari della vita religiosa, Comunità, Milano 1971. Eliade M. 1948, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino 1999.
  • Eliade M. 1951, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Edizioni Mediterranee, Roma 2005. Eliade M. 1958, La nascita mistica, Editrice Morcelliana, Brescia 2002.
  • Jaspers K. 1919, Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio, Roma 1950. Jung C.G. 1975, Esperienza e mistero, Editore Boringhieri, Torino 1982. Jung C.G. 1921, Tipi psicologici, Bollati Boringhieri, Torino 1977.
  • Mauss M. 1950, Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965.
  • Otto R. 1917, Il Sacro, Feltrinelli, Milano 2009.
  • Tullio-Altan C. 1983, Antropologia. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano.
  • Van Der Leeuw G. 1933, Fenomenologia della religione, Boringhieri, Torino 1975.

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