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Povere creature! (Poor Things)

Rivista annuale a cura del Centro Italiano di Psicologia Analitica Istituto di Roma e dell’Italia centrale

La follia: modelli della psiche e approcci terapeutici La psicologia analitica a 100 anni dalla nascita di Franco Basaglia

2024 Nuova Serie Numero 5 Invito alla Lettura Monografia Franco Basaglia

A CURA DI ROBERTO MANCIOCCHI La rubrica Invito alla lettura propone indicazioni in merito ai contributi più attuali e significativi della psicoterapia con uno sguardo attento agli attuali sviluppi del pensiero teorico; sarà ovviamente presente una forma di dialogo con la letteratura, la filosofia, le neuroscienze e le arti. La rubrica sarà, a seconda dei numeri, completata da una sezione di recensioni, nella quale alcuni psicoterapeuti commenteranno le più interessanti novità del panorama italiano e internazionale.

Povere creature! (Poor Things)

Quando sono uscita dalla sala dopo aver visto il nuovo film di Lanthimos, ho avvertito il sapore amaro di quando si vede qualcosa di nuovo ma al contempo ancora molto vecchio, pur in una estetica fascinosa e ammaliante.

Premetto quindi che le presenti riflessioni avranno un carattere di Sentimento tanto quanto di Pensiero, nel cercare di leggere la mia personale esperienza di fruizione di questo particolare film. Forse alla mia esperienza di visione si è anche sommata una quota di reazione (o forse non celata “ribellione”) anche e soprattutto a quanto a posteriori ho visto dichiarare e sponsorizzare “a proposito di” questo stesso film.

Sembra che la critica e il pubblico si siano orientati nell’interpretare i temi e i personaggi di Povere creature in una prospettiva femminista/emancipatoria, il che mi ha lasciata piuttosto perplessa. Premettiamo che l’immaginario sessista/patriarcale si muove attorno a figure sia maschili che femminili che abitano il mondo interno, sia degli uomini che delle donne. Per cui, come una certa letteratura femminista suggerisce ormai da tempo, per superare modelli di genere connotati in un’ottica patriarcale e limitante (per ambo i sessi!), bisogna passare dalla ricostruzione dell’immaginario che ruota sia intorno al maschile che al femminile.

Femminile e maschile sono immagini archetipiche che si riferiscono a dimensioni collettive profonde, che si intersecano e interagiscono con le nostre esperienze biografiche personali anche nostro malgrado. In tal senso, l’ambientazione fiabesca atemporale del film di Lanthimos lascia emergere molte immagini archetipiche relative ai due sessi, e quindi – come ogni fiaba – racconta un immaginario universale e contribuisce a riproporne alcune figure.

Tuttavia, le figure che questa fiaba inscena non propongono a mio avviso scenari evolutivi o nuovi, ma ci immergono in immagini sessiste polarizzate e unidirezionali. Anche lo snodo narrativo non sembra proporre strade evolutive per i protagonisti del film, ma finisce per triturare stereotipie vecchie ammantandole di un intento liberatorio che è solo di superficie. L’estetica del film mi sembra sovrasti di molto la povertà di pensiero nella trama narrativa.

La storia è quella di una donna (gravida) che può sfuggire ad un legame a dir poco sadomasochistico con il marito solo con un atto di morte volontaria. Arriverà un uomo, il dipinto della pura razionalità asessuata, un eunuco, a salvarla. Nel farlo la ridurrà tuttavia ad una creatura che più che infantile sembra animalesca. A tratti nel vedere questo volto bellissimo e animico, in un corpo etereo e scoordinato, ho pensato più a come avrebbe agito e pensato il mio amato cagnolino in un corpo di donna che non un bambino nelle stesse condizioni. Una donna ammaliante nel corpo, completamente sguarnita di empatia e capacità relazionali sviluppate, con una spontaneità animalesca che diventa il maggior punto magnetico di attrazione in chi la circonda.

Non sottovaluto con questo gli animali. Chiunque conosca il mondo degli animali sa che sono delle creature in grado di attivare un fortissimo sentimento di attaccamento – reciproco e ricambiato – in chi si prenda cura di loro, esattamente come i bambini molto piccoli.

La parte peggiore, infatti, in questa storia non è destinata a questa Bella creaturina, ma a chi finisce per amarla. Ed è qui, secondo me, che il film rivela la sua incapacità nel mostrare qualcosa di nuovo o addirittura “provocatorio-rivoluzionario” al suo pubblico.

Tre uomini principali ruotano attorno a questa donna/animale, tre archetipi di un maschile vetusto e sottosviluppato seppur in modi e forme differenti: il Padre Eunuco, il Marito Passivo Impotente, l’Amante-Priapo. A latere di queste figure si aggiungono anche l’Uomo-Amico e il Marito-Mostro,

Vorrei soffermarmi allora su di ciascuno di questi uomini.

Il Padre Eunuco ha una spinta salvifica verso questa donna meravigliosa e distrutta dalla vita, e potendo muoversi in un corpo annichilito da qualsiasi pulsione sessuale, fa catarsi assumendo un ruolo pigmalionico/genitoriale. È l’archetipo del padre che forgia a sua immagine e somiglianza, che piuttosto che salvare madre e figlio fa di Bella sua figlia, sottoponendola a un atto ri-creativo violento ed estremo per esaudire un desiderio di ricerca e riprodurre quanto lui stesso racconta di aver – seppur in forme diverse – subito dal proprio mostruoso padre. Riduce una madre ad una figlia. Questo è l’archetipo negativo del paterno, che esalta e al contempo imprigiona il potenziale procreativo ed evolutivo della figlia. Bella/figlia è l’esperimento di suo padre. Esperimento amato e adulato, ma reificato in una umanità annientata dall’atto chirurgico-creativo del padre.

Il Marito Passivo è l’archetipo di un maschile gentile tanto quanto ristretto. È il marito che sembra accogliere ma lo fa solo in piccolissima parte perché non sa guardare l’Altro nella sua interezza. Egli è sedotto – quasi suo malgrado – dall’Eros emanato da questa creatura animale in un corpo di donna adulta, ma è a sua volta completamente disconnesso da una propria stessa consapevolezza erotica, addirittura la respinge e ne sembra atterrito. È, a mio avviso, il peggior stereotipo maschile tra quelli proposti, perché è il più subdolamente corrispondente ad un immaginario sessista/patriarcale. È l’archetipo dell’“uomo buono” che vuole addomesticare nell’altra degli impulsi di cui lui stesso non ha alcuna coscienza e consapevolezza, che è attratto dal corpo ma non è in grado di relazionarsi con l’intero dell’Altro. È in definitiva l’immagine di un maschile sessualmente represso ma “buono”. Cosa sceglie/ama quest’uomo di Bella? Bella è una creatura animale, non ha ancora empatia, è a tratti violenta e manipolatoria sia con lui che con chi li circonda. Perché quest’uomo ne è ammaliato e vuole sposarla legandosi a lei per sempre? Questo è l’archetipo di un maschile sguarnito e inconsapevole di sé quanto di chi lo circonda e di conseguenza atterrito dall’erotismo femminile e persino suo proprio maschile perché, di fatto, completamente incapace di accogliere e comprendere l’Eros (e non solo il sesso!) in una relazionalità simmetrica e adulta. Questo archetipo anima le fantasie maschili e femminili relative all’associazione gentilezza-impotenza-inettitudine negli uomini “buoni”, che però di emotivamente evoluto non hanno maturato nulla. È un po’ un’eco in salsa pop del marito gentile ma relazionalmente analfabeta di Madame Bovary… Gli uomini “buoni” sono ancora una volta associati a uomini relazionalmente incapaci e sessualmente repressi.

Infine, il classico dei classici: l’Amante-Priapo. Questo è l’archetipo più vecchio di tutti, che veicola l’immaginario legato ad un maschile manipolatorio e bidimensionale. È l’altra faccia del marito impotente. Manipolatorio tanto quanto di fatto finisce per essere a sua volta manipolato dalla propria stessa ristrettezza emotiva. Non a caso è lui a riproporre la storia eterosessuale sessista più vecchia di sempre: l’amante emotivamente incompetente che si scopre innamorato in risposta all’assenza emotiva dell’Altra. Cosa ama quest’uomo in Bella se non il riflesso della propria stessa assenza e totale incompetenza emotiva ed empatica? Questo è l’archetipo del Don Giovanni redento, quello che si relaziona alla donna con una visione strumentale di interscambio, e che cortocircuita il proprio loop consumistico solo quando l’oggetto del suo erotismo lo rende oggetto a sua volta. Questo archetipo anima le fantasie maschili e femminili relative ad una dinamica di ruolo in cui l’indifferenza e l’assenza di riscontri emotivi possono essere in grado di generare il più folle “amore” anche nel più incallito dei seduttori. Di fatto il personaggio di Lanthimos al manicomio ci finisce per davvero. Anche il senso di rivalsa femminile a cui ammicca lo sviluppo di questo personaggio diventa quindi la riproposizione del più vecchio degli immaginari patriarcali: la donna che consuma l’uomo tanto quanto ne è stata consumata, a manipolazione e consumo si contrappone altrettanto, ma sempre in una dinamica uomo-donna di potere subìto e/o imposto attraverso una sessualità totalmente disarticolata da dinamiche di riconoscimento empatico, rispetto relazionale e affettività. Stiamo quindi ancora a parlare di rivalsa femminile attraverso il sovvertimento e l’appropriazione di un modello maschile sterile ed emotivamente azzerato?

Un piccolo ruolo a sé stante finisce poi per vestirlo il cinico amico di crociera di Bella, unico personaggio ad incarnare anche una minoranza nel film, unico a creare una interazione differente con l’animo animalesco della protagonista. Lui, a mio parere, incarna l’archetipo dell’Uomo-Amico. All’interno, infatti, di una interazione che è l’unica non sessualizza con la protagonista (eccezion fatta per il Senex incarnato dalla vecchia accompagnatrice di crociera, che si muove non a caso in coppia all’amico), l’Amico guida con una vena di sadismo Bella alla scoperta dei primi sentimenti di dolorosa empatia di cui scopre l’esistenza in un animo che – a questo punto del film – si fa meno animale e diventa po’ più “umano”. Questo archetipo si muove all’interno dell’immaginario femminile e maschile per cui una relazione evolutiva e simmetricamente orientata alla crescita emancipatoria è possibile solo all’interno di legami amicali, dove il corpo e la sessualità sono – per un motivo o per l’altro – estromessi.

Per quanto riguarda infine il Marito-Mostro, non so neanche se valga la pena descriverlo. Il marito originario della protagonista sembra infatti il più spinto degli archetipi aggressivi e bestiali relativi al maschile: un uomo bestiale, mosso da istinti sadico-persecutori e distruttivi, che si orienta sul possesso dell’altro e agisce ogni relazione in una dinamica di dominio e sottomissione dell’Altro. Più che un archetipo sembra il dipinto della psicopatia. Sembra quasi superfluo dire come questo archetipo si muova all’interno di un immaginario relativo alla bestialità maschile senza argini, orientata esclusivamente all’assoggettamento dell’altro in una ragione di possesso e dominio. Anche in un modo dichiaratamente esplicito, questo è l’uomo patriarcale primitivo per eccellenza.

Credo che dovremmo uscire finalmente dalla visione concettualmente fin troppo superata per cui l’emancipazione dagli stereotipi sessisti passa solo dai movimenti femminili nel mondo, ed abbracciare un immaginario più ampio del maschile in modo che diventino “concepibili”, cioè pensabili ed immaginabili, anche immagini archetipiche maschili più evolute e complesse di quelle che ad esempio popolano il film di Lanthimos.

Io non credo che un film che proponga una visione di questo tipo del maschile possa in alcun modo contribuire alla liberazione collettiva da stereotipie negative sessiste.

In aggiunta, trovo svilente anche il punto di osservazione proposto attraverso il personaggio di Bella, questa creatura bestiale che a sua volta corrisponde ad una proiezione maschile patriarcale per cui le donne moralmente libere sarebbero “spontaneamente” agenti di una sessualità sfrenata e totalmente incompetente sul profilo relazionale.

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Lo spirito archetipico Femminile è uno spirito di Anima, cioè orientato alla relazione e all’accoglienza dell’Altro in senso ampio e non solo sessuale. È questo lo stesso spirito che si muove negli uomini che siano messi nelle condizioni di accoglierlo e comprenderlo.

Non ritrovo in Bella un personaggio femminile libero da briglie morali, ma un femminile patriarcale che corrisponde ad un immaginario vecchissimo per cui le donne svincolate dal potere familiare maschile sarebbero delle “prostitute” voracemente e insaziabilmente mosse da una fame sessuale senza argini e senza alcun interesse alla relazione con l’altro. Bella è la proiezione del più vecchio archetipo femminile patriarcale, quello che in epoche e luoghi lontanissimi dal nostro vedeva le donne mestruate come pericolose perché potenzialmente troppo “affamate” di sessualità, in quanto temporaneamente sterili. Non a caso Bella è una creatura sterile, che approda alla sua fame sessuale passando dall’uccisione simbolica della propria stessa maternità.

In cosa, dunque, si vedrebbe una storia di liberazione femminile in questa fiaba moderna?

Aggiungiamo, poi, che nessuna emancipazione può passare dall’assenza di consapevolezza emotiva, e mi piacerebbe in tal senso chiedere al regista cosa possa esserci di liberatorio in questa donna/animale (quindi priva di Psiche = pensiero riflessivo) che manipola senza sapere di farlo, abusa e si lascia abusare in una apparente scissione dal proprio corpo affettivo (di cui compare solo una vaga traccia quando dice alla maitresse di sentirsi “distaccata”), e che sembra poter esplorare corpo e relazioni solo in una dimensione di sfruttamento consumistico di sé (nella prostituzione, che per altro è un’ulteriore immagine patriarcale riferita al corpo sessuato delle donne) per poi arrivare – forse – allo studio della medicina ma intesa anche questa come chirurgia sperimentale ad uso e consumo della “Scienza”. La Bella di fine film è un personaggio scisso tanto quanto il padre, intende la Scienza come il dominio di una razionalità priva di empatia e relazione, abusa dei corpi dei suoi “pazienti”/vittima ad uso e consumo delle proprie ricerche e desideri di vendetta.

I corpi di questo film sono sempre e solo corpi abusati e reificati.

Nuovo, dal mio punto di vista, sarebbe vedere narrazioni in cui uomini e donne emancipati da questi archetipi vetusti e monodirezionali potessero incarnare un maschile dotato di un’Anima relazionale complessa e competente, uomini gentili ma non impotenti, accoglienti senza dominio, paterni ma non pigmalionici e soprattutto donne non bestiali e a loro volta animate da un femminile relazionale prima ancora che sessuale e strettamente corporeo. Uomini e donne “emancipati” sono quelli in cui si possono muovere simultaneamente modelli di un Maschile e di un Femminile emotivamente evoluti e non primitivi.

La sessualità non è di per sé strumento di liberazione, come il femminismo di primissima generazione ha ampiamente dimostrato, perché la sessualità non è strumento ma mezzo di relazione.

In tal senso, mi ha molto rattristata leggere delle letture date a questa fiaba come di un modello di liberazione femminile, confermandomi come molto spesso all’etichetta di femminismo finisca per corrispondere uno slogan (e un trend) sempre più svuotato del suo significato più radicale ed etico rispetto alle relazioni uomo-donna.

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