Now Reading
Archetipo, paradigma olografico, mondo manifesto e non-manifesto

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

incontri al CIPA

2018 Nuova Serie Numero 0 Incontri al CIPA

A CURA DELLA REDAZIONE La rubrica intende attingere ai vari momenti di confronto, di riflessione e di ricerca che hanno avuto luogo nel nostro Istituto. La possibilità di ritornarvi, dunque, grazie alla pagina scritta e di farsi traccia e testimonianza, nel tempo, di percorsi e dei fermenti della nostra Associazione.

Archetipo, paradigma olografico, mondo manifesto e non-manifesto

Jung pensatore romantico, idealista, dissonante e alternativo[1]

Jung, pur proclamandosi un irriducibile empirista, e andando alla ricerca delle leggi generali del funzionamento della psiche, non è tuttavia insensibile alle ‘anomalie’ che la ragione scientifica non può comprendere, perché non sono ripetibili sperimentalmente quali i fenomeni di medianità della cugina, a cui ha dato ampio seguito nella tesi di laurea. Freud appare più coerente perché dichiaratamente allineato col positivismo, lo scientismo e il metodo scientifico-sperimentale che allora, come ora, costituiscono la base della Weltanschauung comune. Per Ellenberger (1970) entrambi i loro sistemi teorici sono tardi prodotti del romanticismo, però mentre la psicoanalisi accoglie in sé anche il positivismo, lo scientismo e il darwinismo, la psicologia analitica rifiuta l’eredità del razionalismo e ritorna alle fonti originarie della psichiatria romantica, della filosofia della natura e dell’esoterismo, quest’ultimo in particolare, che alla fine dell’Ottocento andava rinnovando la sua influenza in antitesi al paradigma della ragione illuminista e positivista. Horkeimer e Adorno chiamano ‘dialettica dell’illuminismo’ (1947) il bisogno della ragione illuminista di assoggettare la natura e sottomettere tutto il reale, creando contemporaneamente delle zone d’ombra in cui nega se stessa e trasforma il progresso in regresso, lasciando adito alle opposizioni all’ordine della razionalità: l’oscurantismo, la superstizione, il fanatismo, il totalitarismo, fino a forme paradossali di fideismo.

Il positivismo espelle l’anima dalla psicologia, il vitalismo dalla biologia e il finalismo dall’evoluzione, e con lo scientismo intende spiegare e soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo tramite la scienza e la tecnica, ma finisce col promuovere altre metafisiche, di cui oggi non si fa più nemmeno menzione – ad esempio il monismo filosofico di Haeckel, che ha influenzato profondamente sia Freud che Jung – e un irrazionalismo reattivo, con l’esplodere della passione dell’occulto, dalla seconda metà dell’Ottocento fino a oggi. Questo è il clima culturale in cui si muove Jung, che al contrario di Freud cerca una composizione dialettica della contraddizioni attraverso il ricorso ad altri sistemi di pensiero, antitetici rispetto al razionalismo illuminista-positivista. E infatti le esigenze del metodo scientifico- sperimentale, cui comunque deve sottostare quando lavora al Burgölzli sotto la direzione di Bleuler dedicandosi agli esperimenti sull’associazione verbale, non gli fanno dimenticare la simpatia per l’irrazionale che gli viene dalla filosofia romantica e dall’esoterismo. La sua formazione è alquanto eterogenea: personalità curiosa, eclettica, non convenzionale, rifiuta di identificarsi col credo scientifico-positivista e spazia, nei suoi riferimenti, dalla psicologia alla filosofia, alla letteratura, allo studio comparato delle religioni, fino al misticismo e all’occultismo. Per questo non rinuncia all’idea romantica che l’anima sia qualcosa di irriducibile al determinismo del corpo, e non può ammettere che tutto quel complesso mondo che egli chiama ‘spirituale’ non sia che un epifenomeno degli accadimenti somatici e l’esito della trasformazione e sia pure della sublimazione di bisogni corporei; per lui invece gli si deve riconoscere comunque un’esistenza autonoma, nel mondo dell’attività creativa, della religione, del misticismo, del folklore. La precisione della mentalità scientifico-analitica lascia spazio nella sua ricerca al gioco allusivo e insaturo di una realtà inafferrabile e misteriosa. Per questo Jung autonomizza la ‘realtà dell’anima’ dal mondo fisico da una parte e dal mondo spirituale dall’altra, individuandola come l’oggetto di studio della psicologia, e non lascia che essa sia riassorbita epistemologicamente e ontologicamente dal soma, ma anzi tiene ferme le idee romantiche di un’anima distinta dal corpo e di uno spirito opposto alla materia, fino a dilatare lo psichico-spirituale a principio organizzatore del somatico-fisico, sia sul piano dell’individuo – l’entelechia, il processo di individuazione – che del cosmo – l’Anima Mundi reggitrice del mondo materiale. Di conseguenza non aderisce al fisicalismo e ragiona in termini dualistici, proclamando assiduamente le ragioni dell’anima e dello spirito in opposizione a quelle del corpo e della materia; però non si lascia abbacinare dalla passione per l’occulto, e tratta le manifestazioni spiritiche suscitate dalla cugina medium e i fenomeni non spiegabili dalla scienza (UFO, ESP, ecc.) alla stregua di contenuti psichici dell’inconscio proiettati e resi autonomi, al punto da assumere una personalità distinta, ma sulla cui reale esistenza bisogna sospendere il giudizio, mantenendoli nello status appunto di ‘realtà dell’anima’ (1920/1948, 1931).

La molteplicità psichica tra indagine scientifica e visione tradizionale

Tra le Scilla e Cariddi epistemologiche delle opposte fonti del pensiero di Jung, questi appare a tratti rivolgersi su se stesso e perdersi in aporie irresolubili. Non a caso egli pone al centro del processo di individuazione il simbolismo alchemico della complexio oppositorum. È fermamente convinto della dissociabilità della psiche, e del fatto che i frammenti di psiche parziali in cui essa si scinde hanno ciascuno un proprio accesso alla coscienza, intaccando l’idea di una unitarietà della coscienza stessa e della personalità, sostenendo anzi che la psiche è di per sé non un’unità indivisibile, bensì un tutto divisibile e più o meno diviso (1920/1948), e che le parti della psiche – complessi, archetipi – sono in ultima analisi delle vere e proprie personalità parziali, aventi un accesso autonomo alla coscienza, e delle quali anzi resta impregiudicato se siano o meno capaci di coscienza (1934b). Ma alla tendenza alla differenziazione oppone la tendenza all’integrazione, che realizza il divenire in progressione del nucleo della personalità, il Selbst, per il quale riprende dal biologo Driesch il termine entelechia, inteso come intrinseca tendenza alla realizzazione di un fine (télos): il finalismo bandito dalla scienza ufficiale si ritrova nelle serie di sogni che accompagnano il processo di individuazione (1934a). Infine, inserisce la concezione plurale della psiche nell’ampio contesto del simbolismo alchemico, applicando agli archetipi l’immagine ripresa dall’alchimista Khuranth delle scintille dell’anima universale che è identica allo spirito di Dio e l’idea dell’alchimista Dorn che queste scintille dell’Anima Mundi siano il lumen naturae che illumina la coscienza e risplende nelle tenebre dell’inconscio, funzionando da principi regolatori e organizzatori della psiche (1947/1954). La concezione di personalità parziali dotate di coscienza riprende una credenza degli alchimisti, quella di un cosmo vivo e animato, in cui vi è una transizione evolutiva, senza soluzione di continuità, tra mondo inanimato e vita organica, tra i minerali, le piante, gli animali e infine l’uomo; che è espressione più ultima e più completa del dispositivo della creazione, perché fatto a immagine di Dio e perché ricapitola nella sua essenza tutto l’ordine macrocosmico.

Attraverso un suo illustre paziente, il fisico Wolfgang Pauli, insignito del premo Nobel per il principio di esclusione, Jung si accosta alla meccanica quantistica, cogliendo delle sorprendenti analogie con la psicologia analitica: il principio di indeterminazione di Heisenberg, che vale su scala macroscopica a definire l’ineliminabile influenza del soggetto osservante sull’oggetto osservato (1947/1954) [2]; l’esistenza di un ulteriore principio esplicativo accanto al determinismo di causa-effetto e al finalismo, il principio di sincronicità, in base al quale vi sono delle ‘coincidenze di significato’ tra eventi non altrimenti collegati (eventi ‘non- locali’ o entangled [vedi infra], direbbe la fisica) (Jung, 1951).

L’unus mundus

 A questo punto l’archetipo diviene non solo il punto di incontro tra istinto e simbolo, oggi diremmo tra circuiti regolatori mesencefalici e funzioni cognitive superiori, ma anche un anello di congiunzione tra l’essere umano e la totalità cosmica in cui è inserito. Proprio perché radicato così profondamente nella vita istintiva ‘selvaggia’ e quindi affrancato dai condizionamenti e dalle stereotipie della coscienza, l’archetipo mette il soggetto in connessione con un piano sottostante di realtà, un piano dove mente e materia si intrecciano. Non per nulla l’archetipo è istinto e simbolo, materia e spirito, psiche e processo psicoide. Il processo psicoide è un concetto che si comprende attraverso la metafora della coscienza come spettro della luce visibile: al di sopra e al di sotto di essa – che rappresenta lo psichico – stanno i processi psicoidi, che come i raggi infrarossi e ultravioletti non sono accessibili ai sensi ordinari e sono assimilabili ‘sotto’ ai processi somatici e ‘sopra’ agli accadimenti spirituali. Il processo psicoide si colloca oltre la materia e la mente, ma le contiene entrambe: esso quindi fornisce una spiegazione al problema dell’interazione mente-materia. L’ipotesi di Jung è che esiste un luogo in cui mondo interno e mondo esterno, psiche e materia si uniscono in una unità indifferenziata, che è anche il mondo potenziale dei primordi, inteso come sorgente originaria e riferimento della sua personalità e delle sue vicissitudini nel passato, nel presente e nel futuro. L’unus mundus è:

… il mondo potenziale del primo giorno della creazione, quando nulla era ancora in actu, vale a dire nel Due e nella pluralità, ma era ancora Uno. L’unità dell’uomo, realizzata mediante un procedimento magico, significava per Dorneus la possibilità di effettuare l’unione con il mondo, non però con il mondo della molteplicità che noi vediamo, ma con un ‘mondo potenziale’, che corrisponde all’eterno fondamento di ogni esistenza empirica, allo stesso modo in cui il Sé è il fondamento e l’origine della personalità e comprende quest’ultima nel passato, nel presente e nel futuro (1955/1956, p. 533).

La più accreditata teoria sulla nascita dell’universo, quella del Big Bang, afferma qualcosa di simile, seppure in un più rigoroso linguaggio fisico-matematico, ovvero che il cosmo sia nato quindici miliardi di anni fa dall’esplosione e dalla successiva espansione di un punto singolare delle dimensioni di un atomo. L’evoluzione parte da condizioni estreme, in cui la massa era concentrata in un punto, la temperatura caratterizzata da un valore infinito, le quattro forze fondamentali unificate in una sola e il tempo contratto lungo una scala infinitesima, il tempo di Planck (10-43). Non a caso le procedure dell’opus alchemico ripercorrono le fasi della creazione, e mirano a riportare il lapis martoriato nell’athanor alle potenzialità dei primordi, per poi sottoporlo a quelle trasmutazioni che la condurranno alla perfezione dell’oro. Il fine precipuo del vero alchimista, che si distingue dai volgari ‘soffiatori’, è infatti il raggiungimento dell’elixir, che risana le ‘lebbre’ non solo dei metalli ma di tutte le forme viventi, poiché considera anche i minerali degli organismi. L’opus a sua volta richiede il perfezionamento dell’operatore, per via della corrispondenza biunivoca (sincronica?) tra il suo stato interno e quella della prima materia; tanto che solo chi possiede l’oro (interiore) può produrre l’oro (materiale). Secondo Monti (1988), alcune reazioni chimiche ordinarie sarebbero in grado di produrre in laboratorio sia la fusione fredda che la fissione fredda, realizzando qualcosa di comparabile alla trasmutazione alchemica da elementi leggeri in pesanti e viceversa.

Il paradigma olografico

L’impostazione dottrinale di Jung, di apertura alle ‘anomalie’ che non sono spiegate dal paradigma scientifico, in quanto non sono ripetibili in laboratorio, è stata successivamente condivisa da altri ricercatori aventi una posizione critica verso la scienza ufficiale. Anche la fisica classica adotta delle teorie sull’origine del cosmo che sono puramente speculative, poiché tutto quello che può essere descritto dalla fisica – attraverso lo studio della radiazione cosmica e degli acceleratori di particelle elementari – è valido solo per eventi che si collocano dopo i 10-6 secondi dal Big Bang, mentre prima, dai 10-43 ai 10-6 secondi, si possono fare solo delle ipotesi. Anche per queste ragioni alcuni ricercatori si sono rivolti dalla descrizione scientifica della realtà a una visione olistica, sistemica, ecologica che coniuga la fisica con l’esperienza mistico-religiosa, ad esempio il fisico Fritjof Capra, (1975). Un fisico quantistico, David Bohm, ha costruito una teoria del tutto intorno al concetto di ologramma, che sviluppa dinamicamente nel paradigma olografico, o olomovimento o oloflusso. Un ologramma è dato dalle onde di interferenza che si formano in seguito all’incontro su una lastra o pellicola sensibile dei due rami di luce coerente di un laser separati da un beamsplitter, di cui uno illumina l’oggetto da riprodurre, mentre l’altro viene espanso da un beam expander e va a illuminare uniformemente la lastra. Sfruttando il fenomeno dell’interferenza ottica è possibile ottenere un pattern detto di interferenza che contiene tutte le informazioni (intensità e fase) della luce proveniente dall’oggetto. Il risultato dell’incontro sono appunto delle onde che quando vengono intercettate da un terzo raggio laser restituiscono un’immagine tridimensionale dell’oggetto, che però è un’immagine virtuale; essa ha una proprietà per cui, per quanto venga frammentata, riproduce sempre l’oggetto nella sua intierezza (seppur perdendo nitidezza). Per Bohm (1980) le linee delle onde di interferenza e la ricostruzione dell’immagine tridimensionale attraverso un terzo raggio laser costituiscono due differenti livelli di manifestazione della realtà, che egli indaga a partire dal livello subatomico, conducendo degli esperimenti sul plasma, che è un gas contenente un’alta densità di elettroni e di ioni positivi. Una volta inseriti nel plasma gli elettroni cessano di comportarsi come elettroni e interagiscono come se siano parte di un insieme più grande e interconnesso, e i loro movimenti apparentemente casuali producono effetti globali di tipo altamente organizzato: ad esempio il plasma si rigenera continuamente e racchiude tutte le impurità in una parete come fa un organismo vivente quando incista un corpo estraneo. Analogamente si comportano gli elettroni di materiali chiamati superconduttori – che a temperature prossime allo zero assoluto perdono la loro resistività – agendo come una condensa di Bose, ovvero si affollano nello stesso stato e si muovono come una unità, assumendo una distribuzione probabilistica al pari di un quantum[3].

Una realtà aggrovigliata (entangled)

Le proprietà non locali, ovvero di distribuzione probabilistica dei quanti, sono alla base del paradosso di Einstein, Podolsky e Rosen, che gli autori hanno ideato come esperimento mentale per evidenziare le contraddizioni del sistema della fisica quantistica di Bohr, in particolare della teoria secondo la quale le proprietà di una particella subatomica sono relative ad un sistema di osservazione, e non esistono finché non vengono osservate, estensione del principio di indeterminazione di Heisenberg. Quando si creano due particelle gemelle, ad esempio due fotoni dalla disintegrazione di un atomo di positronio (atomo altamente instabile composto da un elettrone e da un positrone) essi, pur viaggiando in direzioni opposte e indipendentemente dalla distanza a cui vengono a trovarsi hanno sempre angolazioni di polarizzazioni identiche (ovvero orientamenti spaziali dell’aspetto onda del fotone). Ciò equivale a contraddire la teoria della relatività, perché per avere un comportamento coerente i due fotoni dovrebbero scambiarsi informazioni, ma se ciò fosse queste dovrebbero muoversi a un velocità superiore a quella della luce a cui viaggiano i fotoni. Einstein, Podolsky e Rosen non hanno potuto mettere in pratica il loro esperimento; ma il fisico irlandese Bell ne ha dimostrato matematicamente l’applicabilità nel 1964, ed esso infine è stato realizzato nel 1982 dal fisico francese Aspect. Questi col suo team ha scoperto che, sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche come gli elettroni, esse sono capaci di comunicare istantaneamente una con l’altra indipendentemente dalla distanza che le separa, sia che si tratti di 10 metri o di 10 miliardi di chilometri, come se ogni singola particella sapesse esattamente cosa stiano facendo tutte le altre. L’esperimento di Aspect prova che tra le particelle subatomiche esiste un legame di tipo non-locale, chiamato entanglement.

L’’effetto Aharonov-Bohm’ (dal nome di un fisico israeliano) è il fatto che in certe circostanze gli elettroni sono in grado di sentire l’esistenza di un campo magnetico anche se si trovano in regioni dello spazio dove la sua intensità è zero; come se la distanza tra essi e il campo si fosse annullata, realizzando una condizione di entanglement. Coerentemente Bohm ha riformulato l’idea di ‘onda pilota’ del fisico francese De Broglie, intesa come meccanismo di informazione attiva in grado di guidare in continuazione lo stato quantistico delle particelle, ipotizzando un nuovo tipo di campo che opera al livello della descrizione quantistica della realtà ed è in grado di pervadere tutto lo spazio e di influenzare tutti gli oggetti quantistici. Il campo creato dal potenziale quantico ha valore puramente informazionale ed è perciò definito campo di forma, e diversamente dal campo elettromagnetico è indipendente dalla distanza e dall’intensità. A questo livello le particelle non sono più entità individuali ma hanno una estensione non locale. Secondo il fisico greco Nanopoulos, a livello subquantistico lo strato più profondo che governerebbe l’universo sul piano di una totale non-località sarebbe la ‘schiuma quantistica’ o il vuoto quantistico, dove sussiste la base di tutto l’esistente (Teodorani 2007b).

Ordine implicato e ordine esplicato

L’interpretazione che offre Bohm dell’entanglement tra i due fotoni, o del comportamento coerente degli elettroni del plasma, è un’estensione della distribuzione probabilistica che le particelle subatomiche assumono nel loro aspetto d’onda. In tal caso esse non hanno una localizzazione definita nello spazio, ma la distribuzione di un insieme celato attraverso l’intero spazio stesso. Quando uno strumento percepisce la particella, è semplicemente perché un aspetto dell’insieme della particella si è rivelato. Ma le particelle-onde sono sostenute da un influsso costante di quello che Bohm chiama ordine implicato, e che fa sì che il loro comportamento sia un continuo celarsi e svelarsi, in modo che esse non vanno mai perdute, anche quando sembrano essere distrutte. L’ordine implicato è la trama nascosta che sostiene l’ordine esplicato, ovvero la struttura manifesta della realtà apparente. Il motivo per cui le particelle subatomiche restano in contatto indipendentemente dalla distanza che le separa risiede nel fatto che la loro separazione è propria di uno stato, rappresentato nell’ordine esplicato, mentre si mantengono unite nell’ordine implicato. A livello dell’ordine implicato, però, non esistono particelle separate come entità individuali, poiché in realtà tutte quante sono estensioni di uno stesso ‘organismo’ fondamentale. L’universo come lo percepiamo, quindi, non solo ha una natura illusoria, ma anche altre caratteristiche stupefacenti: se la separazione tra le particelle subatomiche è solo apparente, ciò significa che, ad un livello più profondo, tutte le cose sono infinitamente collegate e reciprocamente compenetrate, non essendo tutta la natura altro che una immensa rete ininterrotta. Questo modo di vedere ribalta completamente certi assunti basilari del nostro modo di pensare. Ad esempio, noi diamo per scontato che sia il cervello che crea l’attività mentale, compresa la coscienza. Nel paradigma olografico invece la mente non è necessariamente nel cervello – può essere anche nel campo energetico che circonda e accompagna l’essere umano, e gli esseri viventi in generale – ed è essa che crea il cervello e ne determina l’attività.

La rappresentazione della realtà sta all’ologramma come l’ordine esplicato sta all’ordine implicato. Nell’ordine implicato è contenuto il modello o lo stampo della realtà sensibile sotto forma di onde, frequenze, vibrazioni. Esso passa ad un altro stato di esistenza, l’ordine esplicato, o il mondo manifesto, attraverso l’interazione con la coscienza osservante. Così si costituisce la realtà materiale percettibile del nostro mondo. Ma al di sotto di essa, come la tessitura di un tappeto che sta nella faccia nascosta, vi è un altro disegno, dato dalle frequenze, più che dalle immagini, l’ordine implicato che sostiene l’ordine esplicato.

Il cervello come analizzatore di frequenze

 Al paradigma olografico di Bohm è mancata la rappresentazione attraverso un formalismo matematico, compito che ha lasciato a Basil Hiley (Teodorani, 2006). Esso è stato ripreso da un neurologo, Karl Pibram (2013), per spiegare l’enorme quantità di informazione contenuta nella memoria. Egli sostiene che il sistema nervoso funziona come un ologramma, in quanto l’impulso nervoso non si diffonde solo lungo la via principale rappresentata dall’assone, ma anche lungo le ramificazioni secondarie che si diramano dal corpo cellulare col nome di dendriti. L’irradiazione lungo i dendriti in un tessuto come quello nervoso dove le cellule sono molto addensate crea dei fenomeni di interferenza delle onde elettromagnetiche associate alla propagazione degli impulsi. La connettività dei neuroni cerebrali determina una rete caleidoscopica di schemi di interferenza che conferisce all’attività cerebrale le proprietà di un ologramma. Le infinite angolazioni che queste correnti possano assumere nelle sinapsi spiega la grandissima quantità di informazione contenuta nel cervello, poiché la semplice variazione della direzione di due impulsi elettrici modifica completamente il set di informazioni che essi veicolano.

Si indica come trasformazione di Fourier un procedimento inventato dal matematico che porta questo nome per scrivere una funzione dipendente dal tempo nel dominio delle frequenze: essa decompone la funzione nella base delle funzioni esponenziali con un prodotto scalare, e la rappresentazione viene chiamata spettro della funzione. La trasformata di Fourier è invertibile: a partire dalla trasformata di una funzione si può risalire alla funzione tramite il teorema di inversione di Fourier. Grazie alla trasformata di Fourier è possibile individuare un criterio per compiere un campionamento in grado di digitalizzare un segnale senza ridurne il contenuto informativo: ciò è alla base dell’intera teoria dell’informazione che si avvale, inoltre, della trasformazione di Fourier (in particolare della sua variante discreta) per l’elaborazione di segnali numerici.

È stato dimostrato che l’apparato visivo funziona come un analizzatore di frequenze, e così l’apparato uditivo. Negli anni Sessanta del secolo scorso si è visto che ogni neurone della corteccia visiva risponde a un diverso schema del segnale in arrivo (ad esempio, alcuni alle righe orizzontali, altri a quelle verticali), e quindi è rivelatore delle caratteristiche del segnale. Anche i movimenti vengono scomposti nelle trasformate delle loro sequenze, e poi possono essere ricomposti nell’intero. Il cervello quindi funziona come un analizzatore di frequenze, e la struttura che esso forma al suo interno della realtà esterna è quella di un ologramma. I segnali provenienti dall’apparato percettivo vengono trasformati una prima volta in frequenze, che poi possono essere ri-trasformate in rappresentazioni della realtà.

Metzinger (2009) chiama ‘tunnel dell’Io’ il modello percettivo globale costruito dalla coscienza, che funziona come un simulatore di volo che costruisce per un pilota una realtà virtuale tridimensionale, con la differenza che le rappresentazioni del mondo e del Sé costituiscono la realtà vera, l’esperienza del soggetto, la sua descrizione fenomenica di un mondo che, nella sua realtà ultima, è inafferrabile e inconoscibile, come il noumeno kantiano. Nel paradigma olografico, la concretezza del mondo non è altro che una realtà secondaria e ciò che esiste non è altro che un turbine olografico di frequenze, che come tali sono analizzate dai nostri sensi e che successivamente il cervello trasforma in rappresentazioni (Talbot 1980).

Livelli di realtà e descrizioni della realtà

Come sostenuto dalle religioni e dalle filosofie orientali, il mondo materiale è una illusione. Noi stessi pensiamo di essere entità fisiche che si muovono in un mondo fisico, ma tutto questo è pura illusione. In realtà siamo una sorta di ‘ricevitori’ che galleggiano in un caleidoscopico mare di frequenze e ciò che ne estraiamo lo trasformiamo magicamente in realtà fisica: uno dei miliardi di ‘mondi’ esistenti nel super-ologramma. La realtà quale noi la costruiamo attraverso le categorie del tempo e dello spazio è pertinente all’ordine esplicato, ma non all’ordine implicato, ed è opera di una costruzione soggettiva da parte dell’apparato percettivo e dei meccanismi inconsci dell’Io. Per questo i mistici che accedono direttamente al livello essenziale della realtà hanno l’esperienza di luci, suoni, visioni colorate, che si riferiscono alla natura ondulatoria, e non corpuscolare, della materia. In un universo olografico tutto è infinitamente interconnesso e le menti individuali sono porzioni indivisibili di un ologramma. Se la mente è effettivamente parte di un continuum ovvero di un labirinto collegato non solo ad ogni altra mente esistente o esistita, ma anche ad ogni atomo, organismo o zona nella vastità dello spazio, il fatto che essa sia capace di fare delle incursioni in questo labirinto e di farci sperimentare delle esperienze che travalicano il qui-e-ora sarebbe spiegabile come un ‘salto’ dello stato di coscienza, e gli stati alterati di coscienza potrebbero essere il passaggio ad altro livello olografico. Qui si verificano una serie di concordanze e connessioni altrimenti inspiegabili, che sono alla radice degli ESP, dei fenomeni paranormali, dei viaggi nel tempo (premonizioni, psicometria) e nello spazio (bilocazioni, eventi sincronici). Passando ad un altro livello di realtà cambia la descrizione del mondo, come avviene nelle NDE (Near Death Experience) e nelle OOBE (Out of Body Experience).

Il mondo sottile delle esperienze mistico-religiose e degli stati alterati di coscienza

 Nelle Upanishad si dice tat tvam asi, ‘tu sei quello (il Brahaman)’ (Chandogya Upanishad); aham brahamasmi, ‘io sono Brahaman’ (Brihad aranyaka Upanishad) e ayam atma brahama, ‘Atman e Brahaman sono lo stesso’ (Mandukya Upanishad) a indicare l’unità di Io e Dio, di Sé individuale e Sé universale e di soggetto conoscente e universo conosciuto. Sempre nelle Upanishad si trova la distinzione tra il mondo manifesto e il non-manifesto, che da esso è sotteso ma di cui è la causa formale ed efficiente. La Natura è illusione (maya) e Brahaman è il creatore dell’illusione (Svetasvatara Upanishad). Tuttavia le Upanishad non adottano come il pensiero occidentale uno stretto dualismo spirito-materia, ma ammettono diverse gradazioni da uno stato sottile a uno grossolano. Nella sostanza grossolana del corpo dimora una sostanza più sottile, il Sé, all’interno del cuore, da dove esso dirige i processi intelligenti, coscienti, autoorganizzanti dell’organismo, tanto che si può dire con la Aitareya Upanishad: «Tutte queste creature ricevono la propria realtà dalla consapevolezza e sono mosse dalla coscienza. La consapevolezza è l’occhio e il fine dell’universo, la consapevolezza è il Brahaman» (Devi, 2012, p. 13).

Nel sufismo iraniano il tema dell’ascesa attraverso i molteplici livelli dell’essere è espresso dal simbolismo della ricerca dell’oriente che non è però un oriente geografico, poiché non è compreso in alcuno dei sette climi (keshvar) della terra, rappresentando l’ottavo clima. L’ascesa attraverso questi climi è scandita da una geografia visionaria, e comporta il perfezionamento, all’interno del miste, di una nuova struttura, di natura sottile: il corpo di luce. Si sviluppano cioè dei veri e propri ‘organi di appercezione visionaria’ o ‘sensi sottili del soprasensibile’ (latifa). Il pellegrino mistico diventa ‘uomo di luce’, differenziando entro la propria mente una qualità sottile che lo rende suscettibile delle visioni di alam al-mithal (mundus imaginalis), mondo intermedio tra la realtà materiale e le forme astratte dell’intelletto puro (Corbin, 1971, 1979). Questo mondo è la matrice originaria che da vita all’universo fisico ma è anche un piano d’esistenza abitato dalle forme-pensiero prodotte da tutta l’umanità, che si manifestano sotto forme mostruose e altamente simboliche, e solo la peculiare facoltà immaginativa del mistico gli consente di aggirarvisi senza impazzire. L’affinamento di questa perspicua facoltà sensoriale lo rende in grado di distinguere fenomeni misteriosi, quali i fotismi colorati, che hanno caratteristiche peculiari ad ogni livello dell’essere, e la cui successione guida il pellegrino nella sua ascesa visionaria. Analogamente, nella cabala l’esperienza mistica è accompagnata da un’esplosione di luci e di visioni colorate così intensa da travolgere l’iniziato, come è del resto testimoniato dal nome stesso di due testi canonici, il Sefer ha-Bahir (il Libro dell’Illuminazione) e il Sefer ha-Zohar (il Libro dello Splendore). Ancora: la liturgia mitraica del Grande Papiro Magico di Parigi, quello del Dieterich (1903), che offrì a Jung il celebre motivo comparativo descritto nella teoria dell’archetipo, enumera pericoli simili nell’ascensione dell’iniziato. Il mondo intermedio è popolato da luci, onde, suoni e manifestazioni vibratorie, in altre parole è un mondo di frequenze più che di sostanze che lo rende compatibile con la descrizione offerta da Bohm dell’universo implicato. Esso richiede a chi lo visita un particolare affinamento delle sue facoltà percettive, che si da naturalmente in certi stati di pre-morte o artificialmente attraverso stati alterati di coscienza prodotti da droghe, cerimonie iniziatiche o intense esperienze meditative. Anche per il buddhismo la realtà materiale è maya, illusione, e nel Bar do t’os grol, il Libro tibetano dei morti (a cura di Tucci, 1949), si danno istruzione al morente perché affronti i demoni dello stadio intermedio di Bardo – che come il mondo sottile del soprasensibile è sospeso tra la vita e la morte ma anche tra la realtà materiale e la e mondo astratto dell’intelletto puro – considerandole sue proiezioni, e quindi creature illusorie da lui stesso generate.

Il ruolo della coscienza nelle condizioni di possibilità di esistenza del reale

 Jung appartiene a quelle faglie della ragione illuminista che non si identificano con l’assolutismo della visione scientifica positivista, ma ricercano una spiegazione dell’accadere psichico in altre correnti di pensiero, tra cui il romanticismo e la tradizione gnostico-ermetico- umanistico-alchemica e infine esoterica (Fissi 2018). In questa prospettiva la conoscenza scientifica non è, secondo il modello illuministico, fine a se stessa, ma mezzo per attingere una conoscenza – una gnosi? – di ordine superiore, attraverso la quale si perviene a un re- incantamento del mondo, a una visione unificata delle forme organiche, a una concezione del cosmo come un organismo vivente cui si può accedere solo attraverso un approccio che implica la partecipazione della soggettività, che è alternativo all’oggettivazione del metodo scientifico sperimentale e si ricollega piuttosto al risveglio interiore dell’uomo vero della tradizione.

L’idea di Capra (1975) che le particelle elementari sono vibrazioni di pura energia facenti parte di un cosmo animato e vivente può sembrare un residuo di animismo, ma in realtà ha a che fare con la natura dei quanti. Le particelle della fisica elementare hanno una doppia natura di particelle discrete e di onde (si veda l’esperimento della doppia fenditura per l’elettrone). In quanto onde, hanno una distribuzione non locale, che può essere descritta in maniera probabilistica dall’equazione d’onda di Schrödinger. Entrambi gli aspetti d’onda e di particella sono presenti nei quanti, e il modo in cui si rivelano è determinato dall’interazione con un sistema osservante. A seguito di una misura, ad esempio della posizione, dello spin o della velocità di una particella, la funzione d’onda subisce un processo istantaneo e irreversibile per il quale non rappresenta più una sovrapposizione di auto-stati della grandezza misurata, ma viene ‘collassata’ in uno solo di essi, ovvero assume una posizione ed una velocità discrete nel tempo e nello spazio (decoerenza quantistica). Nell’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica (multiverso), il processo di misurazione non determina nessun collasso della funzione d’onda, ma la realtà si divide in molti universi paralleli in ciascuno dei quali si verifica ogni possibile risultato della misura. Come nella filosofia idealista, il sistema osservante, la coscienza, la soggettività rendono possibile l’esistenza del mondo.

Sia nel mondo subnucleare che nell’universo stellare niente è slegato da niente ma tutto interagisce e si trasforma in continuazione da una entità all’altra e da una forma all’altra, lasciando intatta l’eternità dell’uno che vive dietro tutto. Un’intelligenza grandiosa che forse non sa di esserlo? Teodorani sostiene che il lavoro dei fisici è quello di fare in modo che Dio prenda coscienza di sé (2007a). Analogamente per Jung il compito dell’uomo individuato, attraverso il passaggio dall’esperienza del male e dal conflitto degli opposti, è contribuire al processo per cui Dio prende coscienza di sé (1952).


Note

  • [1] Elaborazione della relazione presentata al CIPA di Roma in data 11 novembre 2017, in occasione della tavola rotonda Attualità dell’archetipo nella stanza d’analisi: immaginazione, interpretazione, spiegazione neuroscientifica. Hanno partecipato: Antonella Adorisio, Luigi Aversa, Stefano Fissi, coordinatore Lorenzo Zipparri.
  • [2] In meccanica quantistica, il principio di indeterminazione di Heisenberg stabilisce i limiti nella conoscenza e nella misurazione dei valori di grandezze fisiche coniugate o incompatibili in un sistema fisico. Esso afferma che il rapporto tra incertezza sulla posizione e incertezza sulla quantità di moto è dato dalla costante di Planck ridotta, ovvero che non si possono conoscere simultaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella elementare.
  • [3] ‘Quanto’ o quantum (dal latino quantità) è una quantità discreta ed indivisibile di una certa grandezza nella meccanica quantistica, e, per estensione, il termine è sinonimo di ‘particella’. Esso a volte si comporta come una particella, a volte come un’onda, la cui distribuzione di probabilità è descritta dalla funzione d’onda.

Bibliografia

  • Bar do t’os grol, ed. it. Il libro tibetano dei morti (a cura di G. Tucci), SE, Milano 1949.
  • Bohm D. 1980, Wholeness and the Implicate Order, trad. Universo, mente e materia, Rea, Bologna 1996.
  • Capra F. 1975, The Tao of physics, trad. Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1982.
  • Corbin H. 1971, L’homme de lumiere dans le soufisme iranien, trad. L’uomo di luce nel sufismo iraniano, Mediterranee, Roma 1988.
  • Corbin H. 1979, Corps spiritual et Terre celeste, trad. Corpo spirituale e Terra celeste, Adelphi, Milano 1986.
  • Devi Parama Karuna 2012, Le 108 Upanishad serie complete, Parama Karuna Devi, Germania. Dieterich A. 1903, trad. APATHANATISMOS – Rituale mitriaco del ‘Gran Papiro Magico di Parigi’, Introduzione alla magia quale scienza dell’Io (a cura di Gruppo di Ur), Fratelli Melita, Genova 1987.
  • Ellenberger H.F. 1970, The Discovery of the Inconscious. The History and Evolution of Dinamic Psychiatry, trad. La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • Fissi S. 2018, Jung e l’esoterismo, http://animaeanime.co.nf/index.php/jung-e-lesoterismo/. Horkeimer M. – Adorno T. 1947, Dialektik der Aufklärung – Philosophische Fragmente, trad.
  • Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1976.
  • Jung C.G. 1920/1948, I fondamenti psicologici della credenza negli spiriti, in OCGJ, vol. 8°, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • Jung C.G. 1931, Il problema fondamentale della psicologia contemporanea, in OCGJ, vol. 8°, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • Jung C.G. 1934a, L’applicabilità pratica dell’analisi dei sogni, in OCGJ, vol. 16°, Bollati Boringhieri, Torino 1981.
  • Jung C.G. 1934b, Considerazioni generali sulla teoria dei complessi, in OCGJ, vol. 8°, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • Jung C.G. 1947/1954, Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, in OCGJ, vol. 8°, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • Jung C.G. 1951, La sincronicità come principio di nessi acausali, in OCGJ, vol. 8°, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
  • Jung. C.G. 1952, Risposta a Giobbe, in Opere di C.G. Jung, 11, Bollati Boringhieri, Torino 1979. Jung C.G. 1955/1956: Mysterium coniunctionis, in OCGJ, vol. 14°, Bollati Boringhieri, Torino 1989-1990.
  • Metzinger T. 2009, The Ego Tunnel. The Science of the Mind and the Mith of the Self, trad. Il tunnel del’io – Scienza della mente e mito del soggetto, Cortina, Milano 2010.
  • Monti R. 1988, Analisi storico critica dei modelli di atomo, in «Seagreen», 4, pp. 16-25.
  • Pribram K.H. 2013, The Form Within – My Point of View, Prospecta Press, Westport.
  • Talbot M. 1991, The Olographic Universe, ed. it. Tutto è uno – L’ipotesi della scienza olografica, Feltrinelli, Milano 1997.
  • Teodorani M 2006, Bohm – La fisica dell’infinito, Macro Edizioni, Cesena (FC).
  • Teodorani M. 2007a, L’atomo e le particelle elementari – dalla scienza degli antichi alle superstringhe di oggi, Macro Edizioni, Cesena (FC).
  • Teodorani M. 2007b, Entanglement – L’intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza, Macro Edizioni, Cesena (FC).
View Comment (1)

    Leave a Reply

    Your email address will not be published.


    Quaderni di Cultura Junghiana © 2022 CIPA - Istituto di Roma e dell'Italia centrale Tutti i diritti riservati
    È consentito l'uso di parti degli articoli, purché sia correttamente citata la fonte.
    Registrazione del Tribunale di Roma n° 167/2018 con decreto dell’11/10/2018
    P.iva 06514141008 | Privacy Policy