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Commento a: René Girard “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo”

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

Invito alla Lettura

2016 Numero Extra Invito alla Lettura

A CURA DI FRANCESCO DI NUOVO E ROBERTO MANCIOCCHI La rubrica Invito alla lettura propone indicazioni in merito ai contributi più attuali e significativi della psicoterapia con uno sguardo attento agli attuali sviluppi del pensiero teorico; sarà ovviamente presente una forma di dialogo con la letteratura, la filosofia, le neuroscienze e le arti. La rubrica sarà, a seconda dei numeri, completata da una sezione di recensioni, nella quale alcuni psicoterapeuti commenteranno le più interessanti novità del panorama italiano e internazionale.

Commento a: René Girard “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo”

René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo
Adelphi, Milano 2010

L’ossigeno nostro è la mimesi e tutto ciò che l’accompagna
(Girard, p. 65)

Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo è un testo di circa 550 pagine del 1978, scritto dal francese René Girard. Il titolo proviene dalla citazione di un passo evangelico (Mt 13,35). Il contenuto è proposto sotto forma di ‘metalogo’, secondo il neologismo di Bateson. È un dialogo fra l’autore e altri due conversanti, interessati alla materia. Due psichiatri: Guy Lefort e Michel Oughourlian.

Di che cosa si tratta? Si tratta della individuazione di due meccanismi: il desiderio mimetico e l’ambivalenza nei confronti del capro espiatorio. Si tratta inoltre del Cristianesimo come forma di superamento della ‘inconscietà’ di questi meccanismi. Cioè? Cioè mimesi e meccanismo vittimario sono rappresentati come i due movimenti alla base di ogni istituzione, di ogni religione e di ogni psichismo individuale. Due esigenze che l’autore pone a fondamento di tutto il processo di ‘ominizzazione’. Le chiavi del passaggio all’attività umana, al di là del comportamento dei primati.

I testi evangelici ne recuperano il linguaggio nascosto, ribaltandone gli assunti.

Girard, in forma teorica, ne rivela la continuità.

Presunzione? No, risponde lo studio. Solo la consapevolezza di uno sforzo interpretativo senza precedenti.

Chi è Rene Girard? Quale sistema ermeneutico ha sviluppato e come lo ha applicato? Quale tappa questo libro rappresenta nella elaborazione del pensiero dell’autore? Sono le tre domande alle quali cercheremo di rispondere, all’interno del nostro contributo.

Prima però avverto una urgenza. In genere il commento ad un testo chiude l’analisi. Al contrario, vorrei iniziare dalla fine. Vorrei dire subito che cosa mi è piaciuto e che cosa no, della recente lettura. Credo che un libro impegnativo come questo nasconda un rischio, al quale è utile che il lettore trovi la forma per sottrarsi. Il rischio di essere schiacciati. Ammutoliti, inibiti di fronti alla messa in scena di dati raffinatissimi e vertiginosi. Per evitare il pericolo di annegamento nello tsunami delle argomentazioni, è necessario fare un passo indietro. Sforzarsi di rimanere presente al testo ma allo stesso tempo tentare di digerirlo personalmente. Estrarne i nutrimenti di cui il nostro specifico organismo ha bisogno.

Da che cosa sono stato nutrito, dunque? Quale è il mio personalissimo giudizio? Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo ha tre meriti principali, ai miei occhi. Il primo è l’interdisciplinarietà. Girard dimostra una cultura vastissima e a-settoriale, di stampo rinascimentale. Girard è il Pico della Mirandola dei nostri giorni. Il libro pone a confronto una straordinaria ricchezza di elementi antropologici, storici, letterari, filosofici, psicoanalitici e religiosi. Informazioni mai fine a se stesse, né stereotipate. Il secondo grande merito, dal mio vertice di osservazione, è la rivalorizzazione del fenomeno religioso. Fenomeno inteso come espressione centrale della vita dell’individuo e della società, senza cadere nel fideismo. Girard nella vita si dichiara cattolico. La sua analisi dei testi evangelici, argomento del secondo capitolo del libro in esame, non è però apologetica. È coerente con il discorso interno. Si sviluppa in funzione della tesi che egli sta cercando di dimostrare.

Il terzo merito è la ricerca di un principio unificatore. Lo sforzo di ‘tenere insieme’ ciò che viene detto, intorno ad un nesso di senso, ad un baricentro archetipico, un polo gravitazionale che dia spiegazione e previsione delle orbite che provoca. Una ambizione tipica della cultura scientifica ottocentesca europea.

Difetti? Il difetto è nel momento in cui i tre precedenti meriti da metodo diventano contenuto. Da strumenti diventano icone. Cioè? Il limite è nella assolutizzazione del principio primo, che, con grande enfasi, Girard dichiara di aver disvelato. L’universalità del processo mimetico e del meccanismo vittimario si ingigantiscono fino a diventare egemonia, dispotismo, tirannia del ‘già saputo’. Tutte le strade portano a Roma. Tutti i dati conducono alla rivalità mimetica, viene da pensare. Una reductio ad unum, che è difficile da accettare per chi non vuole rinunciare alla complessità come valore.

Anche quando, con acume, Girard critica il complesso di Edipo di Freud, per la sua onnipresenza, egli in realtà si limita a sostituirlo. Rimpiazzandolo con un altro principio che giudica più ampio, più esplicativo, forse anche più rispettoso dei dati che cerca di ordinare. Ma pur sempre un altro collante, non negoziabile.

Insomma, non ci piace quando la sua tesi da ipotetica diventa ipostatica, inviolabile. Egli rischia di diventare il sacro custode e l’inesausto ripetitore di un dogma.

Detto questo, cominciamo.

Le tre domande erano: Girard; il costrutto ermeneutico da lui fondato, chiamato ‘desiderio mimetico’; il ruolo di questo libro all’interno del processo di pensiero dello studioso francese.

René Girard, dunque. Nasce ad Avignone nel 1923. Sua madre è fervente cattolica. Suo padre è ateo. È il curatore museale prima e il responsabile del Palais des Papes, la sede papale durante l’esilio avignonese, poi. L’uso della cultura umanistica al servizio dello studio del fenomeno religioso, coincidenza fra padre e madre, divengono la costante degli interessi di Renè. Il quale si specializza a Parigi in Storia Medievale.

Nel 1947 si trasferisce in America, dove ottiene una borsa universitaria. In America trascorre tutta la sua vita, come Professore universitario presso tre Atenei. Dal 1950 all’Università dell’Indiana. Dal 1957 alla John Hopkins University, nel Maryland. Qui, nel 1966, organizza una fondamentale conferenza, alla quale partecipano tutti i migliori rappresentanti francesi dello strutturalismo. Roland Barthes, Jacques Lacan, Jacques Derrida. Alla maniera di Freud, dice di ‘aver portato la peste in America’. Infine, dopo alcuni passaggi didattici intermedi, dal 1980 Girard si trasferisce alla Stanford University, vicino a San Francisco, in California.

Proprio a Stanford nel 2015 muore.

In tutti e tre le Università americane Girard è titolare di Cattedre di Letteratura. Questo rappresenta un elemento significativo della sua psicobiografia. Il francese prima di essere uno scienziato sociale è un ‘letterato’. Un teorico che riflette sulle produzioni artistiche, sui manufatti culturali della nostra civiltà, così come suo padre gli aveva insegnato.

Il suo esordio, nel 1961, è con un testo dal titolo Menzogna romantica e verità romanzesca (tit. orig.: Deceit, Desire and the Novel). Tratta le ‘leggi psicologiche’ dei personaggi dei grandi romanzi di Cervantes, Stendhal, Proust e Dostoevskij. È in questo ambito che scopre per la prima volta il ’desiderio mimetico’. Secondo Girard i migliori scrittori sono coloro che attuano l’esplicitazione del meccanismo mimetico, nelle loro trame. È una scoperta, direi una ‘evidenziazione’, straordinaria per semplicità e per estensione. Di che cosa si tratta?

Il desiderio mimetico è un desiderio a tre. Un desiderio triangolare, come quello che lo accomuna alla figura paterna. Io desidero essere te, che desideri quella cosa. Per Girard ogni desiderio è mediato da qualcuno con il quale ci confrontiamo. La conquista dell’oggetto serve ad avvicinarci idealmente alle caratteristiche di quell’individuo-mediatore. Mediatore esterno, quando il tramite è socialmente fuori dalla portata del soggetto. Mediatore interno, quando al contrario il modello è reale e allo stesso livello del soggetto.

Un esempio di mediatore esterno? Don Chiscotte e il consumatore borghese di fronte alla pubblicità, spiega Girard. Entrambi sono affascinati da un ‘stile’ (la vita da cavaliere per l’uno e l’oggetto pubblicitario per l’altro), che un mediatore-esterno ha proposto.

Nel secondo testo, del 1972, Girard scopre il ruolo del meccanismo sacrificale. In particolare scopre la funzione che le religioni hanno nella riduzione della violenza sociale. Violenza causata dal confronto mimetico e ‘sublimata’ attraverso il rito del sacrificio di una vittima innocente. Il libro si intitola La violenza e il sacro (tit. or.: La violence et le sacrè). È probabilmente il suo best seller.

Nel 1978 viene pubblicato in francese il libro di cui stiamo trattando. Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, viene tradotto in inglese solo nel 1987 dalla Stanford University Press. La Casa Editrice della Università californiana che ha rappresentato l’ultima tappa della peregrinazione didattica del professore. Il volume disegna il punto di viraggio nell’uso dello strumentario di Girard, fuori dal campo letterario. Riepiloga il definitivo impegno di ‘sistematizzazione’ del dispositivo ermeneutico da parte del pensatore d’oltralpe. Il collaudo prima del varo di un reattivo interpretativo che l’autore utilizzerà, attraverso la sua enciclopedica erudizione, in altri trenta successivi libri. Testi che si sono interessati ad argomenti letterari, antropologici, politici, religiosi e sociali. Per ultimo, prima della morte nel 2015, anche il rapporto della nostra civiltà con l’Islamismo.

Di che cosa tratta il libro in esame?

Di tre argomenti, suddivisi ordinatamente in tre capitoli. Antropologia, Cristianesimo, Psicologia.

Il primo capitolo inizia con una citazione di Aristotele: «L’uomo si differenzia dagli altri animali in quanto è il più adatto all’imitazione» (Girard 2010, p. 15,). La tesi di fondo è in accordo con l’exergo del filosofo greco e si pone in continuità con quella del precedente libro, La violenza e il sacro. La dimensione acquisitiva degli uomini, cioè i loro comportamenti di appropriazione, sono fonte di crescita ma comportano un alto rischio sociale: il conflitto. Il processo di ominizzazione si è sviluppato attraverso l’ideazione di strutture in grado di attenuare o risolvere questo rischio.

Quali sono queste strutture? I sistemi religiosi, innanzittutto. E come si esprimono i sistemi religiosi? Con i divieti e con i riti. «Le società primitive reprimono il conflitto mimetico vietando tutto ciò che può suscitarlo» (ivi, p. 33). Al contrario i riti permettono ciò che i divieti proibiscono. Al ‘cuore’ dei riti religiosi, dice l’autore, c’è la «violenza mimetica» (ivi, p. 29). Di che cosa si tratta? Che cos’è la «violenza mimetica»? Quale è la sua relazione con il rito? E soprattutto, in che modo il rito favorisce il processo di ominizzazione?

Prima di rispondere, una premessa. Esistono, a mio avviso, due forme di indagine ‘scientifica’ del fenomeno religioso. Una che chiamerei il ‘sapere-fuori’ e una seconda che chiamerei il ‘sapere-dentro’. Girard appartiene a quest’ultima forma. Che cos’è il sapere-dentro, relativo all’indagine del religioso? Lo dice l’autore: «Nessuna scienza, nessun pensiero è capace di inventare i riti di sana pianta, di pervenire spontaneamente a sistemi così costanti dietro le loro differenze apparenti, come lo sono i sistemi religiosi dell’umanità. Per risolvere il problema bisogna, evidentemente, non eliminare nulla delle istituzioni che cerchiamo di capire» (ivi, p. 40).

Insomma la prima forma di sapere è esaustiva e liquidativa del suo oggetto di indagine. La seconda è rispettosa del mistero che l’oggetto d’indagine, cioè il fenomeno religioso, nonostante tutto conserva. È la via che più mi rappresenta.

Ci chiedevamo dunque il rapporto fra rito, mimesi e sacrificio. La tesi dello studioso franco-americano è che ogni rito consiste nella risoluzione della «crisi mimetica», attraverso il sacrificio di una vittima espiatoria. Una vittima, esterna al gruppo e innocente, in grado di riconciliare la comunità. L’antagonismo causato dai processi mimetici si può risolvere solo facendo convergere su un terzo, il sacrificato, le pulsioni aggressive. Ecco dove risiede la funzione insostituibile di ogni istituzione rituale, che nessuna ‘spiegazione’ potrà mai estinguere.

Oltre ai sistemi religiosi, quali sono le altre strutture antropologiche in cui il processo mimetico e il meccanismo vittimario si rivelano?

Girard cerca di dimostrare la fondamentale presenza del meccanismo mimetico e di quello vittimario in quasi tutte le istituzioni. La regalità sacra, la domesticazione animale e la caccia rituale, l’arte funeraria, il gioco d’azzardo, il linciaggio fondatore, la shoa e tutte le persecuzioni moderne contro le minoranze acquisterebbero senso proprio alla luce del meccanismo di ‘riconciliazione vittimaria’. Anticipando il mio giudizio sull’opera, all’inizio parlavo di un eccesso di estensione della tesi. Di egemonia del ‘già saputo’. Proprio qui, in questi paragrafi, mi sembra che tali ipertrofie si evidenzino.

Una supponenza culturale? Non so. Comunque la parte del testo che ho apprezzato di meno.

Il secondo capitolo, dicevamo, è dedicato alla novità radicale introdotta dal Cristianesimo. Con i quattro Vangeli i processi mimetico e vittimario vengono rivelati, e finalmente superati. Attraverso un confronto, puntuale e avvincente, dei testi vetero- e neo-testamentari, con i miti delle altre religioni, Girard dimostra il significato di rottura dell’evento gesuanico. La morte in croce e la resurrezione del Figlio di Dio chiariscono ciò che era stato solo adombrato nelle precedenti istituzioni religiose. Giudaismo compreso.

«Credo che sia possibile mostrare che soltanto i testi evangelici portano a compimento quello che l’Antico Testamento lascia incompiuto» (ivi, p. 210), sentenzia il cattolico Girard.

Esistono due forme di lettura della Passione e Resurrezione. La lettura sacrificale insiste sull’apparentamento della uccisione della Vittima-Gesù, per la salvezza dell’umanità, al pari di tutti i riti del pianeta. La lettura non sacrificale, all’interno della quale Girard si annovera, rovescia le responsabilità. Nei precedenti riti mimetici e vittimari, il transfert sacralizzante era garantito dalla accondiscendenza della vittima ad ereditare tutta la violenza. Aggressività dalla quale la comunità rimaneva esonerata, anzi emendata. Nella vicenda evangelica, al contrario, Gesù non assume su di sé la violenza collettiva ma la rigetta sulla testa dei veri colpevoli. Impedisce al meccanismo fondatore di funzionare inconsapevolemente, ripetitivamente, ubiquitariamente. Lo interrompe.

La vittima si dichiara tale ma non rinuncia al sacrificio. Per questo motivo vince i suoi aguzzini. «La sua morte non ha altra causa che l’amore del prossimo vissuto fino in fondo nella comprensione infinita delle sue esigenze» (ivi, p. 270).

I valori si invertono. Al ritualismo farisaico Gesù oppone una frase antisacrificale di Osea: «Andate dunque e imparate il significato di questa parola: Misericordia io voglio e non sacrificio» (Matt. 9,13). «È un accantonamento del culto sacrificale e al tempo stesso una rivelazione della sua funzione, ormai compiuta» – spiega il teologo francese (p. 235).

La dimensione trasferale salvifica si sposta dall’applicazione al riconoscimento e poi al superamento del meccanismo vittimale. Si trasloca dal regno degli uomini al Regno di Dio. Dove «il Regno di Dio è l’eliminazione totale e definitiva di qualsiasi vendetta e di ogni rappresaglia nei rapporti fra gli uomini» (ivi, p. 254).

Il terzo ed ultimo capitolo tratta del rapporto fra i meccanismi mimetico-sacrificali e la ‘mitologia psicoanalitica’. Un argomento che sarebbe per noi decisivo, se l’autore non facesse riferimento a modelli teorici prevalentemente di stampo vetero-freudiano. Un limite forse legato alla vetustà.

Domanda finale. Perché tutto questo? Quale è l’utilità pratica di una tale, complessa, operazione di decriptaggio? L’autore risponde: la pacificazione. Conoscere e vivere consapevolmente i meccanismi mimetici e vittimari ha lo scopo di pervenire ad uno stato di non belligeranza, individuale e sociale. L’evitamento della guerra atomica è il vero obiettivo della nostra specie, oggi.

«La comprensione sempre più profonda che abbiamo dei sistemi culturali e dei meccanismi che ci generano non è gratuita. Ormai non si tratta più di propendere educatamente ma in modo distratto per un ‘vago ideale di non violenza’. Non si tratta di moltiplicare i pii desideri e le formule ipocrite. Ormai si tratterà sempre più di una necessità implacabile. La rinuncia alla violenza, definitiva e senza riserve, si imporrà a noi come conditio sine qua non di sopravvivenza per l’umanità stessa e per ciascuno di noi’ (ivi, p. 185).

Una sensibilità che ci appartiene.


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