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Dialoghi. Una lunga storia in due pagine

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

ricerche teorico cliniche

2021 Nuova Serie Numero 2 Ricerche Teorico Cliniche

A CURA DELLA REDAZIONE Ricerca e terapia costituiscono un binomio inscindibile nel pensiero junghiano, tutto spostato sul momento centrale dell’esperienza. La rubrica ospita note, sintesi, riflessioni e quant’altro delle attività svolte dai gruppi di lavoro presenti all’interno del nostro Istituto.

Dialoghi. Una lunga storia in due pagine

Il gruppo teorico clinico ‘Dialoghi’ nasce molti anni fa, nel 1996, a partire da un ciclo di lezioni per la scuola del CIPA, tenute da Massimo Giannoni sulla Psicologia della traslazione di Jung. Fu quella l’occasione per cominciare a riflettere insieme sulla validità e le caratteristiche della nostra esperienza di psicoterapeuti formati in ambito junghiano, ma anche su alcuni suoi limiti, e sulla possibilità di aprirci agli apporti di altre tradizioni analitiche per affrontare al meglio le difficoltà che la clinica, con i suoi cambiamenti e le sue asperità, ci poneva. Ne nacque un progetto di confronto con la tradizione freudiana e i suoi più recenti sviluppi. Il progetto si è rivelato subito arduo dal punto di vista epistemologico: ci portava spesso verso direzioni divergenti o verso tentativi di tenere insieme, quasi a forza, ambiti teorici incompatibili, con risultati a volte contraddittori dal punto di vista teorico e poco fruibili nella clinica. Abbiamo quindi tentato un metodo più libero, quasi con la disposizione di viaggiatori in terre poco note, rinunciando in un primo tempo al bisogno di operare confronti immediati, attraverso una vera e propria immersione nei testi, e nel confronto-incontro, a volte diretto con inviti e partecipazione a convegni, con quegli autori che parlavano con una voce più consonante alla nostra esperienza di psicoterapeuti junghiani, Allo stesso modo, abbiamo cercato di avvicinarci ad altri ambiti di studio confinanti che potessero arricchire la nostra ricerca, come l’Infant Research, le neuroscienze, ma anche la letteratura, il cinema.

Erano anni di profondo rinnovamento del mondo psicoanalitico. Si stava delineando un movimento vasto e complesso in cui convergevano diverse tradizioni analitiche: alcuni sviluppi della psicoanalisi dei rapporti oggettuali, la psicologia del Sé di Heinz Kohut, gli studi sull’attaccamento, la corrente interpersonalista, gli autori intersoggettivi. Tutti quelli che Mitchell ha definito Gli orientamenti relazionali sono stati allora e sono tuttora il principale oggetto del nostro interesse come gruppo di studio, perché vicini, anche se non sovrapponibili, ad alcuni elementi cardine del nostro modo di intendere e di vivere la psicoterapia junghiana, precisandone e ampliandone i contorni così da renderli più espliciti e decifrabili. La relazione analitica come processo dialettico tra due soggetti, la funzione del sogno e della regolazione affettiva sono solo alcuni dei molti argomenti su cui abbiamo avuto modo di riflettere, con attenzione critica, alla ricerca di punti di contatto. I ponti sono stati gettati, nel corso di un lungo lavoro, forse le divergenze, che pure ci sono, sono meno significative per il progetto del nostro gruppo, il cui interesse primario è finalizzato alla riflessione clinica, usando tutte le aperture possibili che altri ambiti teorici ci possono fornire.

Negli ultimi due anni, in particolare, la nostra ricerca in ambiti non junghiani si è rivolta alle acquisizioni teorico-cliniche proposte dai recenti studi sulla traumatologia e la dissociazione (in connessione con il gruppo di studio congiunto con l’Aipa sull’argomento), partecipando anche al volume collettaneo che ne è derivato (M. Giannoni, M. Corradi). Nei nostri incontri abbiamo affrontato anche altri autori e altri temi: l’Infant Research e le neuroscienze (C. Rogora), gli studi sull’identità di genere (A. Firetto), l’approfondimento del pensiero di autori meno noti come il cognitivista Bruno Bara, o meno frequentati come Rycroft (G. Caputo, S. Cecchini), ma anche puntualizzazioni su autori fondamentali come Winnicott (D. Falone, D. Fois)

Facendo seguito ad approfondimenti dell’anno precedente (una giornata su Shamdasani condotta da D. Falone e G. Caputo, e una sul carteggio Jung-White, da F. Fera e A. Dorella, per citarne un paio) non sono mancate riflessioni legate a temi più strettamente junghiani, come quella proposta dalla da F. Fera sui Seminari del 1930-34 (Visioni), o da M. Giannoni sul transfert analitico in Jung.

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Possiamo dire che il 2019 è stato caratterizzato dal tentativo di elaborare, dopo tanto peregrinare, un confronto puntuale tra i temi che ci sono ormai cari, legati a tradizioni psicoanalitiche non junghiane, e il nostro mondo di provenienza: l’intervento di Giannoni al Convegno che si è tenuto all’Istituto austriaco rappresenta il risultato di questo sforzo, così come il contributo di alcuni membri del gruppo al congresso della IAAP del 2019 (M. Corradi, D. Falone, M. Giannoni, U. Prameshuber)

Il 2020 è stato l’anno del Covid e del confinamento, del gruppo di studio prima interrotto e poi ripreso sulla piattaforma digitale; abbiamo avvertito il bisogno, forse per affermare un tema identitario, di tornare ai nostri primi incontri, alla rilettura, oggi, dopo molti anni, delle Due analisi del signor Z e de La cura psicoanalitica di H. Kohut. Non ci è stato difficile ritrovare ancora una volta nella sua ricchezza clinica, nella sua profondità di scrittura e nell’atteggiamento umanistico ed epistemologico che lo caratterizza, centrato sul tema del comprendere, una profonda risonanza con quello che alla fine abbiamo individuato come l’atteggiamento terapeutico junghiano, che va anche al di là delle convergenze nei contenuti, che pure possono essere sottolineate o messe in discussione. L’atteggiamento clinico e psicoterapeutico di Jung è a ben guardare quello che ci ha guidato finora nella nostra ricerca e ci ha permesso un confronto con la psicoanalisi relazionale. La sua concezione della relazione terapeutica alla cui base colloca il contatto umano, la sua apertura verso la soggettività, il rifiuto dell’ermeneutica ‘del sospetto’, l’interpretazione prospettica, il valore centrale del sogno, di cui dà una lettura ineguagliata in altre teorie, l’assenza di distinzione fra parola e azione in terapia, la critica alla neutralità e astinenza, il profondo coinvolgimento del terapeuta nel rapporto con il paziente, sono solo alcuni dei tratti che, presenti nelle sue descrizioni cliniche, contribuiscono a definirne lo stile terapeutico: ci sembrava fossero poco teorizzati rispetto ad altre parti del suo pensiero, e potessero quindi essere meglio tematizzati e sviluppati all’interno di altre teorie. Tenere insieme il polo dell’esperienza con la riflessione psicologica e l’approfondimento teorico è forse la cifra del gruppo di studio ‘Dialoghi’ che continua nella sua ricerca viaggiando in nuovi territori, per poi tornare sempre all’origine del suo interrogarsi.

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